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domenica 25 settembre 2011

La tradizione serba non possiede canti epici - di Veis Sejko


Estratto dal libro “Sugli elementi in comune nell’epica albanese - arbëreshë e quella serbo-croata”
(traduzione di Brunilda Ternova)

La tradizione serba non possiede canti popolari di eroi propriamente detti. Lo strumento musicale Liuto (alb. Lahuta) è noto in Serbia grazie ai cantori erranti stranieri ciechi e non, che vagavano su e giù per guadagnarsi da vivere, e i serbi consapevoli di non avere esattamente una propria Epica, ronzarono intorno ad essi. Le canzoni epiche dei cantori ciechi non erano apprezzate dalla gente e nemmeno dagli autori serbo-croati che nei loro confronti si esprimevano con parole di disprezzo. Questi cantori ciechi non erano realmente dei veri rapsodi di professione, ma si sono occupati di questo lavoro solo per necessità. Tra di essi avevano una certa abilità Filip Visnjić e un uomo cieco di nome Qorr Hysa, il primo proveniva dall’Erzegovina e il secondo dalla Bosnia. (N.d.T. ‘Qorr’ in lingua albanese vuol dire ‘cieco’) 

Tuttavia, il distretto della città serba di Uzhice e in parte la regione di Jadri nella Serbia occidentale sono popolati da emigrati della Erzegovina, Bosnia e Montenegro, i quali hanno canti epici con il Liuto, il che dimostra ancora meglio che la Serbia propriamente detta non è una zona di cultura Epica.
L’aspetto strano è che, nonostante la Serbia non possieda il folk epico con il Liuto, nessuno degli autori serbo-croati riesce ad ammettere che non ne sono i possessori. Anche Vuk Karadzic, a questo punto balbetta e non riesce a pronunciare la parola “non abbiamo un folk epico”, ma gira intorno alla questione senza nemmeno affermare come stanno le cose. In una conversazione con A. Dozen nel 1857,  Vuk gli conferma questo: “Oggi solo in Bosnia-Erzegovina, in Montenegro e nelle regioni montane della Serbia meridionale esiste una specie di preferenza per il canto eroico ...” [August Dozen: La poesie populaire serbe, Paris, 1859, p. 3.]. Quindi, come si vede, la Serbia viene “inclusa” nella dichiarazione di Karadzic tanto per dire che le regioni montuose del sud - Kosovo odierno - hanno tendenze epiche. Vale a dire che la Serbia propriamente detta non l’adopera e questo aspetto non viene dichiarato in modo esplicito.
Osservando i tre volumi dei canti di Vuk Karadzic non esiste nemmeno un singolo canto che provenga dai villaggi e dai contadini serbi, il che significa che la Serbia non è mai stata l’area del Liuto e quindi nemmeno l’area dei canti eroici. Abbiamo poi due asserzioni chiare: quella di M. Ibrovaci che dice “Questa poesia così ricca e così diversificata è comparsa improvvisamente nel 1814”, e quella di Vuk Karadzic che afferma “le canzoni epiche ci sono oggi solo in Bosnia, Erzegovina e Montenegro”. Considerando ad literam le affermazioni di questi due autori, si evince che questa poesia apparve nel 1814 in quei stessi luoghi dove rimasero anche nel 1857, ma dove la Serbia stessa non risultava. Dal 1814 fino al 1857 sono solo 43 anni, un periodo troppo breve per la nascita, lo sviluppo e la morte di una poesia popolare. Tanta fretta non dimostrarono nemmeno i bugarstice (influenza musicale bulgara sulla musica popolare serba), che malgrado tutto lasciarono alcune canzoni, mentre i deseterci non lasciarono nessuna influenza in Serbia. Vuk Karadzic, avendo dei problemi fisici camminava con le stampelle e difficilmente poteva viaggiare recandosi personalmente nei luoghi serbo croati per raccogliere le canzoni popolari, ad eccezione di Karlovac, Serm e la Croazia - ovviamente sempre seduto su un trono a chiamare davanti a sé quei rapsodi che gli segnalavano. Questo difetto fisico costrinse Vuk Karadzic a creare una rete di corrispondenti in tutta la Croazia, Bosnia, Montenegro, ecc, per raccogliere e gestire i canti che gli venivano recapitati a Vienna, dove aveva stabilito la sua famiglia. La rete di corrispondenti era composta da capi dei villaggi, vescovi, sacerdoti, commercianti, insegnanti, generali, ecc, persone per così dire ‘istruite’ per quell’epoca.
Nella Serbia del 1822, Vuk raccolse quattro canti da un vecchio errante di Kolashin,  e altri quattro da un certo Angelico Vukovici dal Kosova, il quale cantò a Vuk tre canzoni piccole con contenuti della provincia croata e una canzone autobiografica; vale a dire nessun canto autentico serbo. Milivoje V. Knezevic nella sua relazione che riguardava il Liuto d’Acero, tenutasi nel VII congresso del folclore a Ohrid del 1960, ex- Jugoslavia, disse: “La Serbia nel senso stretto della parola, fuoriuscì dalla zona epica insieme con altre regioni del territorio serbo-croato, e con il declino della cultura patriarcale, l’estensione geografica del liuto vene concentrata in Montenegro, in Bosnia-Erzegovina e nella Zagora della Dalmazia”. [Mil. V. Knezevic: "Gusle javorove" VII Congresso di folklore Jugoslavo a Ohrid 1960, p. 348 .]
Quindi, nemmeno questo autore ci dice se in Serbia sia mai esistita oppure no una cultura del canto Epico con il Liuto. L’Autore si aggrappa al filo dell’ambiguità per lasciar recepire che un tempo in Serbia esisteva il canto epico degli eroi, ma ora non c’è più poiché lo ha fatto sparire la scomparsa della vita patriarcale. (?) Ma una tale pretesa sarebbe stata appropriata nel caso in cui nel passato in Serbia ci fossero state effettuate raccolti di canti epici. Dichiarare che si è persa la cultura epica dal momento che è scomparsa la vita patriarcale non è una giustificazione valida, poiché se osservassimo la Croazia e la Bosnia vedremmo che i canti epici hanno avuto una loro continuità.
Gli sforzi di questi autori per convincerci che in Serbia siano esistiti un tempo i canti epici e che adesso non esistano più non si presentano come un lavoro serio e responsabile. Vogliono forzatamente far apparire la Serbia come una zona epica, come fosse una montagna che nel passato ha avuto una foresta mentre adesso non ce l’ha più perché è stata disboscata. Senza darci esempi di canti serbi raccolti nei villaggi serbi e da cantori propriamente serbi in una certa data e anno, con quale coraggio si dice che la Serbia fu una zona epica mentre adesso non lo sarebbe più? 

In allegato riportiamo un elenco di opere e di cantori rapsodi di Vuk Karadzic, per  dare la possibilità al nostro lettore di capire che nella Serbia propriamente detta non ci sono e non ci sono mai stati cantori  serbi di canti accompagnati dal Liuto.
L’Ordine dei cantanti e delle canzoni di Vuk Karadzic.

Nome e Cognome / Di dove è  / Dove si incontrò con Vuk Karadzic / Quanti canzoni ha dato /
Teshan Podrugoviq / Erzegovina / Karlovac / Errante / 22
Filip Visnjić / Bosnia / Serm / Mendicante cieco / 13
Starac Milija / Erzegovina / Serbia / Errante / 4
Starac Rashko / Erzegovina / Serbia / Errante / 10
Stojai (ladro) / Erzegovina / Serbia / Prigioniero/ 3
Gjuro Cernagorac / Montenegro / Belgrado / Mendicante anziana / 6
Gaj Balaqi / Lika / Serbia / Soldato / 7
L’anziana Zhivana /? / Zemun / Mendicante cieca / 6
Angelico Vukovici / Kosova / Serbia / Emigrante / 4
Commerciante anonimo / Bosnia / Karlovac / Emigrante/ 3
donna Mehanxhiq / Croazia / Zemun / Guardia / 3
 Due montenegrini / Montenegro/ Serbia /Viaggiatori di passaggio/ 2

Anonimi
Un contadino anonimo / Serbia / Serbia / Agricoltore / 3
Stefania Plaka /? / Serbia / Mendicante cieca / 4
Un certo Rov / Serbia / Serbia / Proprietario / 3
Pavlo Iriq / Uzhica / Serbia / Proprietario / 6
Vaso Popovic /Croazia / tramite corrispondenza / Proprietario / 16
Commerciante anonimo / Bosnia / Serbia / Commerciante / 8
Anziana anonima/? / Serbia /? / 1
Ivan Beriq /? / materiale inviato tramite corrispondenza /? / 1

Urosh Voliq /? /? /?
Montenegrino anonimo / Montenegro / Serbia /? / 1 *

Primo – Come si può vedere nell’area serba non ci risulta nessun cantore rapsodo, ma ci sono solo degli individui erranti.
Secondo – I canti sono stati raccolti da persone eterogenee: 29 canzoni da mendicanti ciechi; 36 da erranti senza un indirizzo; 6 canzoni da pellegrini diversi; 9 canzoni da servi che non si sa di dove siano; 4 canzoni che provengono da un kosovaro e che non hanno alcun collegamento né con il Kosova e nemmeno con la Serbia. Lo stesso vale anche per i canti bosniaci di Kosta Hermani, che sono stati raccolti lontano dal luogo di origine, - come l’acqua che viene raccolta lontano dalla fonte del ruscello, direttamente dal fango.
In questo lavoro scientifico ci basiamo su un principio fondamentale: là dove suona il liuto è presente anche il decasillabo (ma là dove è presente il decasillabo non deve essere presente anche il liuto). L’etnografico russo P. Rovinski che è stato in Serbia, in Montenegro e Kosovo nel 1860, scrive nella sua opera ”Cernagorije” II  pagina 23: “da su gusle u Serbiji malo ponzate” che in italiano vorrebbe dire  “Il liuto in Serbia è poco conosciuto” [Murko: Gjurmët, 19].
Gli autori serbo-croati dichiarano che il Sandzak di Novi Pazar costituisce un ‘insieme epico’, (ibidem) e questo onore lo fanno a loro stessi e non agli altri - visto che il Novi Pazar è stato l’epicentro dello stato prima del 1280, cioè prima che l’epicentro monarchico, religioso e politico serbo convogliasse da Rascia in Kosova; e per non catalogare questo centro antico  dicono che oggi esso forma un ‘insieme epico’. Anche se di questo “insieme epico” non si conosce nessun canto, tanto nella raccolta di Vuk quanto in quelle di M. Parry e di A. B. Lord. Facciamo riferimento agli ortodossi serbi o ai musulmani del Novi Pazar - vale a dire alla popolazione che parla slavo come lingua madre -, poiché anche gli albanesi parlano il serbo come seconda lingua, cantano molti canti  con liuto dando vita così ad un “insieme epico”, e questo viene dimostrato in particolare nei due volumi del canto epico dei due autori americani.
Se fosse vero che i serbi avevano nella loro tradizione i canti epici, allora gli emigranti serbi dell’ Ungheria lo avrebbero dimostrato prendendo queste canzoni con sé in terra straniera, così come fece la popolazione albanese che emigrò in Italia - in Calabria, in Sicilia e altrove. In questo modo, anche se avessero perso queste canzoni in Serbia, le avrebbero mantenute in vita in emigrazione in Ungheria.
Sia per quanto riguarda gli altri slavi del sud che per i serbi, si impone una domanda fondamentale: come mai queste popolazioni non formarono un epica popolare durante le guerre sanguinose combattute contro i Franchi, i Bizantini e gli altri nemici? Comprendiamo i croati che furono quasi sempre sotto il giogo ungherese, ma non i serbi che riuscirono a vincere nelle loro guerre raggiungendo una certa indipendenza da Bisanzio dal 1196 fino al 1398, - anno in cui dopo la guerra del Kosova la persero nuovamente a causa dell’Impero Ottomano. Come è possibile che i serbi abbiano fatto una lunga lotta contro Bisanzio per molti secoli, senza aver creato nessun canto epico per ricordare le loro gesta? Noi pensiamo che ci siano, ma non sussistono in nessun caso. I serbi, tuttavia, sono un caso atipico.
Il primo ostacolo è stato il clero ortodosso che era sia serbo che Bizantino. In pratica Bisanzio non fu solo una scelta politica per i serbi, ma fu anche la loro metropoli religiosa. Per il rapsodo serbo sarebbe stato difficile cantare contro Bisanzio, poiché i sacerdoti lo avrebbero ucciso subito.
Il secondo ostacolo fu la mancanza di una linea epica, perché gli slavi in generale non furono capaci di assimilarla. Addirittura quando non potevano essere costituiti in liberi versi, i canti non furono registrati e conseguentemente persi. L’esistenza di canti in liberi versi nella popolazione ceca è una casualità, poiché qualcuno si impegnò a registrarle, ma questo succede raramente e non si verificò con i serbi. Supponendo che fosse stata presente nei serbi ma che la collezione fu persa e mai trovata, ciò dimostrerebbe solo l’esistenza della prosa ritmica. Ma l’Epica popolare non rimane in piedi solamente con la prosa ritmica, essa necessita di una metrica regolare. Il cantore serbo ha avuto la possibilità di prendere in prestito questa metrica dal popolo albanese, con il quale viveva in simbiosi e/o come vicino di frontiera, ma con una grande differenza: il popolo albanese cantava contro i re e i nemici serbi, dunque la sua canzone era, per i serbi, da evitare a tutti i costi. Anzi doveva essere maledetta due volte: la prima volta, perché la chiesa ortodossa serba non l’avrebbe mai accettata data la lesa maestatis contro i re serbi; la seconda perché gli albanesi erano oppressi e venivano disprezzati per la loro arcaica eredità culturale.
Sono molte le ragioni oggettive che non diedero agli albanesi la possibilità di formare il loro Stato durante i secoli VIII, IX, X, XI mentre gli slavi, in particolar modo i serbi, diligentemente tramite guerre sanguinose riuscirono a creare il loro. Le cause principali sono state esattamente la doppia oppressione e la penetrazione nelle fila degli albanesi dell’elemento serbo. In merito alla situazione degli  albanesi, i quali si trovavano tra l’'incudine e il martello, tra l’oppressione bizantina e quella serba, sono state spese parole anche dagli stessi autori slavi. L’autore croato Milan Shuflai dice: “Oppressi dai greci a sud, e moltissimo dai serbi a nord, gli aristocratici albanesi si sono rivolti agli Angiò a Durazzo e Napoli” [Dr.Milan Shuflai: Serbi e Albanesi (prospetto medievale), con l’introduzione di St.Stanojeviq, professore presso Università di Belgrado. Tradotto da Zef Fekeçi e Karl Gurakuqi, Tirana 1926, p.59.]
Questi due occupanti, che erano in conflitto tra di loro ma solidali contro gli albanesi, non davano a quest’ultimi tempo e spazio neanche per respirare. Questa ostilità diventava ancora più aggressiva vedendo che gli albanesi si coalizzavano con l’occidente, sorreggendo le loro speranze principali nelle rivolte. Forse alla fine di una di esse arrivavano a creare un nucleo militare stabile all’origine dello Stato. Ma le insurrezioni albanesi, come dalla narrazione di Ataliati (1043) o come accennato dai fratelli Dhimitër e Bogoje Suma (1331) contro Stefan Dusan, causavano grandi stragi senza creare un nucleo statale, rimandando più in là le speranze in uno Stato. Un popolo che ha uno Stato è un popolo che ha una capitale, una amministrazione nazionale e locale, un capo, un esercito, l’organizzazione della propria cultura, delle leggi e tribunali, ecc. Condizioni necessarie per vivere collettivamente con diritti e doveri equi e dignitosi. Un popolo senza uno Stato è come una carrozzeria senza motore buttata per terra che chiunque può squartare e saccheggiare. In una nazione senza Stato regnano gli interessi, vincono i più forti, la violenza, la vendetta, ecc. aspetti questi che diventando principi fanno sì che il nemico esterno penetri facilmente. In aggiunta, una nazione senza Stato è disprezzata ed è calpestata dagli altri, sentendosi essa stessa debole e umile.
Il popolo albanese seppe creare una comunità militare sotto la guida di Scanderbeg, tale da sfidare un intero impero potente, come quello ottomano, resistendo molto meglio e più a lungo rispetto ai vicini balcanici  - che fruivano di una organizzazione statale. Questa nazione, la popolazione albanese, non si e incamminata durante la storia come una folla sparpagliata, ma ha esercitato una efficiente organizzazione tribale interna, con in testa i suoi nobili e le casate - che non era altro che uno stato in miniatura che aveva le sue leggi, i suoi tribunali, il suo mondo culturale, i suoi confini politici, i suoi alleati e l’esercito per affrontare il comune nemico esterno per il bene di tutta la nazione.
Anche nei suoi momenti più critici la popolazione albanese non è mai stata una massa amorfa, si presentava piuttosto come una unità pronta a raccogliere un esercito come quello del re illirico Bato, Skanderbeg o della Lega Albanese di Prizren, ecc. Per le loro qualità virili e pagane gli albanesi sono stati temuti dai loro nemici, così come ci spiega anche Vincenzo Dorsa: “Dice Byron: Non vi  è un Popolo più odiato e temuto dai suoi vicini come gli Albanesi … i greci a malapena li considerano cristiani, e lo stesso i turchi a malapena li considerano musulmani. Per quanto io ho potuto constatare altro non devo loro che degli elogi…” [Vincenzo Dorsa: Su gli Albanesi, ricerche e pensieri, Napoli, 1847, fq. 138-139.]
Durante lo Stato medievale serbo, il Liuto - essendo uno strumento senza rilevanza, primitivo e appartenente ad un popolo snobbato che lo utilizzava contro gli stessi re serbi – non fu trasmesso ai serbi e non fu adottato da quest’ultimi. Inoltre i serbi stessi in quel momento particolare della storia non avevano di cosa cantare con questo strumento musicale - visto che loro stessi erano degli aggressori e antagonisti. Durante il dominio turco il Liuto ai serbi non serviva poiché essendo dei raja (schiavi liberi) a loro servivano piuttosto strumenti lavorativi come il piccone e le pale per lavorare la terra. I serbi presero già pronto il Liuto da terzi, dai cantori presi a prestito, in ugual modo di come i bosniaci oggi si trovano ad avere al loro interno il bilinguismo del Novipazar. I cantori prestati non sono proprio stranieri, ma sono popolazioni bosniache, montenegrine e hercegovine.
Se gli autori serbi dicono che “Il valore morale del Liuto si osserva quando si dice che il Liuto liberò la Serbia dai turchi, …” [MURKO, Tragom, pagina 196 ], si deve tener presente il cantore cieco Filippo Vishnjiq; Quest’ultimo si incamminò dalla Bosnia verso la Serbia nel 1809 e cantò il primo canto della liberazione serba “L’inizio della rivolta contro i dahis” (N.d.T, i dahis erano leader dei giannizzeri), così come molte altre canzoni che furono le prime conosciute dai serbi sul loro suolo. Come è ben noto le rivolte serbe iniziarono nel 1804 con l’aiuto della Russia, raggiungendo l’autonomia nel 1817. L’aiuto del Liuto in questo caso è a dir poco eccessivo.

Ringraziamo la signora Esmeralda Tyli – nipote dell’autore – per aver autorizzato la traduzione e la pubblicazione di questo materiale.

sabato 17 aprile 2010

Interview with Professor Alberto G. Areddu author of the book "Albanian Origins of Civilization in Sardinia”.

Interview with Professor Alberto G. Areddu author of the book "Albanian Origins of Civilization in Sardinia”.

by Brunilda Ternova


Prof. Alberto G. Areddu has been interested for years in the discipline called "Sardinian language" regarding which he published: Studi Etimologici Logudoresi, Postille e Aggiunte al DES (1996), Launeddas and other greek-italic studies (2004). He published his works in Berkeley Romance Philology, and was reviewed by HJ Wolf in Zeitschrift für Romanische Philologie (2002).
In his latest essay "Albanian Origins of Civilization in Sardinia" the author continues his research back to the original sources of Sardinian language, testifying and highlighting the most compelling paleo-illiric perspective relying upon many elements of topography and several lexemes so far unexplained.

Brunilda Ternova: First, Professor Areddu thank you for the chance you offered us to do this interview, enabling the Albanian readers (in Albania and in diaspora) to know you and your scientific works.

Prof. Alberto G. Areddu: Thank you for giving me the opportunity to talk about my works.


Brunilda Ternova: Since it is hard to conceive the work detached from its creator, let me ask you something about yourself. Who is Professor Alberto G. Areddu, where was he born and where did he grow up?

Prof. Alberto G. Areddu: I was born in Genoa (Italy) from Sardinian parents. There I also graduated, after that I moved to Sardinia island. At the moment I’m a teacher in a public high school.

Brunilda Ternova: Your latest essay "Albanian Origins of Civilization in Sardinia" was published in 2007 and is a book that deals with many interesting arguments in linguistic, ethnographic and historical fields. Can you explain to us what this book represents to you, what drove you to undertake a study of this nature and how these studies emerged and grew developed during the time?

Prof. Alberto G. Areddu: Well, the interest that always got me was to find explanations about what were the origins of the Sardinians, who, being islanders, should definitely have come from somewhere. Till now the various hypotheses that emerged, simply contradicted each other. It’s a long I have been through the etymological research in the field. The difficulty was in being able to procure the proving material so to support from a scientific perspective those that were originally simple insights.

Brunilda Ternova: What are the strengths that you think can support your theory about the Illyrian origins of civilization in Sardinia? And why other scholars hesitate and are afraid to deal with these matching points in antiquity between the Sardinian people and the Illyrians?

Prof. Alberto G. Areddu: This is a crucial question. It should be known, and we can say it without fear at all, that the issue of antiquity, especially the toponymic reconstruction in Sardinia, is contracted only by a few scholars who have no interests in allowing non-academics to express opinions contrary to the hypothesis or their works. So happened that the only review (mostly positive) published, belongs to a non-Sardinian, the well known balkanologist Emanuele Banfi, University of Milan.
There is also a general sentiment that makes my study less interesting: it is years that a certain editorial policy of Sardinian publishing houses, which is focused more on manifesting (rather than proving) that the paleosardinians were ancient Semites, in some cases creators of an extraordinary civilization, originated almost in a abiogenetic way. Besides, the baronial university professors are attracted by these hypotheses and write easy reading books for an uneducated audience. For this reason, many people think that Sardinians descend from the imaginary Lydians (of which we hardly know anything), and therefore the sardinians would be nothing but the connecting link with the Etruscans.As you can imagine, there is no living Babylonian or Lydian who can reply to the inaccuracies of these researchers. Of course the idea is to sell little vials of hope to people who think they need it, and all this is done in detriment of the scientific research.
Sardinians then, without accusing them to be too superficial, like to ride (and be ridden by) strong hypotheses, which sublimate their ancient sense of inferiority (due to the fact that they are not and do not feel Italian). Therefore the Illyrian-Albanian hypothesis is not so attractive being addressed to the imagine of a minority group.
However, recently I read a few articles of some Sardinian magazines which allude to some relationships between the paleosardinian and the Thrace world – obviously with no mentioning me at all – although relating to the imaginary Lydian area. Indeed, the stronger evidences that corroborate my thesis are: the location of some lexemes amongst the most isolated areas of Sardinia, which have no explanations through Latin but could be explained through Albanian, Romanian, some archaic elements of Balto-Slavic or the few we know of Thracian and Illyrian often preserved into greek glosses and words. There are sources of data provided by Greek historiography that tend to characterize the arrival of Illyrian elements in Sardinia - not as an invasion of people - together with Boeotian people (who spoke the Eolic language), marking an important moment of civilization, carried on by people with a superior culture particularly in agriculture and farming.

Brunilda Ternova: This book is your third self-financed publication. It seems natural and "fair" to you that this kind of scientific works face so many difficulties to be published and released by the institutions involved and by the publishing houses?

Prof. Alberto G. Areddu: Unfortunately, I must say that this is a practice more widespread than one would think. Today either you should have a big publisher behind you – even if your target must be over three thousand copies – or you have to choose on-demand publishing disguised as official publisher. That way the author works on a hypothesis that could even be completely wrong, investing time and capital on his own risk. What is unacceptable is the fact the very people who share your interests are those who obstruct the publication, that is hateful and dehumanizing. There is no point to complain too much in hindsight about this continues silent behaviour, because academics are auto-recommended and corporate and if you allow yourself to criticize them in your studies, for you is over.

Brunilda Ternova: Your theories are very revolutionary; have you ever been afraid of your ideas being criticized by academic and scientific circles?

Prof. Alberto G. Areddu: Less revolutionary than might be assumed. The idea of a paleobalkanic element inside the Sardinian language is not a new one. The greatest scholar of Sardinian language, german Max Leopold Wagner, had expressed this idea in his 1933 study published in the journal ‘Revue de Linguistique Romane’ (which anyone can download from the Gallica website). Unfortunately, this idea later fell into the Italian school of so called "mediterranean" supported by those who saw an enormous presence of pre-indoeuropean elements in the Mediterranean area, with fewer indoeuropean elements. However, I repeat, may my observations were criticized, because that would mean admitting they existence. Therefore, taking into account the fact that in two years in Sardinia has not been published any reviews on local newspapers, television, academic magazines, so to highlight my work, I created a personal web site and I write in some blogs.
Journalists (90% of whom do not even know Greek or Latin, not to mention Albanian) use earflaps to hear what university referents say. The latter ones are generally associated to publishing houses, distribution companies and to those newspapers published nowadays (which do not shine).
Is there anything else to add?

Brunilda Ternova: What does Sardinia represent for you and what does it mean to be Sardinian today under the light of this Sardo-Illyrian/Albanian connection?

Prof. Alberto G. Areddu: It means drawing a remote route which brought elements of Bronze Age civilization to people remained backward to the Neolithic Age. It is possible that in the area of Nuoro - genetic investigations are still in the beginning - it will emerge one day genetic relationships with Balkan people of nowadays. This is the reason why I titled one of the chapters paraphrasing Virgil: “On the search for ancient fathers”.

Brunilda Ternova: The presence of the Albanian diaspora in Italy is about the most numerous and steady ever known in history, starting from antique times up to nowadays. Do you think this ancient connection, and the contemporary presence of the Albanians in Italy, may help in creating a climate of mutual brotherhood between our people and future exchanges between our scholars and scientists?

Prof. Alberto G. Areddu: I wish this may happen. Unfortunately we are in such a moment as both Italy and Sardinia are facing some reactions against immigrants ‘Tout Court’, that does not take into account personal qualities of individuals, and all this for reasons of public order and the current economic crisis. Reasoning in ancient terms, the Illyrian existence could be glimpsed in these of ‘sea peoples’ among which included Shardana. The people of Shardana, according to interpretations of scholars as Schachermeyr and Bonfante, were of Illyrian origin driven by necessity to all thrown into the Nile Delta and later to Palestine. There are many details that ensure that this influx has occurred: the city of Sarda (Shudah today), the tribe of Sardeates or Ardiei, the city of Pelastae from which the ethnonym of Pelaestini or Pelasgians, and other things.

Brunilda Ternova: Do you think there could be other initiatives - not just essays, but also academic initiatives - to shed more light on these issues that reveal the mysteries of the past of our peoples?

Prof. Alberto G. Areddu: Undoubtedly. Albanian scholars should deal with the ‘Sardinian things’ to make certain they can identify the nucleus of common civilization. As well, we would expect academics, just curious, or reasonable experimenters - without prejudice and equipped with the light of logic - to deal with the ‘Albanian things’, studying in depth the dialects, traditions and Albanian toponyms. Unfortunately, we are paying for a negative situation: we are numerically small populations and I do not know how many in Albania and Sardinia would be willing to explore these subtle relationships.

Brunilda Ternova: What would your message be to the Albanian reader, and what about the subject of your next work?

Prof. Alberto G. Areddu: One of my cultural wishes would be the development of a trend outside Albania, to revaluate the Illyrian antiquity, as happened to other ancient indoeuropean populations almost forgotten (such as the Celtic saga case). My scientific desire is to work on a forthcoming essay in which I can develop certain aspects of historical and cultural reconstruction not treated inside the “Albanian origin of civilization in Sardinia”. So I will bring not only words but also artefacts, traditions, symbols and reciprocal liaisons. And now, if you allow me, I will take my leave adopting your typical word for greetings: falem, which according to the great Eqrem Çabej derives from latin ‘CHALARE’, preserved in Sardinia and Corsica, however in the isles is used only with original value of ‘get off’: falare. So to you all: Faleminderit/ Thank you!

Brunilda Ternova: Thank you Prof. Areddu for having released this nice interview!



Interviewed and translated from Italian by Brunilda Ternova




For more information see the author's personal blog:
http://web.tiscali.it/sardoillirica/sardoillirica/
http://web.tiscali.it/sardoillirica/sardoillirica/ARCHIVIO ILLIRICO.htm


To contact the author: illirica@tiscali.it