martedì 30 marzo 2010

Tefta Tashko Koço, l’usignolo albanese.

Tefta Tashko Koço, l’usignolo albanese.
di Brunilda Ternova



La soprano Tefta Tashko Koço, una delle figure rilevanti dell’interpretazione vocale in Albania, con la sua voce bellissima e autentica, durante la sua breve carriera ha sfoggiato un incredibile talento eseguendo sia musica lirica cittadina che un ricco repertorio di musica classica operistica. L'articolo ricostruisce le tappe più importanti della sua vita. Nata in Egitto nel 1910, attiva sin da piccola nella vita artistica di Korça, formata musicalmente a Parigi e Roma, l'usignolo albanese che regalò emozioni indescrivibili al pubblico dell'epoca, si spense di cancro ancora molto giovane, lasciando un vuoto incolmabile nella musica albanese.


I primi anni

Tefta Tashko Koço nacque il 2 novembre del 1910 a Fajun, in Egitto, da una famiglia intellettuale e patriottica albanese. Il padre, Thanas Tashko, originario di Frashëri nella regione di Korça, era emigrato in Egitto con la moglie Eleni Zografi, figlia del patriota Pandeli Zografi.
Thanas Tashko fu una delle figure più importanti della diaspora albanese in Egitto e fautore di numerose iniziative: editore dei giornali “Shkopi”, “Sopata” e “Rrufeja”, ideatore e attivista dei progetti nazionalisti “Fan S. Noli” e “Vatra” in America, promotore e fornitore d'armi dei patrioti di Korça che combatterono contro l’Impero Ottomano per l’indipendenza dell’Albania.

Nel 1921, a sei anni dalla sua morte, la moglie Eleni Zografi insieme con i figli, 4 maschi e 3 femmine, decise di ritornare in Albania e di stabilirsi a Korça, sua città natale, uno dei centri culturali più importanti del Paese con un'attività artistica molto vivace. Vi troviamo all’epoca la banda musicale ‘Vatra’, la Società delle Belle Arti, il gruppo musicale ‘Lira’ e molti altri gruppi artistici e culturali più piccoli ma altrettanto produttivi.

Tefta, fin da bambina fu protagonista di spettacoli musicali, e iniziò ed essere attiva nei gruppi artistici insieme con Jorgjie File Truja (un’altra artista della musica vocale albanese), partecipando come solista alle performance artistiche che venivano organizzate spesso in città. Grazie al suo talento, il 26 giugno 1926, all'età di 15 anni, si esibì nel suo primo concerto ufficiale davanti al pubblico della sua città. Queste attività artistiche determinarono il suo destino e le sue future scelte artistiche e di vita. Era nata una stella!

In Francia
Tra il 1927 e il 1935, Tefta si trasferì con la famiglia a Montpellier in Francia, e iniziò gli studi superiori musicali per canto con risultati molto promettenti. Nel 1930 inciderà a Parigi per la casa discografica “Pathe”, le prime canzoni popolari albanesi con il noto gruppo iso-polifonico lab del compositore Neço H. Muko.

Nel 1931 incominciò il primo anno di studi per canto al ‘Conservatoire National de Musique et de Déclamation’ di Parigi con maestri del calibro di Jean Sere, Leo Bermandi e André Gresse. A settembre dello stesso anno, partecipò al concorso “Un’Opera Comica”, organizzato dal Conservatorio di Parigi, interpretando il ruolo di ‘Madama Butterfly’. Selezionata all’unanimità dalla giuria tra i 127 candidati presentati, fu elogiata per le sue alte qualità vocali-interpretative, collocandosi tra i primi dei 17 ammessi. Al termine del primo anno, partecipò ad un concorso di canto lirico, aggiudicandosi il secondo premio. Invece, negli anni 1935-1936 conseguì la specializzazione sempre nell’ambito del bel canto a Roma.


Ritorno in Albania
Il profumo della sua terra però non l'aveva mai dimenticato. Il 26 novembre 1935, dopo il suo ritorno in Albania, Tefta realizzò il suo primo concerto nella città di Korça, ottenendo un grande successo. Gli anni 1935-1939 sono stati per lei un periodo caratterizzato da un grande ed intenso lavoro artistico, pieno di concerti in tutto il Paese: Tirana, Shkodra, Durrës, Korça, Elbasan, Vlora, Berat,ecc.

In una lettera al famoso compositore albanese Baki Kongoli, che risale a questi anni, accennando alle varie difficoltà che affrontava in tournée, scriveva: “Il concerto è stato accolto con entusiasmo dal pubblico. Le canzoni di Elbasan sono state gradite ottenendo grande successo. Questo quanto riguarda l'appagamento morale, invece, sul lato materiale, abbiamo dovuto pagare 37 franchi d’oro di tasca nostra per le spese di pianoforte e per i locali del concerto.”

In questi spettacoli Tefta venne inizialmente accompagnata dal pianista Tonin Guraziu, poi sostituito dalla abilissima pianista Lola Aleksi Gjoka. Nei primi anni della guerra Tefta diede una serie di concerti radio e altri dal vivo in varie città albanesi. Per qualche tempo si occupò anche della preparazione dei nuovi talenti nel Liceo Artistico, lavorandovi come docente, incarico che dovette abbandonare a causa di una malattia grave comparsa nel 1937.

Nello stesso anno, conoscerà il baritono Kristo Koço, anche lui un artista laureatosi all’estero e appena tornato in Albania. Si sposarono nel 1940 e l’anno successivo partirono per Milano, dove Tefta incise alcune canzoni di musica popolare. Al loro ritorno diede alla luce suo figlio, Eno, che seguendo le orme dei suoi genitori, diverrà negli anni a venire direttore d’orchestra di musica classica noto a livello nazionale e internazionale. Eno Koço, ha pubblicato nel 2000, un libro dedicato a sua madre intitolato “Tefta Tashko e la sua epoca” (alb. “Tefta Tashko dhe koha e saj”) in cui riporta molte testimonianze che delineano la vita di questa donna straordinaria e talentuosa.


Repertorio musicale
Tefta Tashko Koço faceva parte di quella schiera di artisti albanesi che nei primi anni del Ventesimo secolo, arricchirono il repertorio tradizionale della musica popolare e cittadina albanese con nuove forme tecniche sopraffine. Molti degli artisti di quell’epoca trasformarono - tramite le voci operistiche del soprano, del tenore e del baritono - questi due generi musicali per portarli verso la declamazione pubblica di alta qualità. Le voci dei cantanti professionisti albanesi di quegli anni, in generale si sposavano con il suono strumentale occidentale dell’orchestra, con le intonazioni temperate e in qualche misura con il fraseggio concettuale della musica colta.

Tefta Tashko Koço apparteneva all’indirizzo della musica da camera, che mostrava l’origine orale della canzone tradizionale, e a quello operistico, che si basava sulla lettura e l’elaborazione degli spartiti. Concepiva le canzoni liriche cittadine come arie o ariosi e nelle sue intenzioni principali durante le esibizioni c’era il raggiungimento dell’ispirazione melodica, la quale creava l’immagine del suono e il ritmo musicale della canzone.

Sono ben note anche oggi al pubblico albanese le canzoni del suo repertorio che appartengono a questa gamma musicale, come: “La sorgente del nostro villaggio” (alb. “Kroi i fshatit tonë”), “Mi sono affacciata alla finestra” (alb. “Dola në dritare“),“Quando mio marito giunge dalla cascina” (alb. “Kur më vjen burri nga stani”), “Oh, dove stai andando piccola ragazza” (alb.“Oh, ku po shkon moj goce e vogël”), “Io ti ho amata” (alb. “Unë o ty moj të kam dasht “),“C’erano due cognate” (alb. “Ishin dy kunata”), “Zare rosa” (alb. “Zare trëndafile”), “Usignolo birichino” (alb.“Bilbil çapkëni”), “Il fiore piange il fiore” (alb. “Qante lulja lulen”), “Sei la grazia della bellezza” (alb. “Kenke nur i bukurisë”), “Soffia il vento del nord” (alb.“Fryn Veriu”), ecc.

Molte delle canzoni del suo repertorio appartengono alle poesie create da uno dei suoi migliori amici, il grande poeta albanese Lasgush Poradeci. Troviamo quattro poesie trasformate in canzoni con la musica del compositore Dhimitër Kovaçi: “La mia gioventù” (alb. “Të rite e vitevet të mi”), “Soffia il vento del nord” (alb.“Fryn Veriu”), “La mamma parlò con lamento” (“Foli nëna me vajtim”), “La nostalgia del poeta” (alb.’Mall i vjershëtorit’). Altre due - “Quando divenni grande bambina” (alb. ‘Kur mu rite vogëloshe’) e “La sorgente del nostro paese” (alb. “Kroi i fshatit tonë”) - con la musica del compositore Kristo Kono. Mentre, “Chi ti donò la bellezza” (alb. ‘Kush ta fali bukurinë’) con la musica del compositore Dhimitër Falli.

Di lei il grande poeta Poradeci dirà: “…Tefta era un’artista che aveva deciso di fare arte e non di utilizzarla per sostentarsi. Poteva fare la docente, ma lei non ci pensava nemmeno poiché voleva vivere con il frutto della sua arte e dei concerti. Su Tefta non do semplicemente informazioni ma do tutto il mio cuore!”

Oltre alle canzoni popolari e di lirica albanese, Tefta introdusse nei suoi programmi e nelle sue esibizioni anche le arie della musica lirica classica di autori rinomati a livello mondiale come Wolfgang Amadeus Mozart, Gounod, Franz Schubert, Giuseppe Verdi, Donizetti, Pergolesi, Bellini, Puccini, Rossini, ecc.


La sua vita breve è stata molto attiva e intensa, tra concerti e spettacoli onorando se stessa e il suo Paese anche nei palchi dei teatri stranieri. Partecipò negli anni 1937 e 1938 come soprano professionista alla Fiera dell’Est a Bari. Sarà presente nel 1938 con l’artista Lola Aleksi Gjoka alla Fiera Francese a Parigi. Insieme con l’altra cantante famosa Marie Kraja e con i cantanti albanesi prestigiosi e rinomati di quegli anni - Adem Mani, Xhevat Boriçi, Kolë Vjerdha, Taip Kraja, Karlo Pali, ecc. - partecipò al Festival di Folklore tenutosi a Firenze in Italia il 30 maggio 1939.

Nel 1945, eseguì con successo il ruolo di Mimì dall’opera “La bohème” di Giacomo Puccini, poi quella di Rosina ne “Il Barbiere di Siviglia” di Gioachino Rossini, il ruolo di Violetta ne “La Traviata” di Giuseppe Verdi, il ruolo di Leila ne “I pescatori di perle” di Georges Bizet, ecc.

Registrò due volte per la società discografica ‘Columbia’ in Italia - nel 1937 e nel 1942 - dischi contenenti numerosi brani tratti dal repertorio classico vocale e 45 canti lirici di musica cittadina albanese. Le registrazioni furono accompagnate dall’orchestra del ‘Teatro alla Scala’ guidata da direttori italiani d’orchestra come Segurini, Rizza, Consiglio e Ruisi.

Tefta aveva nel suo repertorio circa 90 canzoni popolari di tutte le regioni albanesi e circa 36 di esse furono registrate su disco negli anni 1930, 1937 e 1942 a Parigi e Milano. È da notare che in una buona parte dei casi, le registrazioni sono state effettuate in fretta e non sempre quando lo stato di voce della soprano era nella sua forma migliore. Nonostante la mancanza della buona qualità tecnica delle registrazioni 78 gpm (giri al minuto) del 1930 e di quelle effettuate in nastri nel 1940 e 1950 - qualità rinomata per quel periodo - le canzoni che contengono sono preziosissimi documenti sul concetto interpretativo della cantante.

Il suo stile di canto lirico cittadino adottò dall’arte colta la leggerezza necessaria per produrre linee melodiche eleganti. Tefta Tashko Koço è stata valutata dalla critica albanese e internazionale una soprano lirica con una formazione perfetta: timbro chiaro e vitale, intonazione pura e cristallina, tecnica vocale perfetta e performance sceniche misurate e raffinate.


Lo spegnimento della voce dell’usignolo
Gravemente malata, nel 1946 venne ricoverata in ospedale per curarsi dal cancro che la stava uccidendo e anche se cercarono di fare tutto il possibile i medici non furono in grado di salvarla dalla morte. Quella inesauribile energia che l’aveva caratterizzata per tutta la vita stava arrivando alla fine.
Intorno alla mezzanotte del 22 dicembre del 1947, all’età di soli 37 anni, si spense la vita di una grande artista eccelsa della cultura musicale albanese. Era bella, elegante, di grande stile e talento, ambiziosa, seria e costante nel suo lavoro e rigorosa nei confronti della sua perfezione artistica. La musica fu sempre parte della sua vita e del suo essere. Non riuscì a portare a termine tutti i sogni e i progetti che coltivava da anni nel settore professionale, però è riuscita a lasciarci numerosi documenti sonori che testimoniano ciò che un tempo fu considerato l’eccellenza del suo bel canto. Lei e la sua arte furono una sinergia consolidata di eleganza femminile e di cultura albanese di alto livello e ancora oggi più che mai - quando l’arte sta diventando pura apparenza e priva di contenuti - riesce a offrirci spunti per ulteriori riflessioni.
Dopo la sua morte le venne conferita il titolo nazionale “Artista del Popolo” (alb. “Artiste e Popullit”), e oggi in Albania in suo onore vengono assegnati premi e si organizzano concorsi e competizioni artistico- culturali.

Link: http://www.youtube.com/watch?v=3qBXzvJmdwk&feature=related
http://www.youtube.com/watch?v=5di0Xe1vf6I

giovedì 11 marzo 2010

Scanderbeg, il re guerriero dell'Albania.

di Brunilda Ternova


"Il destino di un uomo è diventato una lotta epica per la libertà delle nazioni, la gloria ha un prezzo terribile."

Il film-documentario "Scanderbeg - Il re guerriero dell'Albania" (ingl. "Scanderbeg -Warrior King of Albania") ricostruisce il ritratto dell’eroe nazionale albanese Gjergj Kastrioti Scanderbeg, basato principalmente sull’opera “Historia de vita et gestis Skanderbegi, epirotarvm principis” scritta tra il 1508 e il 1510 dal monaco albanese Marin Barleti.


Per rievocare la storia di quell’epoca, sono stati inclusi una serie di materiali e interviste con un panel di storici albanesi e stranieri esperti del tardo medioevo. Scritto da Nua Gjelaj e con la regia di Nick Gjonaj, l’anteprima del film-documentario è stata proiettata a New York, l’11 febbraio del 2007. I due si sono conosciuti casualmente nel 2002, grazie ad un dipinto di Scanderbeg, realizzato e messo in vendita da Gjelaj e acquistato da Gjonaj. Dopo vari incontri in cui discussero dei loro comuni interessi culturali e dell’ammirazione personale che avevano per la figura di Scanderbeg, si sono impegnati per cinque anni consecutivi nella realizzazione di questo documentario.

I coproduttori del documentario
Nick GjonajIl progetto inizialmente era nato come un’iniziativa personale di Gjonaj e Gjelaj che decisero di fondare “Illyria Entertainment Group” con lo scopo di promuovere la cultura albanese. Dopo un po’, a causa della mancanza di fondi si sono rivolti alle associazioni albanesi negli Stati d’Uniti che non erano disposte a sostenerli oppure non avevano i mezzi per farlo. Ma il tam tam è stato d’aiuto. Molti cittadini americani di origine albanese, desiderosi di vedere realizzato il loro progetto, li contattano via e-mail per contribuire finanziariamente. Durante questo periodo, entra in scena anche la produttrice esecutiva del documentario Tringa Gojcaj, agente immobiliare, fornendo l’aiuto finanziario che ha dato una grande spinta in avanti al progetto. “Quando ho incontrato Nik e Nua, ho visto che i due giovani erano finiti in un vicolo cieco su un progetto nel quale avevano messo tutto il loro cuore. Noi non abbiamo fatto tutto questo per diventare ricchi, ma pensiamo davvero che questa storia sia immensamente importante e che debba essere raccontata.”, ricorda Gojcaj del suo incontro con i due produttori.


Sono le radici alla base del loro progetto. Il regista Nik Gjonaj, discendente di una famiglia di emigranti albanesi di Detroit, innamorato del cinema e del patrimonio culturale albanese, da tempo aveva voluto realizzare un film su Scanderbeg. “Gjergj Kastrioti è l’Albania e l’Albania è Gjergj Kastrioti. Egli è l’essenza di ciò che gli albanesi vogliono: la libertà e l’onore. Ero molto interessato a catturare gli elementi mitologici e quelli umani di questo uomo leggendario. Sapevamo che era un grande soldato, ma abbiamo voluto guardare anche alle altre dimensioni della sua vita, per avere un ritratto solido del mito e della leggenda.”, racconta Gjonaj in merito al documentario.


Invece Nua Gjelaj ne svela il messaggio di fondo del loro documentario: “L’idea della lotta perdente contro un potere schiacciante dimostra che la gente è predisposta a resistere, poiché è meglio avere un proprio malgoverno che un invasore straniero benigno. Ed è proprio questo il messaggio che incarna l’idea del film, cioè, che nessuno può imporre le proprie convinzioni agli altri in merito a come dovrebbero vivere. Non si può riscrivere la storia, ma è possibile almeno imparare da essa.”

Gjelaj è un emigrato di prima generazione. Nato nell’ex Jugoslavia ed emigrato negli Stati Uniti nel 1972, prima a New York e poi nel Michigan, dove risiede attualmente, si è laureato presso la Wayne State University dove ha terminato anche il Master in Storia sul periodo tardo-medievale dell’Europa orientale. Gjelaj, sceneggiatore e direttore artistico del documentario, si è documentato negli archivi storici, visionando documenti albanesi e stranieri sull’eroe per stendere la sceneggiatura. Insieme a Katerina Boçi, si è occupato anche del design e della preparazione dei costumi, elmi, spade, abiti, e comportamento dei personaggi, un’altra sfida difficile da affrontare.

I coproduttori hanno a cuore la trasformazione del documentario “Scanderbeg - Il Re Guerriero dell’Albania” in un vero e proprio film a lungo metraggio. Il loro obiettivo è quello di firmare un contratto con una grande casa produttrice hollywoodiana per la realizzazione. Nel frattempo, stanno lavorando su un nuovo progetto: il documentario “Illiria” che si occuperà in particolare dell’evoluzione della cultura e della storia illirica in una prospettiva diversa. Questo progetto vuol essere una documentazione importante del contributo degli illirici alla civiltà europea e occidentale, prima della caduta della Grecia antica e della nascita di Roma.

I premi ricevuti
I due premi prestigiosi vinti dalla casa produttrice ‘Illyria Entertainment Group’ nella sezione documentari di due concorsi internazionali, tra migliaia di altri film, hanno fatto sì che i due produttori godessero ulteriormente i frutti del loro lavoro. L’opera è stata valutata come il miglior documentario storico-biografico al “The Telly Awards” vincendo il Premio d’Argento tra altre 18 mila realizzazioni, invece al “International Davery Award” ha vinto il Premio d’Oro tra altri 15 mila.

E’ un film-documentario che ha cercato modestamente di colmare il vuoto che dilaga nella filmografia albanese riguardo la figura del nostro eroe nazionale, evocando la storia del popolo albanese. Ricordiamo che il primo e l’unico colossal realizzato sulla sua figura è quello intitolato "Il Grande Guerriero Scanderbeg" (ingl. “The Great Warrior Skanderbeg”) del 1953 in collaborazione con il regista sovietico Sergei Yutkevich, premiato anche al Festival di Cannes.

Il cast
Gjonaj e Gjelaj si sono avvalsi di un cast di giovani e talentuosi attori. Anton Gojcaj interpreta Scanderbeg, Iliriana Sinishtaj, sua moglie Donika Kastrioti, invece nei panni del monaco albanese Marin Barleti troviamo Zef Lulgjuraj. Altri interpreti sono Tom Ivanaj, Mirash Gjelaj, Mario Malotaj, Gjergj Micakaj, Luke Micakaj, ecc. Le riprese sono state effettuate a Michigan, Londra, Vienna, Albania, Kosova, e Roma.


Il panel di storici
Gli eventi storici dell’epoca e la figura di Scanderbeg vengono ricostruito grazie agli interventi di un panel ricco di storici albanesi e stranieri quali Dott. David Nicolle – Nottingham University, Dott. Musa Ahmeti – Studioso degli Archivi Segreti del Vaticano, Kenneth Walters – Wayne State University, Jahja Drancolli – Professore di Storia all’Universita di Prishtina in Kosova, Dott. Isa Blumi – New York University, Kristo Frasheri – Professore di Storia all’Università di Tirana, Oliver Schmitt – Vienna University, David Abulafia – Professore di Storia Mediterranea al Cambridge University.

Breve analisi illustrativa
Il rafforzamento dei signori feudali e dei principi albanesi, come risultato di un lungo e doloroso processo di sviluppo politico-sociale ed economico-culturale iniziato nel IX secolo, portò alla formazione di diversi principati feudali in diverse regioni dell’Albania etnica. La posizione geografica dell’Albania, situata tra l’oriente bizantino e l’occidente cattolico, fece dividere gli albanesi in due credi religiosi: a nord i cattolici e a sud gli ortodossi cristiani. Come se non bastasse gli stessi principi feudali albanesi lottavano tra di loro per allargare le terre e il dominio sugli altri principati più deboli.

La situazione dei principati albanesi si complicò ulteriormente dalle interferenze della Repubblica di Venezia e dell’Impero Ottomano che si rilevarono devastanti per le loro sorti. Nelle civiltà in conflitto fra Oriente e Occidente, comincia a profilarsi sull’orizzonte orientale il piano di un impero islamico universale. Senza pietà l’Impero Ottomano divorava popoli e nazioni, allargando tra il 1300 e il 1481 le sue conquiste tramite guerre, alleanze e invasioni. Tutto grazie anche al crollo e alla degenerazione del sistema culturale e militare bizantino che aveva perso ormai l’influenza di un tempo.

Una delle figure importanti tra i principi albanesi più potenti in quell’epoca, era Gjon Kastrioti - Principe di Kruja e di Mati, al quale nel 1423 gli ottomani presero in ostaggio i quattro figli. Tra loro anche Gjergj Kastrioti Scanderbeg nato nel 1405. Strappato dalla sua famiglia e dal suo paese, il giovane principe fu trascinato nel palazzo del Sultano dove sarà destinato a diventare il comandante più brillante del suo tempo. Spogliato del suo nome albanese e costretto ad accettare l’islam, il sultano Murad II darà a Gjergj Kastrioti il titolo ‘Scanderbeg’ in onore di Alessandro Magno della Macedonia (Emathia) come indice chiaro dell’antico rapporto etnico-linguistico che legava le due figure. In lingua turca ‘Iscander’ vuol dire ‘Alessandro’ e ‘Bey’ vuol dire ‘Principe’.

Gli storici antichi ci hanno lasciato documenti che dimostrano che Alessandro Magno era il figlio del re macedone Filippo II e di Olimpia, una principessa illirica figlia del re dell’Epiro Neoptolemi I. Come testimone di questo antico legame riportiamo una significativa citazione della corrispondenza tra Scanderbeg e il Principe di Taranto, estratto da “I turchi e la storia di Scanderbeg” dello scrittore del XV secolo, Pagnel:

“…avete offeso il mio popolo chiamandolo ‘pecore Albanesi’ e secondo la vostra tradizione pensate a noi in termini offensivi.
Voi avete dimostrato di non avere alcuna conoscenza della mia razza. I miei avi erano Epirioti, da dove proveniva Pirro, la cui forza a stento poteva essere sopportata dai romani. Questo Pirro, che Taranto e molti altri paesi d’Italia appoggiarono con l’esercito. Non ho bisogno di parlare degli Epirioti. Loro sono uomini molto più forti dei tuoi tarantini, una specie di uomini umidi nati solo per pescare. Se si vuole dire che l’Albania sia una parte della Macedonia, io posso concedere che molti dei nostri antenati erano nobili che si spinsero fino in India, sotto il comando di Alessandro Magno sconfiggendo quei popoli. È da questi uomini che discendono quelli che tu chiami ‘pecore’. Ma la natura delle cose non è cambiata. Perché i tuoi uomini fuggono davanti a queste ‘pecore’?”.

Per non parlare dell’elmo che porta in sé il simbolo pelasgico della capra Amaltea (che secondo il mito aveva nutrito con il suo latte Zeus da bambino), e la incisione * IN * PE * RA * TO * RE BT * (Jhezus Nazarenus * Principi Emathie * Regi Albaniae * Terrori Osmanorum * Regi Epirotarum * Benedictat Te) che si traduce ‘Jezus di Nazareth benedice il Principe di Emathia, Re d’Albania, Terrore degli Ottomani, Re dell’Epiro’. È importante capire che nel medioevo l’etnicita ‘macedone’ ed ‘epiriota’ era sinonimo di ‘albanese’ secondo gli studiosi.

Nel suo intervento al documentario, il Prof. Jahja Drancolli evidenzia il fatto che Scanderbeg fu preso ostaggio già in età adulta quando la sua personalità e identità era ben formata, sottolineando che in realtà furono le sue capacità strategico-militari ad essere copiate dal sistema militare dell’Impero Ottomano e non il contrario. Questo aspetto emerge fin dall’inizio del documentario dal Prof. David Nicolle, il quale sostiene che gli ottomani copiarono molte cose dai paesi che occuparono incluso l’abbigliamento, le tradizioni, la cultura, e anche le strategie combattive militari.

Ecco perché la più potente macchina politico-militare del mondo di quel tempo non fu capace di sottomettere gli albanesi né con la forza, né con la quantità dei soldati inviati, né con la tattica militare, né con la tecnologia o con il denaro. Non solo, ma durante quei 25 anni di resistenza armata, l’Impero Ottomano è stato sconfitto in modo determinante e continuo, dimostrando che le qualità intellettuali, politiche, militari, e, soprattutto quelli morali e civili degli Albanesi erano sotto ogni aspetto superiori rispetto alla preparazione standard dell’Impero.


La società albanese del XV secolo possedeva già la qualità principale che dovrebbe avere una comunità per costruire una Nazione e uno Stato: la consapevolezza di chi erano, la conoscenza delle loro antichissime radici illiro-pelasgiche e di conseguenza la connessione con il loro passato. Tutto ciò era il risultato di un lungo processo che avrebbe avuto inizio già prima della creazione del Principato di Arbëri nel XIII secolo. In questo contesto le intenzioni di Scanderbeg non erano solo quelle di creare uno stato albanese alla periferia dell’Impero Ottomano, ma di distruggere l’impero stesso, per formare poi il Regno dell’Albania nei Balcani occidentali, ravvivando i gloriosi tempi di Pirro, Re dell’Epiro, e di Giustiniano, Imperatore di Bisanzio, dei quali era discendente a tutti gli effetti.

Scanderbeg creò la prima Lega Nazionale Albanese nel 1444 a Lezha, con lo scopo di unire tutti i territori albanesi in un unico stato nazionale basato sull’eredità etno-linguistica che li accomunava, diversamente dagli altri paesi balcanici che nei secoli addietro per la creazione dei loro stati si basarono sulla religione. Come specifica giustamente il Prof. Kristo Frasheri, il pilastro portante in cui si colloca tutta la resistenza albanese era il fatto incontestabile che gli Albanesi erano consapevoli di essere una Nazione già ben formata, molto tempo prima dell’arrivo degli ottomani nei Balcani. Altrimenti non saremmo mai stati in grado di affrontare l’invasione ottomana e di contrastare a lungo l’assimilazione.


La resistenza di Scanderbeg ebbe grande risonanza in Occidente, là dove si aspirava a un grande eroe trionfante nella lotta per la sopravvivenza contro l’Impero Ottomano. Infatti i documenti degli archivi, i giudizi dei suoi contemporanei come i Papi di Roma o le famiglie reali con i quali Scanderbeg aveva stipolato alleanze, l’Umanismo e l’Illuminismo europeo, la storiografia, ecc., fanno capire che era una delle figure più importanti del Sud-Est Europa della sua epoca.

È di massima importanza comprendere che gli albanesi con la loro resistenza contro l’Impero Ottomano sacrificarono la loro stessa nazione, salvando così la civiltà occidentale dalla conquista dei turchi, quella stessa civiltà occidentale che li abbandono al loro tragico destino di sofferenze per 400 anni. Gjergj Kastrioti Scanderbeg era certamente un uomo, ma la storia che ci ha lasciato e ci ha tramandato non lo rende un uomo semplice e ordinario, ma una legenda vivente nei secoli a venire. Lui era il modello e il simbolo di una giusta causa: la libertà contro la schiavitù, la ragione e l’ordine politico contro l’oppressione, valori fatti successivamente propri dalla filosofia illuminista.

Il suo contributo non andò invano e non morì con lui, anzi, divenne la fonte del Rinascimento Albanese, dello sforzo sublime per l’indipendenza. Lui era e rimane il nucleo dell’identità nazionale, dell’eredità spirituale e della coscienza contemporanea di ogni albanese.


Link del trailer: http://www.illyriaentertainment.com/projects-warrior-trailer.htm

http://albanianews.it/cultura/storia/item/1028-giorgio-castriota-scanderbeg

lunedì 1 marzo 2010

Farsa giudiziaria - Ex iniuria ius non oritur – Dall'ingiustizia non scaturisce la giustizia .

Farsa giudiziaria - Ex iniuria ius non oritur – Dall'ingiustizia non scaturisce la giustizia. di Valon Kurtishi

Pubblicato sul Periodico Vetëvendosja n.230 del 1 febbraio 2010.
Tradotto per AlbaniaNews da Brunilda Ternova



Il 15 febbraio 2010, nel Tribunale Distrettuale di Prishtina inizia il processo contro il leader del Movimento Vetëvendosja, Albin Kurti. Secondo le informazioni, il panel dei giudici dell’EULEX sarà un mix di albanesi ed europei che sono anche paladini di questo strano caso giudiziario.

Il processo riguarda le manifestazioni che Vetëvendosja ha organizzato il 10 febbraio 2007 contro il piano dell'inviato speciale dell'ONU per lo status del Kosova, Martti Ahtisaari, che rappresentava la base per l'indipendenza condizionata e la sovranità ridotta che gode oggi lo stato più giovane del mondo, il "Kosova multi-etnica”.

In questa protesta pacifica sono stati uccisi due manifestanti e gravemente feriti più di 80 persone. La polizia internazionale, in particolare i poliziotti rumeni delle Nazioni Unite, sono stati direttamente responsabili dell’omicidio dei due giovani colpiti da diversi tipi di munizioni il cui uso è vietato dalle convenzioni internazionali. Diversi veleni paralizzanti e dolenti, vietati dagli accordi internazionali, sono stati utilizzati in larga scala dalla polizia internazionale.

Il processo a carico di Kurti è stato trasferito dall’UNMIK all’EULEX, e quest’ultimo non si considera responsabile per le azioni degli agenti di polizia delle Nazioni Unite, in quanto è un organismo che dipende dall’Unione Europea.

Non è altro che il modo di ragionare di chi non è interessato a rivelare la verità e per coprire la responsabilità diretta della polizia internazionale, organizza processi montati lontano anni luce da un potere giudiziario indipendente.

Nell’aula della Corte dovrebbe essere processata la polizia rumena con l'accusa di omicidio dei due giovani innocenti e altri ufficiali della polizia internazionale che hanno abusato delle loro competenze nell'uso della violenza contro i pacifici dimostranti albanesi.


Per quel che riguarda le accuse contro Albin Kurti, è chiaro che sono una pura e assurda macchinazione per i tempi in cui viviamo. I corpi d’accusa devastano l’autorità della stessa Corte e di Kurti, dal momento che riguardano reati commessi in gruppo quali l’impedimento di pubblico ufficiale nello svolgimento delle proprie funzioni e l’incitamento alla resistenza durante gli eventi del febbraio 2007.

Sono capi d’accusa che dovrebbero essere rivolti ai poliziotti internazionali, responsabili dell’escalation della situazione, dell’uccisione di due manifestanti di una protesta tranquilla in una capitale europea, il ferimento di molti altri e l’utilizzo di sostanze tossiche di cui un gran numero di attivisti ancora oggi soffre le conseguenze.
Il Tribunale, a quanto pare, considera l’organizzazione di manifestazioni pacifiche per esprimere la propria volontà politica un reato penale. Nemmeno i peggiori regimi totalitari hanno agito in questo modo.

Nelle democrazie liberali occidentali, il diritto delle persone di organizzarsi in forme associative, quelli di libera espressione delle opinioni politiche e di manifestare pacificamente, sono diritti fondamentali e per di più fanno parte del corpus dei diritti umani e delle libertà, firmatari dei quali sono tutti i Stati membri delle Nazioni Unite.

Per questo motivo, cade immediatamente il primo capo d’accusa contro Kurti e gli altri attivisti del Movimento non violento Vetëvendosja. Se Albin Kurti è intervenuto per salvare qualche cittadino o giovane dalla violenza sfrenata della polizia rumena e quella internazionale, non significa impedire i pubblici ufficiali nello svolgimento delle loro funzioni. Anche l’autodifesa o la protezione delle persone dalla violenza della polizia serba nel passato apartheid veniva congetturata allo stesso modo. A quanto pare, il pubblico ministero dell’EULEX imita il potere serbo persino nelle diverse raffinatezze giuridiche.

L’altro capo dell’accusa sull’incitamento alla resistenza durante gli eventi di febbraio, è altrettanto una menzogna senza alcuna connessione con la realtà.

Se l’appello di un gruppo della comunità civile del Paese, a reagire pacificamente ad una particolare decisione circa la sorte di quella comunità, viene classificato come reato penale, ciò non appartiene al nostro tempo. È almeno dal 1789 che il sistema europeo di giustizia difende la libertà d’opinione su determinate questioni sociali.
Se il Movimento Vetëvendosja ha espresso la sua opinione pubblicamente in merito al massacro del 10 febbraio 2007, questo non e un reato, anzi serve a svegliare il sentimento di solidarietà nei confronti di coloro che soffrono e lottano per il bene comune e gli interessi della collettività.

In generale, la continuazione di questa farsa giudiziaria è una vergogna per l’EULEX, l'UNMIK, il governo del Kosova e di tutti i soggetti coinvolti in essa. Per di più, oltraggia e mette in dubbio la giustizia e i valori morali che essa ha il dovere di difendere e rispettare.

Chi ha commesso un reato punibile secondo le leggi del sovrano e di Dio sono coloro che hanno ucciso i due manifestanti pacifisti, hanno massacrato altri 80 e avvelenato più di 5.000 persone nel centro di Prishtina.