di Eva Brinja - Studiosa di Etnocultura
(Tradotto dall’albanese in italiano da Brunilda Ternova)
Il nome seguì la popolazione dopo la morte di Scanderbeg. La popolazione si auto-nominò ‘shqipëtar’ (ita. albanesi), mentre per gli stranieri aveva diversi nomi, come Alban, Arban, Arnaut, in funzione della continuità storica che conoscevano nelle aree dove veniva scritta la storia di quel tempo.
(nella mappa: L'Albania del 14-mo secolo A.D.)
Nell'analisi che svolgiamo a questo proposito, abbiamo in mente questi fattori influenti:
a – Nominare vuol dire mettere un nome ad una cosa, ad un soggetto o fenomeno per distinguerlo durante l'uso.
b – Il nome viene messo dagli utenti (da quelli che lo dovrebbero usare) e porta le caratteristiche del prodotto, del soggetto o del fenomeno.
c - Se questo oggetto, soggetto vivente, fenomeno viene usato da altri, il trasferimento avviene di solito insieme con la denominazione oppure si traduce, ecc.
d - Nel caso delle denominazioni di gruppi etnici o nazioni in generale, questo processo porta insieme con il nome una storia specifica, in quanto:
- L'assunzione del nome è legata al fatto che il Leader di un gruppo etnico - che è diventato famoso - ha dato alla sua etnia il proprio nome; gli esempi sono innumerevoli dai tempi antichi.
- L'assunzione del nome a causa della toponomastica del luogo in cui si trova questa popolazione.
- L'assunzione del nome a seguito dell’inserimento di un potere o organismo che abbia un certo effetto sull'etnia che adotta il nome.
e - Caso in cui il nome rappresenta l'espressione o evocazione di un evento o fenomeno.
Così la denominazione della nostra etnia con il nome “Shqipëtar”, analizzando i fatti che sono presenti come:
1 - Il tempo di nascita della denominazione è il periodo dopo Scanderbeg.
2 - E' diffuso nei territori che hanno partecipato alla Lega di Lezha, e che hanno contribuito al suo esercito. (Ricordiamo qui che la zona degli arvanitas in Grecia non ha conosciuto né il nome di Scanderbeg e nemmeno il nome “shqiptar” a lungo). Per questo motivo è evidente che questo nome è esteso nei territori dove ha operato esattamente Scanderbeg.
3 - Non è un nome che poteva essere dato ad una persona in vista e che si fosse distinta tanto da costituire un onore il proclamarsi tale.
4 - Non è un nome toponomico.
5 - Non c’è stata una decisione suprema, come poteva essere un organismo sovraetnico (in questo periodo non esisteva l'ONU) o religioso, come è stato il Papa di Roma o il Patriarcato di Istanbul.
Evinciamo in conclusione che l'unico fattore è l’evocazione di un evento o fenomeno che come al punto (e).
Pertanto dei suddetti fattori tre sono quelli che possono spiegare questo processo di “auto-definizione”:
1 – Il periodo dopo Scanderbeg.
2 – Il territorio che era attivo nella partecipazione.
3 – La costituzione spirituale di questa popolazione.
In questi tre elementi portatrici della ragione e del processo dell’auto-denominazione si vede la costruzione spirituale che rappresenta di solito la moralizzazione del fenomeno espresso:
A - In quello che ha fatto il soggetto.
B - In quello che ha detto il soggetto.
La produzione orale, le leggende, i miti mostrano che questa popolazione si è occupata molto di Scanderbeg, creando figure leggendarie su di lui, sul suo cavallo e riguardo tutti i luoghi in cui è passato; cioè alimentandolo senza sosta per generazioni e raccontando della sua figura anche in modi fantastici. In base alle figurazioni create su di lui da 500 anni, ci arriva oggi tutta la creatività dedicata a lui. E per quello che concerne i racconti su di lui? Noi albanesi, diciamo sempre che “lui aveva fatto quello…e aveva fatto questo”, ma è opportuno dire anche che “lui ha detto questo e quello…”? (perchè non ci viene trasmesso questo fatto nella eredità orale, soprattutto perché nella psiche fraseologica della nostra etnia è noto l’inizio tipico di periodi con "ha detto… papà... o qualcuno molto saggio", ecc.?
Quello che scrive Marin Barleti è un parallelo di ciò che abbiamo detto sopra. Nelle condizioni di una responsabilità intellettuale lui ha portato non l’opera tramite la figurazione – cosa che richiama la tradizione orale popolare – ma l’opera attraverso il lavoro di scomposizione caso dopo caso.
Osservate quello che si evince da Marin Barleti e che corrisponde alla nostra eredita orale:
1 – Le dimensioni dei risultati o delle opere essendo grandi vengono chiamate ‘divine’ e si spiegano con l'aiuto degli dei (Barleti è un prete e avrebbe dovuto esprimersi al singolare dicendo ‘Dio’). Senza volerlo Barleti ci trasmette la psiche mitica della popolazione, sua contemporanea.
2 - In tutti i casi, davanti ad un’opera che la richiede per raduni o guerre, la partecipazione delle masse è preceduta da un lungo discorso di Scanderbeg. Presentazione delle motivazioni, ecc.
Si pone una domanda: così come per gli elementi propri della costituzione spirituale della popolazione, come il coraggio, l’onestà e l'amore per la libertà, esisteva una ‘denominazione’ anche per l’agire morale di Scanderbeg? L’elmo di Scanderbeg ci indica della presenza di concetti mitologici in lui, così come nella denominazione ‘Epirot’ che corrisponde alla Capra Amaltea; e una denominazione che sia coerente con il fiore della Margherita non è esistita?
Osservate:
Nelle analisi dello studioso Niko Stillo, che riguardano l’esame dei prospetti etruschi (dove troveremo le denominazioni dei personaggi delle diverse generazioni pelasgiche), troviamo che un personaggio di quinta generazione è chiamato anche "aquila" (questi nomi cambiano da luogo a luogo) e deriva proprio da Ares (alb. Ares) della quarta generazione. Così ci deriva dalla mitologia l’eredità “Shqipe të Arit “ (ita. Aquila di Ares (l’aquila che ha l’origine da Ares e che appartiene alla quinta generazione pelasgica). La presenza nell’elmo del Fiore della Margherita della sesta generazione realizza il collegamento dell’origine della nostra generazione con l’Aquila di Ares che appartiene alla quinta generazione.
Questo contenuto trova collocazione pienamente nell’asse temporale e spaziale di Scanderbeg; ma come è successo che si è trasformato in nome e come è successo che la popolazione si sia auto-nominata “shqip’t’ar” (ita. albanese) oppure “Shipe të Arit” (ita. l’Aquila di Ares)?
Riesaminiamo Marin Barleti con molta attenzione:
Da diverse parti si evince il fatto che agli inizi degli attacchi l’esercito viene preceduto dalle prime linee militari per le quali più volte viene usata l’espressione "aquile e bandiere" (il che significa che la divisione in due parole non è una coincidenza e che queste aquile non sono quelle della bandiera ma sono proprio le prime linee). La revisione dell’opera originale di Barleti sarebbe appropriata in quanto, così come è stato contraffatto l’elmo di Scanderbeg nel Museo di Vienna, può essere stata effettuata la modifica o la correzione, sotto un nome ben conosciuto dai contemporanei, del talentuoso traduttore Prifti.
Così, per esempio pagina 93-Bot II -1967, abbiamo "i residenti e molti altri della tribù degli epiroti, appena si sbarazzarono di Murad, seguirono anche senza invito il giovane leader e le bandiere delle aquile, poiché Scanderbeg portava bandiere rosse ricamate con l’aquila nera bicefala.” Osservate: Il leader, le aquile e le bandiere dal punto di vista della grammatica linguistica sono divisi.
A pagina 406 non è stato fatto molto per farci capire quali erano le aquile, e osservate come viene data l’espressione: “mandò avanti, secondo la consuetudine, le aquile e le loro bandiere e appena tuonò la tromba iniziò una aspra lotta”. Cioè, l’avanguardia sono le Aquile che ovviamente portano anche le loro bandiere in mano secondo il rito di ogni esercito.
Continuiamo ad osservare: è normale che l’avanguardia militare venga chiamata aquila “sul quale Marte, versava tutto il potere e il coraggio” dice Barleti. Ma poiché Marte nel latino di Barleti corrisponde nella lingua Epiriota ad Ares (così viene chiamato il dio greco), ne deriva che l’avanguardia dell’esercito di Scanderbeg non è stata chiamata “figli di Marte”, ma “figli di Ares o dell’Aquila di Ares (alb. Shqipe të Arit)"; nella mitologia in base alle generazioni pelasgiche “l’aquila è proprio figlia di Ares”.
Ma come è successo che tornò ad essere un nome? Ritorniamo alla costituzione spirituale del popolo che ci ha lasciato un vero arsenale di rappresentazioni su Scanderbeg.
Il punto di partenza di questa eredità sono le testimonianze oculari dei soldati, dei comandanti e della stessa avanguardia militare, i quali oltre ad essere partecipanti nelle figurazioni fantastiche – ricevute in eredità dalla tradizione orale popolare – secondo la legge di guerra, attraverso la condivisione del bottino sono anche i suoi principali beneficiari. Si noti che l'esercito ottomano, il cui bottino veniva condiviso tra i combattenti vincenti, ha sempre avuto presente l'oro o Ares. In questo modo i primi trasmettitori della storia sono stati proprio i combattenti, i quali per Scanderbeg sono i seguaci di ‘Shqipe të Arit’ (ita. Aquila di Ares) mentre per quelli che non conoscevano questo concetto (facciamo riferimento al caso in cui non si usava il concetto mitologico, anche se in realtà si è mostrato fino a tardi che era l’opposto) sono seguaci delle aquile che portavano l’Oro in termini di ricchezza.
Una delle cause della rovina del Paese dopo Scanderbeg sta anche nel fatto che la guerra non solo non portava ricchezza, ma il vincitore (gli ottomani) distruggeva e devastava il Paese.
Pertanto ‘Shqipet e Arit’ non erano tali solamente perché così li considerava Scanderbeg, ma anche perché portavano oro in grosse quantità per la popolazione che rappresentavano. Perciò questo nome si usava nei territori che hanno aderito all'esercito di Scanderbeg.
La consapevolezza di questa derivazione e il sostegno della costituzione spirituale di questa coscienza, lo spiegano gli esponenti del nostro Rinascimento con la frase "La religione degli Albanesi è l’albanesità (Shqip-t(ë)-Arit)", poiché questo nome è proprio un nome divino e religioso della mentalità pelasgica.
Rimane ancora un altro aspetto da esaminare e che ci può spiegare molto di più sul problema. Si tratta dell’Elmo originale e delle lettere che sono state scritte in esso. Nella eredità pelasgica figurativa è presente l’associazione della figura con il proprio nome.
Offrendo la possibilità di esame allo studioso Niko Stillo – l’unico conoscitore al mondo di oggi in grado di pronunciare le lettere antiche secondo i periodi e i luoghi in cui sono stati usati – si giungerebbe probabilmente al fatto che il nome Shqiptar (ita. albanese) è scritto nell’elmo come una spiegazione di tutti i simboli posseduti da Scanderbeg.
Nota: I nostri leader, per la seconda volta nella storia della nostra nazione, impostano un codice morale in primo piano, "le origini e la definizione della religione della nostra identità": Scanderbeg lo ha designato come denominazione, mentre il Rinascimento lo ha richiamato nell’ambiente degli Stati europei come consapevolezza inevitabile per il futuro e lo ha definito come la nostra Religione. E tutto ciò succedeva proprio nell’epoca durante la quale il Cristianesimo e la Mezzaluna continuavano a dividere il mondo in due; in fondo noi non possiamo essere né l'uno e né l'altro perché in qualche modo facciamo parte della loro creazione.
Osserviamo la situazione nel XIX secolo (sec. XVIII-XIX)
Ali Pasha e i Bushati
(I distretti amministrativi più potenti dell’Impero Ottomano, almeno nei Balcani)
Ci si chiede: In questo periodo della creazione degli Stati europei di oggi e della separazione degli Stati balcanici che si trovavano sotto l’Impero Ottomano,
• Quale sarebbe stata la continuità della storia in Europa e dell’Impero Ottomano se questi due distretti amministrativi si fossero uniti (tramite un matrimonio oppure una forma di dipendenza)?
• Cosa sarebbe stata la penisola Balcanica (un punto di incrocio) con un’Albania indipendente e forte economicamente e militarmente per le forze potenti dell’epoca in lotta per un "Nuovo Ordine Mondiale”?
- La Russia (chiedeva il rafforzamento degli slavi dei Balcani e lo stretto dei Dardanelli).
- L’Austria (la ricompensazione delle perdite del Santo Impero e la sua influenza sui Balcani mentre gli ottomani si indebolivano)
- La Francia (dopo Napoleone serbava inimicizia nei confronti di Ali Pasha).
- L’Inghilterra (i Balcani in questo periodo erano al di fuori dei suoi interessi).
- La Turchia (tramite i business sporchi con le potenze Russia e Inghilterra, con predominanza degli interessi della Russia).
• Questa era la ragione per cui le potenze dell’epoca diedero di fatto l’indipendenza alla Bulgaria e alla Serbia (non furono aiutati), mentre l’indipendenza degli albanesi – che realmente lo realizzarono nel sud sotto la guida di Ali Pasha, al quale tagliarono la testa – fu manipolata da queste potenze. Così, sotto il nome di un Paese che non è mai esistito in quanto tale, la Grecia, e sotto l'egida amministrativa dell’Austria e la sorveglianza della Chiesa realizzarono uno Stato con albanesi ma non per gli albanesi, per gli slavi. Attraverso il Patriarcato di Costantinopoli, la Chiesa Ortodossa Russa ("la Terza Roma") avrà pieni poteri nelle politiche di sviluppo, cosa che continua fino ad oggi.
Qui inizia una vera e propria piattaforma ideologica di assimilazione attraverso la Chiesa di tutta quella popolazione che oggi conosciamo con il nome Arvanitas (ita. albanesi).
Ecco perché gli esponenti del nostro Rinascimento (illuminati dall’antico sapere capirono l'ostilità di tutti gli altri contro di noi) proposero dopo Ali Pasha un motto ideo-etnico per la Nazione, e non un motto guerrafondaio, che portò all’indipendenza senza le armi. Con la figura di Scanderbeg loro non portarono un esempio d’ispirazione – in tal caso sarebbe stato sufficiente Ali Pasha Tepelena con lo stato più potente creato nel Mediterraneo – ma portarono la sua Volontà secondo cui: la RELIGONE degli albanesi è ‘Shqip’t’Aria’. Il che significa che noi siamo i Pelasgi della Sesta Generazione.
Così Alessandro Magno, Scanderbeg, gli esponenti del Rinascimento, Niko Stillo, ecc., giungono alle stesse conclusioni senza riferirsi l’un l’altro, ma riconoscendo direttamente la Mitologia Antica e la sua appartenenza.
Nota: Abbiamo cercato di esporre brevemente la spiegazione del simbolismo dell’Elmo di Scanderbeg e della denominazione ‘shqiptar’. Ma siamo consapevoli che i lettori di questa scritto, dei livelli accademici, sia in Albania che all'estero sono completamente impreparati a masticare questi dati. La mancanza di formazione riguardo la conoscenza delle antiche culture è molto presente. Il ritrovamento di questo elmo, e di quello che è stato falsificato dalle esposizioni ed interpretazioni dei ricercatori stranieri, ci fa cogliere l’imposizione pianificata del vuoto d’informazione culturale che proviene da tempi antichi, molto tempo prima della formazione della cultura greco-romana. Ma a chi giova tutto ciò?
(continua...)
domenica 29 agosto 2010
Il Fatto Argomentativo nr.2 - Il nome “Shqiptar” (ita. albanese)
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