La giunta militare dopo Draghi affronterebbe l’emergenza giustizia

In molti si starebbero interrogando su cosa possa accadere dopo il 31 dicembre 2021, ovvero quando scadrà lo “stato d’emergenza”. Domanda a cui l’alta dirigenza di Stato vorrebbe che Sergio Mattarella rispondesse con fermezza. Perché i vertici dei poteri statali, ma anche confindustriali e bancari, sperano in una scappatoia che blindi ulteriormente il Paese, e che metta fine agli attacchi della politica tutta a magistratura e potentati finanziari. Ma la nomenclatura ben si guarda dall’appellare il sogno di società bloccata con la parola dittatura.

La tattica potrebbe decollare con Mario Draghi momentaneamente in panchina sotto semestre bianco, e perché possa riposarsi prima di sostituire Mattarella al Quirinale. Questo favorirebbe l’insediarsi d’un Governo (sarebbe meglio dire giunta) retta dal generale Francesco Paolo Figliuolo. In pratica una giunta militare, un esecutivo sbrigativo, in grado di amministrare non solo i problemi d’ordine pubblico e sanitari, ma anche di risolvere il problema giustizia. E di grazia come si porrebbe fine a quest’ultimo? Semplicemente facendo tornare in auge lo storico adagio che vorrebbe il problema giustizia cagionato esclusivamente dall’enorme carico dei processi, dal superlavoro che ingorga le tante procure italiane. Un supercarico che, secondo molti addetti ai lavori, sarebbe stato amplificato con l’abolizione delle Preture. Così i militari, rientrati in Patria e alleggeriti dalle terminate missioni in giro per il mondo, oltre a coadiuvare sanità, forze di polizia ed emergenze varie, potrebbero vedersi passare alle procure militari un po’ di carichi dei tribunali ordinari. Manovra di riparto del lavoro che potrebbe avvenire solo per volontà del presidente della Repubblica. Perché quest’ultimo, oltre a presiedere il Consiglio superiore della magistratura, è a capo delle forze armate: solo il Quirinale potrebbe motivare la collaborazione tra militari e potere giudiziario per smaltire il lavoro delle procure.

Su autorevole impulso del Colle, lo Stato Maggiore della Difesa metterebbe subito in collaborazione giustizia militare e civile. Tribunali militari, giudici militari e magistrati militari che, visto lo scarso carico di lavoro (trasferimenti contestati, congedi, contenziosi minimi tra ufficiali e truppa), non s’opporrebbero alla momentanea estensione dell’esercizio della giurisdizione penale militare di pace anche ai reati compiuti dai civili. I tribunali militari sono nove e hanno sede rispettivamente a Torino, Verona, Padova, La Spezia, Roma, Napoli, Bari, Palermo e Cagliari. Ma sarebbe possibile aprirne di nuovi nelle tante caserme in disuso, e con la scusa di smaltire l’atavico carico dei tribunali civili e penali: e del resto la dirigenza di Stato lo ha detto chiaramente che la malagiustizia non esisterebbe, che sarebbe solo un problema di carico di processi da smaltire, soprattutto che all’Unione europea interesserebbe solo che l’Italia azzerasse il lavoro delle procure.

Ecco che, a vertici dello Stato e Ue, poco interessa che in Italia insistano logge (o cupole) che aggiustano i processi o che milioni d’italiani senza santi protettori vengano distrutti da una giustizia prona a salotti, censo e poteri vari. Così un Governo dei generali si fregerebbe d’aver risolto tutte le emergenze. Del resto, il tribunale militare è strutturato come organo a formazione mista, con uno schema più semplice e meno macchinoso di quello previsto da altri tribunali: è una struttura che giudica con l’intervento del presidente del tribunale militare (che lo presiede). Peraltro, la sentenza 49 del 1989 della Corte Costituzionale parla chiaramente dei tribunali militari (soprattutto dei militari che li compongono) come contributo alla peculiare vita dello Stato. Il 1989 era anche l’anno in cui entrava in vigore il nuovo Codice di procedura penale, e presso i tribunali militari vennero nominati i nuovi “giudici per le indagini preliminari” e per “l’udienza preliminare”, e veniva archiviata la funzione del “giudice istruttore militare”. Nel 1989, tribunali militari e ordinari iniziavano per certi versi a somigliarsi.

C’è di peggio: se l’uomo di strada nutre totale sfiducia verso la magistratura ordinaria, diversamente è diffuso l’adagio che la magistratura militare sarebbe magnanima in proporzione al livello gerarchico dell’imputato. Del resto, è noto che libertà ed uguaglianza rimangono valori rivoluzionari, difficilmente metabolizzabili da un ordine, poi figuriamoci quando chi v’appartiene porta le stellette. Quindi c’è la variante italica, in troppi cercherebbero tra parenti e amici il militare che aggiusti il loro personalissimo contenzioso giudiziario: avveniva così anche nell’Argentina di Jorge Rafael Videla.

Ovviamente i militari garantirebbero più la costruzione di nuove carceri, raccogliendo il plauso di Confindustria, che lo svuotamento delle strutture di detenzione. E i benpensanti con buon posto di lavoro potrebbero dire “tutti questi disoccupati nullafacenti è meglio se stanno dentro, è noto che liberi risulterebbero socialmente nocivi”. Ma una simile botta alla nostra democrazia potrebbe favorire il risveglio delle coscienze? Far germogliare nuovamente la voglia di libertà? Difficilmente queste spinte vengono solo dal basso, dove i bisogni quotidiani strangolano ogni idealità. Nemmeno c’è da sperare che i vecchi di potere allentino il giogo: anzi, più vanno avanti negli anni maggiormente sperano in una lunghissima vita terrena, e per loro personale sicurezza rinforzano polizie ed eserciti. La viltà della classe media si conferma il problema delle moderne società occidentali