La "Besa" albanese nel "Giorno della Memoria" ebraica.
di Brunilda Ternova
L'Albania fu l'unico paese europeo durante gli anni 1930-1944 che diede ospitalità e protezione ai profughi ebraici fuggiti dalla persecuzione nazi- fascista, mentre nel resto dell'Europa si diffondevano e si applicavano le leggi razziali e le pulizie etniche.
La mostra itinerante intitolata “BESA: A Code of Honor - Muslim Albanians Who Rescued Jews During the Holocaust” del fotografo ebreo Norman H. Gershman, venne presentata per la prima volta al pubblico nel novembre del 2007 presso il museo Yad Vashem a Gerusalemme, quale sponsor ufficiale dell’esibizione. La mostra, presentata in anteprima presso le Nazioni Unite nel gennaio 2008, ha fatto il giro del mondo e si trova attualmente a Bologna, dove verrà inaugurata il 24 gennaio 2010 presso il Museo Ebraico. Curatrice di questa esposizione è la Sig.ra Yehudit Shendar, vice direttrice nonché curatrice d'arte della divisione museale “The Holocaust Martyrs’ and Heroes’ Authority” della Yad Vashem (Gerusalemme - Israele).
Lo scopo di questo evento è di presentare al mondo la straordinaria testimonianza del popolo albanese e di rendere omaggio ai suoi valori umani come parte di un esempio etico di tolleranza che è ancora oggi attivo e radicato nelle sue tradizioni e nella sua cultura millenaria. Questo esempio unico nel suo genere, che può essere chiamato leggendario non trovando eguali nel resto dell’Europa, fonda le sue fondamenta in un antico codice di condotta di nome “Besa”, parola intraducibile ma che, per darle un senso, potremmo definire come “giuramento” o “promessa”.
Il Codice d’Onore “Besa”
“Besa” è una nobile promessa morale vincolata da scelte basate su un senso alto dell’onore e della giustizia umana. È un concetto che si stabilisce sull’antico codice albanese della virtù che impegna ogni albanese a prestare aiuto a chiunque si trovi in situazioni di necessità a prescindere dal suo status culturale, religioso, etnico, sociale, di genere, di età, ecc.
Il fotografo Norman H. Gershman, che terminò il suo lavoro dopo più di quattro anni di raccolta di storie e di scatti di foto in bianco e nero, ha voluto trattare la questione dal punto di vista ebraico, e in questo mondo pieno di conflitti religiosi ha voluto sottolineare il fatto che l’amicizia tra gli ebrei e i musulmani può essere possibile.
Dal punto di vista albanese, per onorare la verità storica è obbligatorio sottolineare che gli ebrei che furono salvati in Albania sono stati protetti e messi in salvo non solo dagli albanesi musulmani ma anche dagli albanesi cristiani e da un numero di albanesi scettici verso la religione. Il concetto stesso di “Besa” non ha molto a che fare con la religione in sé poiché le virtù del coraggio, della compassione, dell’onore, della tolleranza e del sacrificio, che caratterizzano il codice d’onore albanese, in realtà sono all’origine dei valori caratteristici della storia di tutti gli albanesi. Basta ricordare uno dei simboli nazionali albanesi, Madre Teresa (Gonxhe Bojaxhi), il cui spirito, sebbene fosse cattolico, ha ben sintetizzato il forte potere della nozione di “Besa”. Ma non solo, “Besa” incorpora dentro sé un iter socio-culturale ancora più complesso e arcaico facendo parte delle leggi non scritte del Kanun albanese (Canone) che è stato rispettato e trasmesso oralmente da generazione in generazione. Il Kanun è un corpus di norme e di consuetudini degli albanesi che risale a tempi antichissimi e, come ci viene dimostrato anche dal studioso giapponese Kazuhiko Yamamoto nei suoi studi “The Ethical Structure of Kanun and Cultural Implications” e “The Ethical Structure of Homeric Society”, sarebbe un sistema etico di valori della società pagana trascendentale che risale alla fase iniziale delle organizzazioni sociali umane quando la mentalità dell’essere umano era ancora nella fase del sincretismo etico ed giuridico.
E’ proprio da questo importante regolatore antico del funzionamento e dell’ordine della società albanese che scaturisce la lunga storia di tolleranza religiosa degli albanesi e la resistenza ad ogni oppressione straniera.
Gli ebrei in Albania
Questa caratteristica tipica della cultura tradizionale albanese è stata certamente un contributo di benvenuto agli ebrei in varie epoche della storia.
Storicamente, la prima apparizione di un gruppo di ebrei che si insediarono in Albania si verificò nel 70 A.D., quando una nave che trasportava ostaggi ebraici per l'imperatore romano Tito naufragò sulla costa ionica nei pressi di Saranda. Di fatto, piccole comunità ebraiche non omogenee sono state accolte in Albania a partire dal 1492, anno in cui le persecuzioni dell’inquisizione cattolica ordinate dalla regina Isabella di Spagna determinarono la loro espulsione dal continente iberico.
Per quanto riguarda la storia recente a cavallo della seconda guerra mondiale, trovarono rifugio in Albania 2000 ebrei, la maggior parte provenienti da paesi come Germania, Austria, Jugoslavia, Croazia, Bulgaria, Polonia, Turchia, Grecia, Ungheria e Romania. Sebbene il paese si presentava in una situazione economica disastrosa per causa della guerra, e gli albanesi fossero loro stessi sotto l’invasione nazi-fascista, hanno avuto la forza d'animo di provvedere agli ebrei vestiti, cibo, protezione e aiuti di ogni vario genere. In effetti, l’Albania durante quegli anni diventò il luogo di accoglienza prediletto dagli ebrei d’Europa, e sfortunatamente questa parte della storia d’Albania non è nota a molti, inclusi gli stessi albanesi.
Facendo riferimento a uno studio del professor Bernd J. Fischer, Presidente del Dipartimento di Storia presso l’Indiana University - Fort Wayne: “[…] solo nel 1938 in Albania sono stati ufficialmente registrati circa 300 ebrei albanesi e forse 100 ebrei stranieri. Gli ebrei stranieri (circa 800 secondo la stima del 1943) provenienti da Austria, Germania, ma anche dalla Polonia, Bulgaria e Jugoslavia, venivano nascosti, spesso spostati da un luogo all’altro e sempre protetti dagli albanesi musulmani, ortodossi e cattolici. Non vi è alcun caso noto di qualche tradimento di questa fiducia, nessun caso conosciuto di qualche ebreo esposto, e nessun caso conosciuto di albanesi padroni di casa che chiesero compensi per il servizio offerto.
Ma gli ebrei della Jugoslavia – continua Bernd J. Fischer – furono meno fortunati. Con la distruzione della Jugoslavia nel 1941, molti ebrei dalla Croazia e dalla Serbia cercarono rifugio in Kosova. Mentre inizialmente furono trattati bene, la maggior parte di essi dovette tornare a Belgrado dove molti furono sommariamente giustiziati. […] I tedeschi poi richiesero alle autorità italiane l’arresto e il trasferimento degli ebrei in Kosova sotto il controllo tedesco. Ma le autorità locali albanesi a Prishtina e altrove spesso si opposero a questi sforzi fornendo agli ebrei documenti falsi. Particolarmente attivo in questo senso è stato Preng Uli, il segretario del Comune di Prishtina, il cui operato è stato registrato nei documenti italiani”.
L’ingegnere Samuel Mandili, scrive nel 20 febbraio 1945: “Tutti gli ebrei che provenivano dall’Albania, sono stati salvati grazie alla generosa bontà d’animo del popolo albanese che ha considerato come un dovere morale di proteggere nelle proprie case tutti gli emigrati perseguitati [...] L’atteggiamento meraviglioso e nobile del popolo albanese ha bisogno di essere conosciuto perché loro meritano tutta la gratitudine del mondo e di ogni uomo colto [...]”
Documenti e testimonianze varie presso il Museo Commemorativo dell’Olocausto a Washington negli Stati Uniti d’America, dove si trovano elencati i nomi di 2264 ebrei salvati dagli albanesi, attestano questi fatti. Così, nella lista ufficiale presente nel Museo dell’Olocausto Yad Vashem a Gerusalemme si trovano elencati i nomi di 63 albanesi che salvarono i profughi ebrei prima e durante la seconda guerra mondiale. In questa lista non sono incluse le testimonianze successive perché non ancora archiviate, compresi i casi di quegli ebrei che furono equipaggiati con passaporti e nomi albanesi falsi e che utilizzavano l’Albania come Paese di transito per salvarsi dalle persecuzioni degli nazi-fascisti e di conseguenza dalla sicura morte. Mentre lo Yad Vashem ha designato una trentina di famiglie albanesi (63 persone) nei Giusti tra le Nazioni, Gershman dopo cinque anni di costante lavoro, ha trovato le prove di oltre 150 famiglie che hanno protetto gli ebrei durante l’occupazione nazista, e molti altri resoconti che hanno bisogno di essere avvalorati.
Uno degli aspetti importanti di questa faccenda che merita di essere sottolineato è il fatto che in Albania non sono mai state approvate leggi antisemite, non sono mai stati costruiti campi di concentramento e non ci sono mai state vittime dell’Olocausto, e questo lodevole modo di comportamento è da attribuirsi al tutto il popolo albanese inclusi gli albanesi del Kosova, F.Y.R.O.M., Montenegro e Grecia che tramite questo grande atto di generosità nei confronti degli ebrei, rischiarono non poco la loro vita e quella dei loro familiari.
Una tra le tante testimonianze dell’assenza di sentimenti antisemiti ci viene offerta direttamente dall’ambasciatore degli Stati Uniti in Albania Herman Bernstein, egli stesso un ebreo, durante gli anni 1930-1933. Bernstein scrisse nel 1934 nelle sue lettere: “Non vi è alcuna traccia di discriminazione contro gli ebrei in Albania, perché l'Albania sembra essere una delle terre rare in Europa dove il pregiudizio e l’odio religioso non esistono, anche se gli albanesi si sono suddivisi in tre credi religiosi…” (The Jewish Daily Bulletin, New York, vol. XI, nr. 2821, Aprile 17, 1934).
Questi dati significativi ci offrono una chiara panoramica del clima creatosi in Albania durante quegli anni dove ogni ebreo che vi fece ingresso, che ci rimase o che usò il paese per transito venne salvato grazie all’ospitalità del popolo albanese e del suo codice d’onore “Besa”.
Chi è Norman H. Gershman
Norman H. Gershman oltre ad essere un fotografo d’arte riconosciuto a livello mondiale, è anche un collezionista e commerciante d’arte che ha pubblicato, esposto e scritto molto sull’arte della fotografia. Il suo lavoro è rappresentato nella collezione permanente del Centro Internazionale di Fotografia, The Brooklyn Museum, The Aspen Art Museum, Rizzoli ecc.
In Israele il suo lavoro “Birobidjan: The Jewish Autonomous Region” è rappresentato nella collezione permanente di Beth Hatefutsoth, al Museo della Diaspora Ebraica, a Tel Aviv. Molti leader internazionali e studiosi hanno lodato il suo lavoro, tra cui l’ex Primo Ministro israeliano Yitzhak Shamir, Presidente Jimmy Carter, Jehen Sadat, il deputato del congresso americano Tom Lantos, Dott. Mordecai Paldiel di Yad Vashem, il premio nobel e superstite dell’Olocausto Elie Wiesel, Dott. Akbar Ahmed dell’American University nonché il Presidente Emerito Cornell Capa fondatore del Centro Internazionale di Fotografia.
[Nella foto: Aishe Kadiu, musulmana albanese, che con il marito Besim ospitò due ebrei greci, i fratelli Jakov e Sandra Batino]
Per maggiori informazioni, è possibile consultare il sito internet del Museo Ebraico di Bologna all’indirizzo web: http://www.museoebraicobo.it/GiornoMemoria10.htm
giovedì 14 gennaio 2010
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