sabato 19 giugno 2010

La Leadership Albanese nell’Unità d'Italia (1860-1871)



 Estratto dal libro ‘Gli Albanesi’ (eng.“The Albanians: An Ethnic History from Prehistoric Times to the Present” - 1994) di Edwin Jacques 

(Tradotto dall’inglese in italiano da Brunilda Ternova)

Come in Grecia così anche in Italia i discendenti dei profughi Arbëreshë diedero un contributo significativo per l’unificazione della loro terra d'adozione (n.d.t. Italia) nel 1860-1871. Tra i primi centri e tra i più attivi della rivoluzione c’era il villaggio di Hora e Arbëreshëvet vicino a Palermo, di solito abbreviato in Hora, comunemente noto agli italiani come Piana dei Greci, poi Piana degli Albanesi.
Mentre Garibaldi, che era di stirpe albanese, pensava come e dove iniziare la lotta per liberare gli italiani dall’oppressione Borbonica e unirli in un unico Stato, una Çeta Arbëreshë (Guerriglia Arbëresh) di 400 combattenti provenienti da Hora attaccarono le truppe Borboniche nel mese di Aprile 1860. Francesco Crispi, anche lui un Arbëreshë della Sicilia, che si firmava “un albanese di sangue e di cuore” (rif. Fascismo 13 febbraio 1940; Drita 28 novembre 1937, 11), era il più vicino consigliere di Garibaldi e la mente politica della sua spedizione. Fu Crispi che convinse Garibaldi a navigare da Genova verso la Sicilia il 6 maggio con il suoi famosi “Mille” combattenti.
Tra questi, lo storico Xoxi nominò altri sei uomini che come Crispi erano ex-alunni del Collegio Arbëreshë di San Demetrio Corone in Calabria, Italia meridionale (NAlb 1985, 3:23). Uno di questi era Domenico Mauro, nato da genitori albanesi nel 1812, che divenne un celebre poeta e scrittore. Ma quando iniziarono le insurrezioni popolari contro le ingiustizie sociali abbandonò la penna per la spada e combattè valorosamente sotto Garibaldi.
In effetti, un professore di italiano, Rosolino Petrotta, nella sua serie “Gli Albanesi in Italia” (alb. “Shqiptarët në Itali”, rif. Fascismo 13 febbraio 1940), ha elencato 19 patrioti italo-albanesi di Hora che divennero importanti nella rivolta del 1860. Petrotta sottolineò anche che lo stesso Garibaldi non trascurò questo eroismo e che il 2 Ottobre 1860 aveva dichiarato pubblicamente: "Gli albanesi sono eroi che si sono distinti in tutte le lotte contro la tirannide" (ingl. The Albanians are heroes who have distinguished themselves in all the wars against tyranny).
Continuando a coltivare la loro etnia Albanese, questi combattenti Arbëreshë di Hora erano caratterizzati con queste parole dal cronista italiano Aba nella spedizione di Garibaldi: “Sono gente orgogliosa e onesta, sono orgogliosi della loro origine. Nelle loro canzoni mantengono vivo il sentimento di quattro secoli, e ancora sognano che un giorno i loro cari saranno in grado di tornare alla loro lontana Patria ancestrale” (ingl.: “They are proud and honest people, they are proud of their origin. In their songs they keep alive the feeling of four centuries, and still dream that one day their kin will be able to return to their distant ancestral Homeland”, rif. NAlb 1985, 3:23).
Il sostegno dei molti coraggiosi patrioti Arbëreshë aiutò Garibaldi a sottomettere l’isola in fretta, e quando passò al sud d’Italia, i guerrieri Arbëreshë di quella regione lo accolsero con gioia indescrivibile. L’Italia come una nazione unita deve molto ai discendenti di quei profughi albanesi. Si deve ricordare che uno di loro, Francesco Crispi, avrebbe servito due volte come primo ministro d'Italia (1887-1891 e 1893-1896).
Anche due figure illustri della letteratura devono essere tenute in considerazione. Girolamo (o Geronimo) De Rada (1814-1903), uno dei più grandi poeti Albanesi, nato a Macchia vicino a Cosenza nel sud Italia. Altrettanto eccezionale è stato il poeta Giuseppe Skiro (1865-1927), che discendeva da una famiglia albanese della Hora di Palermo e che è considerato il successore diretto di De Rada. A partire da circa 1861 migliaia di questi Arbëresh di Sicilia cercarono una vita nuova nel Nuovo Mondo emigrando in molti a New Orleans. La loro storia è raccontata da Bret Clesi nel suo libro  “Gli Arbëreshë e la Contessa Entellina” (ingl. “The Arbëreshë and Contessa Entellina”, rif. Liria 1 March 1984, 4).
 È stato riportato che nel 1901 gli Arbëreshë del Sud Italia avevano 80 comuni, 27 di rito greco (chiese Uniat correlate a Roma), e 53 del rito latino o romano cattolico, con una popolazione totale di 208.410 persone (rif. Barbarich 1905, 331 - 33). I comuni Arbëreshë erano distribuiti come segue nelle province meridionali italiane: Catanzaro 13, Cosenza 29, Campobasso 7, Lecce 10, Foggia 7, Potenza 5, Palermo 5 e Catania 3 (rif. Dituria 1 giugno 1909, 83-85).

Attualmente, Mahir Domi nel suo studio statistico “Gli Insediamenti Albanesi nel Mondo” (ingl. “Albanian Settlements in the World”, rif. Liria 28 Marzo, 1980, 3) stima che circa 136.000 di queste persone Arbëreshë in 55 villaggi ancora parlano albanese, considerando che circa 182.000 Arbëreshë in altri villaggi non lo parlano più. Eqrem Çabej nel “Il mondo delgli Arbëresh” (ingl. “The World of the Arbëreshi”, rif. NAlb 1987, 6:28), ha osservato che coloro che vivono nelle regioni montuose sembrano aver conservato la loro lingua e cultura meglio rispetto a quelli che vivono in aperta campagna. Eppure sembra notevole il fatto che dopo 500 anni in Italia, così tanti Arbëreshë che vivono nelle loro compatte comunità non sono stati del tutto assimilati. Le usanze, i costumi, le poesie, le canzoni e le tradizioni sono state tramandate da madre a figlio per generazioni, utilizzando il loro dialetto Arbëreshë della lingua Albanese. Cinquecento anni dopo la loro partenza dalla Patria la figlia di un Arbëreshë che ora vive negli Stati Uniti, riporta in modo del tutto comprensibile in lingua Albanese una canzone nostalgica che tradizionalmente cantano come hanno lasciato la loro chiesa in Italia. Voltandosi ad Est verso la Patria cantavano:  “Patria, luogo di bellezza, / Ho lasciato, per mai più trovarti. / Laggiù ho lasciato mio padre, / Laggiù ho lasciato mia madre, / Laggiù ho lasciato mio fratello. . . / Sono partito per non vederti mai più”(ACB 1985, 18-19).
La loro lingua e le loro tradizioni sono state perpetuate nelle loro giornali e pubblicazioni. Uno di loro, il Prof. Francesco Solano, detiene attualmente la cattedra di lingua e letteratura albanese presso l'Università di Cosenza, di solito scrivendo con lo pseudonimo di Dushko Vetmo. È stato riportato di recente che molti dei municipi portano ancora lo stemma ufficiale della aquila nera a due teste di Skanderbeg (rif. Fascismo 9 febbraio 1940).
Resistendo alla de-nazionalizzazione, un arbëresh ha riferito che “anche sulle bottiglie di vino che produciamo nei nostri villaggi, abbiamo la figura di Skanderbeg sulle etichette” (rif. Liria 16 maggio 1980, 4). Nel 1983 il governo albanese ha riconosciuto questa eredità e ha presentato un busto dell’eroe nazionale per la piazza Skanderbeg di Spezzano Albanese (ibid.). Un altro busto di questo tipo è stato eretto nella comunità Arbëreshë di San Nicola del Alto di Catanzaro (rif. Liria 1 Maggio 1984, 1). In comunità come queste, i molti italo-albanesi preservano il loro amore per l’antica Patria mentre ancora danno il loro specifico contributo al nuovo.

Pubblicato presso il portale Jemi: http://www.jemi.it/approfondimenti/storia-mainmenu-47/1-varie/1301-la-leadership-albanese-nellunita-ditalia-1860-1871 
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Versione Inglese

Albanian leadership in the Unification of Italy (1860-1871)

As in Greece, so in Italy the descendants of the Arbëreshë refugees made significant contributions to the unification of their adopted land (1860-1871). Among the earliest and most active centers of the revolution was their village of Hora e Arbëreshëvet near Palermo, usually abbreviated to Hora; this was commonly known to Italians as Piana dei Greci, later Piana degli Albanesi.

While Garibaldi, who came from Albanian stock, was pondering how and where to begin the struggle to free Italians from Bourbon oppression and unite them in a single state, an Arbëreshë çeta of 400 fighters from Hora attacked the Bourbon troops in April 1860. Francesco Crispi, also an Arbëreshë from Sicily, who signed himself an "Albanian by blood and by heart" (Fashizmi 13 February 1940; Drita 28 November 1937, 11), was Garibaldi's closest advisor and the political brain of his expedition. It was Crispi who persuaded Garibaldi to sail from Genoa for Sicily that 6 May with his famous "One Thousand" fighters.

Of these the historian Xoxi names six men besides Crispi who were former students of the Arbëreshë college of San Demetrio Corone in Calabria, southern Italy (NAlb 1985, 3:23). One of these was Domenic Mauro, born of Albanian parentage in 1812, who became a celebrated poet and author. But when popular uprisings against social injustice began, he forsook the pen for the sword and fought bravely under Garibaldi.

In fact, an Italian professor, Rosolino Petrotta, in his series "Shqiptarët në Itali" (Albanians in Italy) (Fashizmi 13 Feb. 1940), has listed 19 Italo-Albanian patriots from Hora alone who became prominent in the uprisings of 1860. Petrotta pointed out too that Garibaldi himself did not overlook this heroism, but on 2 October 1860 had declared publicly, "Gli albanesi sono eroi che si sono distinti in tutte le lotte contro la tirannide" (The Albanians are heroes who have distinguished themselves in all the wars against tyranny).

Still cherishing their Albanian ethnicity, these Arbëreshë fighters of Hora were characterized in these words by Italian chronicler Aba with the Garibaldi expedition: "They are proud and honest people, they are proud of their origin. In their songs they keep alive the feeling of four centuries, and still dream that one day their kin will be able to return to their distant ancestral Homeland" (NAlb 1985, 3:23).

The courageous support of the many Arbëreshë patriots helped Garibaldi to quickly subdue the island, and when he crossed over to southern Italy, the fighting Arbëreshë of that region welcomed him with indescribable joy. Italy as a united nation owes much to the descendants of those Albanian refugees. It must be remembered that one of them, Francesco Crispi, would serve twice as prime minister of Italy (1887-1891 and 1893-1896).

Two distinguished literary figures must also be noted. Girolamo (or Jeronim) De Rada (1814-1903), one of the greatest Albanian poets, was born at Macchia near Cosenza in southern Italy. Equally outstanding was the poet Giuseppe Skiro (1865-1927), who came from Albanian stock at Hora of Palermo and who is considered De Rada's direct successor. Beginning about 1861 thousands of these Sicilian Arbëreshi sought a new life in the New World, many going to New Orleans. Their story is told by Bret Clesi in his 'The Arbëreshë and Contessa Entellina" (Liria 1 March 1984, 4).

In 1901 the Arbëreshë of southern Italy were reported to have 80 towns, 27 of the Greek rite (Uniat churches related to Rome), and 53 of the Latin or Roman Catholic rite, with a total population of 208,410 persons (Barbarich 1905, 331-33). Arbëreshë towns were distributed as follows in the southern Italian provinces: Catanzaro 13, Cosenza 29, Campobasso 7, Lecce 10, Foggia 7, Potenza 5, Palermo 5 and Catania 3 (Dituria 1 June 1909, 83-85).

Currently, Mahir Domi in his statistical study of "Albanian Settlements in the World" (Liria 28 March 1980, 3) estimates that about 136,000 of these Arbëreshë people in 55 villages still speak Albanian, whereas about 182,000 Arbëreshë in other villages can no longer speak it. Eqrem Çabej, in his 'The World of the Arbëreshi" (NAlb 1987, 6:28), observed that those living in mountainous regions seem to have retained their language and culture better than those living in open country. Yet it seems remarkable that after 500 years in Italy, so many Arbëreshë living in their compact Albanian communities have not been altogether assimilated. Customs, costumes, poems, songs and traditions have been passed down from mother to child for generations, using their Arbëreshë dialect of the Albanian language. Five hundred years after their departure from the homeland an Arbëreshë daughter now living in the United States quoted in quite understandable Albanian a nostalgic song they traditionally sang as they left their church in Italy. Turning to the East toward the homeland they would sing, "Motherland, place of beauty, / I have left, never again to see you./ Over there I have left my father, / Over there I have left my mother, / Over there I have left my brother. . . /1 have left, never to see you again" (ACB 1985, 18-19).

Their language and traditions have also been perpetuated in their own newspapers and publications. One of their number, Prof. Francesco Solano, presently holds the chair of Albanian language and literature at the University of Cosenza, usually writing under the pen name Dushko Vetmo. Here it was reported recently that many of the town halls still bear the official emblem of the black two-headed eagle of Skanderbeg (Fashizmi 9 February 1940).

Resisting denationalization, another reported that "even on the bottles of wine we produce in our villages, we have the figure of Skanderbeg on the labels" (Liria 16 May 1980, 4). In 1983 the Albanian government recognized this heritage and presented a bust of the national hero for the Skanderbeg Square of Spezzano Albanese (ibid.). Another such bust was erected in the Arbëreshë community of San Nicola del Alto of Catanzaro (Liria 1 May 1984, 1). In just such communities as these did the many Italo-Albanians preserve their love for the old homeland while yet making their distinct contribution to the new.


Edwin Jacques, The Albanians: An Ethnic History from Prehistoric Times to the Present  (1994)
 


mercoledì 16 giugno 2010

GRA EMIGRANTE NË KAPITALIZMIN ITALIAN


nga Migena Proi *

(Përktheu nga italishtja në shqip Brunilda Ternova)


Dhjetvjeçari i fundit i fenomenit të emigrimit është karakterizuar nga e ashtëquajtura “feminilizim”. Mashkulli, protagonist i padiskutuar i flukseve të para emigruese, ja ka lënë vendin femrës. Reflektimet e fundit sociologjike dëshmojnë një figurë femërore gjithmon e më pak anësore. Emigrantet e para që mbërrinin në Itali ishin të shtyra jo nga vullneti i tyre i pavarur por nga nevoja për të ndjekur një figurë mashkullore, si psh. babai ose bashkëshorti.
Sot femrat e çfarëdolloj etnie, moshe dhe feje qofshin, lënë Atdheun, të afërmit, fëmijët dhe zakonet e tyre, për tu kthyer në protagoniste absolute të kapitalizmit italian. Udhëtimi i vërtet fillon kur mbërrijnë në Itali, vend në të cilin të jesh grua dhe emigrante është një sfidë e përditëshme kundër paragjykimeve. Vështirësitë e para, më shumë se të lidhura me çështjet ekonomike, materjale ose gjuhësore, kanë të bëjnë me identitetin. Në fakt integrimi mbart në vetvete ndërmjetësimin midis vlerave të vjetra, të vendit të origjinës, dhe vlerave të reja të shoqërisë italiane.
Proçesi i ridimensionimit si femër, duke përqafuar pika të reja riferimi, është një proçes i dhimbshëm: çdo emigrant dëshiron ti përshtatet sitilit të ri të jetës, pa dashur të heq dorë nga rrënjet e veta të origjinës. Në këtë proçes të zhvillimit personal rëndojnë një sërë faktorësh, të cilët mund të jenë sa negativë ashtu edhe po aq pozitivë. Sigurisht, kushtet favorizuese janë më të shumta nëse grupi shoqëror i origjinës të emigrantit, nuk i përket një sistemi vlerash antipodë në krahasim me realitetin italian.
Ndërkohë, një aspekt jashtëzakonisht negativ është stigmatizimi që gratë emigrante – ashtu si të gjith emigrantët në përgjithsi – përballojnë. Klishetë që u caktohen atyre janë nga më të ndryshmet: nga shablloni i femrës së huaj së pandershme që ka ardhur në Itali me të vetmin qëllim për të “vjedhur” burrat e femrave italiane, deri tek shablloni i femrës së nështruar të një shoqërie patriarkale që ka zgjedhur të mbulohet me vello. Të manovrosh për të gjetur ekuilibrin e brendëshëm në një ambient që të gjykon apriori, nuk është e lehtë as për ekuilibruesin më të mirë.
Identiteti dhe vetvlersimi vihen në një provë të vështirë edhe nga çështje që kanë të bëjnë me aspektin profesional. Edhe pse shumë femra të huaja janë të dipllomuara, gjenden të detyruara të kryejnë punë që nuk i korrespondojnë nivelit të studimeve të tyre universitare. Legjislacioni italian garanton njohjen e titullit të studimeve të kryera jashtë Italisë, por janë të pakta femrat që bëjnë kërkesë për njohjen e titujve të tyre, të shkurajuara nga burokracia e cila është e gjatë. Megjithatë, ajo që përfaqson një diskriminim edhe më real nuk është vetëm kryerja e punëve që nuk u përkasin nivelit të tyre studimor, por edhe tiopologjia e profesionit në të cilin gjenden të burgosura.
Egziston faktikisht një ndarje në punësim e kushtëzuar nga kategoria e përkatësisë dhe e vlefshme sidomos për emigrantët, nga ku del se femrat emigrante janë të dënuara automatikisht të jenë të punësuara në sektorin e punëve shtëpiake. Femra “kujdestare” (ita. “badante”) – një siguri e vërtet psikologjike për shumë familje italiane – është një figurë që përmbush deficitin e welfare-it italian. Në shkëmbim të një rroge jo shumë të lartë, punëdhënësi ka mundësi të blejë jetën private dhe të adminsitrojë plotësisht ditët e emigrantes. Jo pa qëllim, një rrymë e studimeve sociologjike sheh në profesionin e “kujdestares” një tip të ri të shfrytezimit kapitalist: nuk tregëtohen mallra, por tregëtohet dashuri dhe përkujdesje.
Energjitë që femrat investojnë në vëndet perëndimore, influencojnë negativisht në raportet e tyre intime duke shkaktuar një prishje të strukturës së familjeve të tyre të origjinës. Dhe faktikisht shumë prej tyre duke marrë vendimin për të ardhur në Itali,  mënjanojnë, qoftë edhe pjesërisht, rolin e tyre si nënë duke i lënë femijët e tyre në vëndin e origjinës. Edhe kur fëmijët kanë mundësi të bashkohen me nënat e tyre në këtë udhëtim shpresash, femrat e huaja janë të penalizuara pasi nuk kanë si mbështetje atë rrjet familjar që gëzojnë nënat italiane që punojnë.
Për të eliminuar çdo lloj forme viktimizmi, ështe e drejtë të kihet parasysh ajo qe sociologja amerikane Barbara Ehrenreich, theksonte para disa vitesh: situatën aspak të lumtur të tregut të punës së femrave emigrante për shkak të mungesës së emancipimit të vërtet të femrave të “tjera” perëndimore. Në realitet realizimi profesional nuk solli një ri-shpërndarje të barabartë të detyrimeve shtëpiake me meshkujt. Femrat emigrante përballen me kryerjen e atyre punëve tipike femërore, që kohë më parë i kryenin femrat jo të emancipuara përëndimore.
Gjithashtu Italia, në ndryshim me vëndet e tjera europjane, vuan akoma nga një udhëheqje eskluzivisht maskiliste nëpër institucionet zgjedhimore. Një prani më e madhe femërore në politikë – me anë të një përfaqsimi konkret dhe jo vetem formal – do mundësojë ringritjen e fatit të shumë femrave. Mbështetja dhe  inkurajimi i ambicieve politike të femrave emigrante që e meritojnë, mund të jetë çelësi për të përmirsuar kushtet e femrave emigrante ne Itali. Jo sepse të huajat do jenë më mirë, por thjesht sepse duke u nisur nga eksperienca e tyre personale debati politik mund të përqendrohet mbi problemet e emigranteve.
* Migena Proi është shqiptare me origjinë dhe shkruan në periodikë dhe site ueb ndërkulturorë të ndryshëm që u drejtohen komuniteteve emigrante në Itali. Artikulli është botuar fillimisht në gazetën “Shenja dhe Ëndrra” (ita. “Segni e sogni”)



link: http://migenaproi.wordpress.com/2010/06/16/gra-emigrante-ne-kapitalizmin-italian/
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ITALIANO

DONNE MIGRANTI NEL CAPITALISMO ITALIANO

A cura di Migena Proi *

L’ultimo decennio del fenomeno migratorio è stato caratterizzato dalla cosiddetta “femminilizzazione”. L’uomo, protagonista indiscusso dei primi flussi migratori, ha ceduto il passo alla donna. Le ultime riflessioni sociologiche mostrano una figura femminile in un ruolo sempre meno marginale. Le prime migranti giunte in Italia erano spinte non da una loro volontà autonoma, ma dalla necessità di seguire una figura maschile, quale il padre o il marito. Oggi, donne di ogni colore, età e religione si lasciano alle spalle Patria, affetti, figli e abitudini, per immergersi da assolute protagoniste nel capitalismo italiano. Il vero viaggio ha inizio quando approdano qui, in Italia, dove essere donna e migrante è una sfida quoti-diana ai pregiudizi. Le prime difficoltà, più che essere legate a questioni economiche, materiali o linguistiche, sono inerenti all’identità.

Infatti l’integrazione comporta una mediazione tra i vecchi valori, del loro paese d’origine, e i nuovi valori, quelli della società italiana. Ripensarsi come donne, abbracciando nuovi punti di riferimento, è un processo doloroso: ogni migrante vorrebbe adeguarsi al nuovo stile di vita, senza dover per questo rinunciare alle proprie radici. Su questo processo di evoluzione personale incidono vari fattori, che possono essere più o meno positivi.

Sicuramente agevola non provenire da una società con un sistema di valori agli antipodi rispetto alla realtà italiana. Invece un’ aspetto assolutamente negativo è la stigmatizzazione alla quale le donne migranti, così come gli immigrati in genere, sono soggette. I clichè attribuiti loro sono diversi: si va dalla stereotipo della donna straniera dai facili costumi, che giunge in Italia con l’unico scopo di “rubare “ l’uomo alle donne italiane, allo stereotipo della donna succube di una società patriarcale unicamente perché sceglie di indossare il velo. Destreggiarsi e trovare l’equilibrio interiore in un ambiente che giudica a priori, non sarebbe facile per il miglior equilibrista.

L’identità e l’autostima sono messe a dura prova anche da questioni inerenti l’ambito professionale. Sebbene molte straniere siano diplomate o laureate, si ritrovano a dover svolgere professioni non corrispondenti al loro titolo di studio. La legislazione italiana garantisce il riconoscimento di titoli di studio conseguiti all’estero, ma poche donne ne fanno richiesta, scoraggiate dai lunghi tempi burocratici. Tuttavia ciò che rappresenta una reale discriminazione non è svolgere lavori non all’altezza delle aspettative, quanto piuttosto il tipo di professione in cui si viene ingabbiati.

Sussiste infatti una sorta di segregazione occupazionale determinata dal genere d’appartenenza, valida in particolar modo per gli immigrati, dal quale consegue che essere donna e migrante ti condanna, in maniera quasi automatica, ad essere impiegata prevalentemente nel settore del lavoro domestico. La donna “badante”,
vera e propria rassicurazione psicologica per molte famiglie, colma i deficit del welfare italiano. In cambio di uno stipendio non particolarmente elevato, il datore di lavoro ha la possibilità di comprare la vita privata e di gestire interamente le giornate della migrante. Non a torto, un filone di studi sociologi intravede nella professione di “badante” un nuovo tipo di sfruttamento del capitalismo: non si commerciano merci, ma amore e cura. L’energia, che le donne riversano nei paesi occidentali, incide in maniera negativa sui loro affetti più prossimi, causando una vera e propria destrutturazione delle loro famiglie d’origine. Infatti molto di esse con la decisione di venire in Italia, accantonano, almeno in parte, il ruolo di madre, lasciando i figli nella loro terra d’origine.

Anche quando i bambini hanno la possibilità di seguire la madre nel viaggio della speranza, quest’ultima è comunque penalizzata, non potendo godere della rete parentale di cui gode una madre italiana che lavora. Per sgomberare il campo da possibili vittimisti, è giusto tenere in considerazione ciò che la sociologia americana, Barbara Ehrenreich, qualche anno fa, faceva notare: la non felicissima condizione nel mercato del lavoro delle donne immigrate è causa diretta della mal riuscita emancipazione delle “altre” donne, quelle occidentali. Infatti alla realizzazione professionale non è conseguito un equa ripartizione dei lavori domestici con gli uomini. Le donne migranti si ritrovano dunque a svolgere tutti quei lavori tipicamente femminili, che un tempo svolgevano le non emancipate donne ccidentali.
Inoltre, l’Italia, a differenza degli altri paesi europei, soffre ancora di una leadership quasi esclusivamente maschile nelle istituzioni elettive. Una maggior presenza femminile in politica, a cui seguisse una rappresentanza sostanziale e non solo formale, potrebbe risollevare il destino di molte donne. Sostenere e incoraggiare le ambizioni politiche di meritevoli donne migranti potrebbe essere la chiave per migliorare la condizione femminile delle migranti in Italia. Non perché le straniere siano meglio, ma semplicemente perché, partendo dalla loro esperienza personale, potrebbero incentrare il dibattito politico sui reali problemi delle migranti.

* Migena Proi, albanese, scrive per vari periodici e siti interculturali, rivolti alle comunità migranti residenti in Italia. L’articolo è stato pubblicato presso il giornale “Segni e sogni” periodico migrante.

giovedì 3 giugno 2010

Estratto da “La Piattaforma dell’Albania Naturale” di Koço Danaj

Tradotto dall’albanese in italiano da Brunilda Ternova 


(pubblicato in inglese, serbo, greco, macedone)



La Base della Piattaforma
- La piattaforma dell’Albania Naturale si basa sul patrimonio positivo degli albanesi sin dall’epoca di Skanderbeg e dell'esperienza della Lega di Prizren. La Lega di Lezha nel 1444 e quella di Prizren nel 1878 rimangono le due vette degli sforzi degli albanesi per unirsi.
- La piattaforma trova fondamento nell’Assemblea di Valona, che proclamò l'Indipendenza dell’Albania Naturale e non quella dell'Albania di oggi. L'Albania oggi - con 28748 km quadrati - è un prodotto della Conferenza di Londra nel 1913.
Per quanto riguarda la sua composizione, l’Assemblea di Valona e il successivo Governo Provvisorio rappresentavano quasi tutti i territori albanesi, compresi quelli che erano occupati dagli eserciti dei paesi balcanici, dando così all’assemblea un carattere nazionale. Durante l'elezione del Governo Provvisorio, il 4 dicembre 1912, dei suoi 63 delegati, 16 erano dal Kosova, da Skopje e da altre città, mentre 7 erano da Camëria.
- Altresì nel Governo di Valona, ad eccezione di Isa Boletini - il quale, sebbene non avesse nessuna carica d’ufficio, era uno dei più stretti collaboratori di Ismail Qemali - facevano parte come membri personalità provenienti dal Kosova e da altri territori albanesi occupati, come Vehbi Dibra (Agolli) in qualità di Presidente del Comitato di Saggi, Mehmet Pashë Derralla il Ministro della Difesa e Hasan Prishtina; quest'ultimo è stato poi nominato Ministro dell'Agricoltura.
Mentre nel Comitato dei Saggi dell'Assemblea d’Albania, oltre a Vehbi Agolli, vennero eletti dal Kosova e da altri territori orientali albanesi altri tre membri - Bedri Pejani, Sali Gjuka e Ajdin Draga.
Nelle dichiarazioni rilasciate alle grandi potenze il 28 e 29 novembre del 1912, Ismail Qemali, non involontariamente evidenziò questa particolare realtà, affermando che la proclamazione d’Indipendenza e la costituzione del Governo Provvisorio furono un’opera dell’Assemblea Nazionale, con la partecipazione di rappresentanti di tutti i territori albanesi, senza distinzione religiosa e/o di regione.
Ecco un documento che testimonia chiaramente la visione dei deputati albanesi riuniti all’Assemblea di Valona. Il documento riporta la data 2 gennaio 1913. Si chiama Memorandum e viene indirizzato alla Conferenza degli Ambasciatori riuniti a Londra:
I sottoscritti, rappresentanti del Governo Provvisorio Albanese hanno l’onore di presentare davanti alla Conferenza degli Ambasciatori delle Grandi Potenze a Londra il punto di vista albanese, facendo presente le legittime richieste dell’Albania. È un fatto storicamente accertato che il popolo Albanese costituisce un gruppo etnico e compatto, omogeneo e tra i più importanti della penisola balcanica. La sua origine e il suo linguaggio, le sue usanze e il suo carattere si distinguono totalmente dalle razze limitrofe… Il popolo albanese si ispira … a esigenze locali e ai sentimenti dei vicini balcanici per dichiarare che la pace e la tranquillità della penisola saranno garantiti solo se alla futura Albania verrà data una configurazione omogenea.
Detto questo, il popolo albanese richiede per il suo Paese i suoi confini naturali, imposti sia da condizioni etniche che dal suo diritto di primo residente. I confini che rivendichiamosono quelli che andranno nel corso di una linea di demarcazione che parte dagli attuali confini del Regno del Montenegro, e che comprendono insieme al loro interland anche le città di Peja, Mitrovica, di Prishtina, di Shkup, di Manstir fino a Meçovë, conservando gli attuali confini fino a Preveza.
Firmato da, Rasih Dino, Mehmet Konica, Filip Noga.”
(Menti brillanti, chiaroveggenti, patriottiche e visionarie. Questo stesso Memorandum potrebbe essere inviato oggi agli uomini di stato dell'Unione Europea, come Solana, Barroso, Sarkozy, Brown, Merkel, Berlusconi, ecc. Cambierebbe solamente la data, niente altro, né la denominazione dei confini né il preavviso sulla pace nei Balcani!)

- La Piattaforma inoltre si basa sui documenti della Conferenza di Bujan del 31 dicembre 1943, che proclamava l'unificazione del Kosova con l'Albania che si sarebbe verificato dopo la seconda guerra mondiale. I punti principali di questa conferenza sono riportati di seguito:
"1. Kosova e Piana di Dukagjin (alb. Rrafshi i Dukagjinit) sono in gran parte abitate da albanesi.
2. L'aspirazione perenne degli albanesi di Kosova e di Rrafshi i Dukagjin è quello di unirsi all'Albania.
3. Il modo migliore per gli albanesi di unirsi all'Albania è la lotta comune con gli altri popoli della Jugoslavia.
4. Il popolo albanese del Kosova avrà la possibilità di determinare il proprio destino come un risultato della lotta comune contro gli occupatori.
5. La determinazione del proprio destino comprende anche il diritto di autodeterminazione fino al punto di rottura.
6. Questo diritto è stato concesso dai grandi alleati antifascisti e grazie alla Lotta Nazionale di Liberazione della Jugoslavia e dell'Albania, in linea con gli impegni sottoscritti nella Carta Atlantica, nonché nella Conferenza di Mosca e di Teheran.”

- La Piattaforma si basa sul giuramento dei combattenti dell’Esercito di Liberazione Nazionale del Kosova, della Repubblica di Macedonia e della Valle di Presheva. Il giuramento considera l'unificazione delle terre albanesi come il nucleo della loro lotta. Il testo del giuramento del combattente dell’Esercito di Liberazione Nazionale del Kosova recita come segue: "Io, il soldato del Esercito di Liberazione Nazionale del Kosova, giuro di combattere per la liberazione delle terre albanesi e la loro unificazione."

- La Piattaforma è conforme alla Costituzione della Repubblica d'Albania, che considera l'unificazione degli albanesi come una legittima aspirazione secolare. Nel suo Preambolo si dice quanto segue: "Noi, il popolo d’Albania ... condividendo l’aspirazione secolare del popolo albanese per l'identità nazionale e l’unificazione ...”. La consacrazione del diritto di unificazione nazionale grazie alla Costituzione dell'Albania, l'attestazione di questo diritto attraverso un referendum popolare, la sua accettazione anche da parte degli esperti internazionali della Commissione di Venezia e recentemente dagli esperti della NATO, costituisce il fondamento di base per l’architettura della missione non compiuta degli albanesi.

Perché ora?
- Perché la missione principale degli albanesi è rimasta ancora incompiuta. L’insurrezione degli albanesi negli anni 1911-1912 è rimasta una insurrezione incompiuta. Indipendenza dell'Albania è stata riconosciuta e realizzata in quanto tale, solo in una parte del territorio albanese. Le altre parti del territorio e della nazione albanese sono rimaste al di fuori e furono annesse da altri Paesi.

- La guerra cosiddetta di Liberazione Nazionale, durante la Seconda Guerra Mondiale antifascista è rimasta una rivolta incompiuta. Venne realizzata solo una parte di essa, che aveva a che fare con il concetto di "liberazione", ma è rimasta senza essere realizzata quella parte che aveva a che fare con il concetto di "nazionale". Più della metà della nazione è stata esclusa ed è rimasta fuori dai confini attuali dell’Albania.

- La rivolta del popolo albanese in Kosova che prese slancio all'inizio del 1998, è rimasta di nuovo una rivolta incompiuta. Essa realizzò solo la secessione del Kosova dalla Serbia, non ancora completando la sua seconda parte ovvero l’unione con il tronco nazionale dell'Albania.

- La rivolta degli albanesi in Macedonia nel 2001 ha avuto lo stesso destino. Iniziò come una rivolta nazionale di liberazione ma finì solo con qualche diritto umano e qualche libertà per gli albanesi; quest’ultimi dovettero accettare un altro Stato come la loro Patria.

- In realtà, il compimento della missione da parte dell’Elite politica albanese nel triangolo tra Tirana-Prishtina-Tetovë-Shkup ha un forte e incoraggiante nucleo, ed è anche una nozione europea.


Qual è il supporto storico dell’Albania Naturale?
Per quasi un secolo, gli albanesi hanno festeggiato il 28 novembre 1912, come giorno dell'indipendenza. Tuttavia, i confini amministrativi furono definiti in seguito dalla Conferenza degli Ambasciatori a Londra il 29 luglio del 1913, che con le sue decisioni, divise il territorio albanese in cinque parti.
Tutti i leader albanesi seguenti - Ahmet Zogu, Enver Hoxha, Fadil Hoxha, Shaban Polluzha, Bedri Pejani, Ali Ahmeti, Menduh Thaci, Ibrahim Rugova, Fatmir Sejdiu, Mustafa Kruja, Mehdi Frasheri, Sali Berisha, Fatos Nano, Hashim Thaci, Alfred Moisiu, Ramush Haradinaj, Agim Ceku, Rexhep Mejdani, Bamir Topi e altri, non hanno riconosciuto la Conferenza di Londra del 1913 ma solo il 28 novembre 1912. A sua volta, la comunità internazionale non ha riconosciuto il 28 novembre 1912 e ha definito i confini albanesi il 29 luglio 1913. Gli albanesi, a loro volta non hanno riconosciuto la Conferenza di Londra del 1913 ma hanno riconosciuto solamente l’Albania Naturale. Tuttavia, essi non si sono mai espressi. Pertanto, è giunto il momento di esprimersi, di fornire argomenti e di agire subito.

La piattaforma per l'Albania Naturale tiene conto della realtà politica nella regione.
Al momento attuale, le grandi potenze stano correggendo i propri errori nei confronti dei popoli dei Balcani e in particolare verso gli albanesi. Ecco alcune delle correzioni che le grandi potenze hanno fatto per gli errori commessi in precedenza:
- Il Montenegro ha riconquistato l'indipendenza, che gli era stata violentemente negata dalla Conferenza di Versailles nel 1919;
- La Bosnia ha riacquistato l'indipendenza che la Conferenza di Versailles gli negò nel 1919;
- La Piattaforma, tiene conto del fatto che non ci sono tabù tra gli ambienti politici e governi democratici regionali, riguardo i temi relativi alle questioni che hanno a che fare con il nocciolo duro delle nazioni.
- La piattaforma per l'Albania Naturale fa un’analisi approfondita e prende in considerazione i cambiamenti geo-politici regionali, i cambiamenti che vanno a favore della nazione albanese, i ri- aggiustamenti dei danni prodotti dal passato conflittuale e le rettifiche da parte delle stesse grandi potenze.

Quali sono gli strumenti per l'Albania Naturale?
- Gli strumenti per l’Albania Naturale sono il dialogo e il dibattito democratico.
- Nel corso di un secolo, gli albanesi hanno versato tanto di quel sangue da costruire più di una singola Albania. Pertanto, non c'è più bisogno di sangue. La piattaforma si basa sul motto: Un dialogo con tutti e con ciascuno, un dialogo per tutto e senza previa decisione su qualsiasi argomento.
Oggi, quando la forza del diritto è prioritaria rispetto al diritto della forza del più forte, è giunto il momento per gli albanesi di esigere i propri diritti nazionali. Di conseguenza, la Piattaforma dà priorità al dibattito, al dialogo, al rispetto per l'essenza della democrazia, vale a dire autodeterminazione dei popoli, e in particolare, al diritto e alla necessità di un referendum popolare.


Relazioni con i Paesi vicini.
Nessuno dei vicini dovrebbe avere alcun timore dell’Albania Naturale. Il nazionalismo albanese rispetta la cultura e le tradizioni dei paesi vicini e non è nient’altro che patriottismo progressista ed emancipato; Essenziale per la stabilità regionale, non insulta e non ignora le minoranze etniche e le nazioni, al contrario, le rispetta. In questo contesto il patriottismo degli albanesi è bello, desiderabile, non controverso e indispensabile per la stabilità regionale; Questo tipo di patriottismo è un ‘dovere’ per il futuro dei nostri figli e dei nostri nipoti. La Piattaforma dell’Albania Naturale accetta il patriottismo ma respinge l'etnocentrismo.
L’Albania Naturale non si basa sulle artificiosità, non si basa su miti e leggende, non va a scapito degli altri e non prevarica sugli altri popoli ma si colloca lì dove ci sono degli albanesi. Essa mira a realizzarsi non sulla storia antica o medievale, ma sulla realtà di oggi. Essa riconosce la storia, ma sa ammettere anche la realtà quando è dolorosa. Quindi cerca di dire ai suoi vicini che non dovrebbero innalzarsi sulla schiena degli albanesi, ma sulla loro schiena. L’Albania Naturale non affronta e non si occuperà delle regioni di Molla e Kuqe, Parga, Kosanica e Topica, ma si occuperà di Mitrovica, Presheva, Ulqin, Struga, Çamëria, ecc., in modo tale che esse non subiscano il destino delle loro sorelle in futuro.
La conoscenza della realtà porta anche le sue soluzioni, porta anche la sua stabilizzazione. L’occultamento di questa realtà, porta anche i traumi, l’instabilità, la violenza e i conflitti. Conoscere la realtà comprende in sé anche il dolore della verità. Oramai, questa verità è ovvia con chiarezza. I confini dell’Albania con gli altri paesi dei Balcani non sono naturali, ma sono artificiali. Così come i territori limitrofi di alcuni Stati non sono completamente naturali, ma sono artificiali. E questa artificialità appare chiaramente dal fatto che questi Stati hanno al proprio interno, territori e popolazioni albanesi. L’occultamento di questa realtà racchiude dolore e inganno che dura da un secolo. Questo inganno non può durare ancora, anche poiché, oramai è stato capito da tutti. Ma il dolore della Verità è più leggero rispetto al dolore dell’Inganno. L’Albania Naturale è parte integrante del dolore della Verità, ed ecco perché ha anche un futuro.
La situazione attuale della suddivisione dell’Albania è simile ai principati feudali risalenti al periodo dell’Impero Ottomano. Mentre, l'Albania Naturale è un concetto europeo progressista e occidentale e come tale segue i principi dell'organizzazione europea. È un concetto contemporaneo, considerando che la presente situazione dei territori albanesi è simile al periodo ottomano.

L’Albania Naturale sta al di là delle convinzioni politiche
L’Albania Naturale richiede una riunificazione, sconosciuta dagli albanesi in precedenza. Ciononostante, non richiede questa unificazione a fini di potere, ma per la nazione e per lo Stato. La richiesta di unificazione, sia per la Nazione che per lo Stato, sta al di là delle convinzioni politiche; va oltre le correnti politiche di destra e di sinistra; l’Albania Naturale si trova al di là delle associazioni politiche o altri diversi raggruppamenti. Il potere e la sua rotazione ha bisogno del dibattito sulle alternative politiche tra le varie parti.


Quali sono gli obiettivi dell’Albania Naturale?
L’Albania Naturale è progettata per trasformare la nazione albanese da un pompiere, quale è oggi, in un grande operatore di pace per la regione dei Balcani. La pace regionale e la stabilità ha bisogno di operatori di pace, non di vigili del fuoco. Ridurre il ruolo della nazione albanese a quella di un vigile del fuoco implica prevedere altri incendi nella regione.


L'Albania Naturale ha bisogno di una Londra - 2.
La piattaforma fornisce gli argomenti sulla necessità di un’altra Conferenza Internazionale di Londra - 2, allo scopo di correggere gli errori di Londra - 1 nei confronti della nazione albanese; errori questi che le grandi potenze e i loro rappresentanti hanno già riconosciuto.
Nella miriade di dichiarazioni che evidenziano l'ingiustizia contro la nazione albanese riportiamo la prima di esse, quella dell’ex ministro degli esteri britannico, Grey, dopo la Conferenza di Londra:

Londra 12 Agosto 1913.
La difficoltà di raggiungere un accordo per quanto riguarda i confini specifici dell’Albania è stata enorme. Tutti ricorderanno le difficoltà e i problemi critici riguardo i confini del nord e del nord-est dell’Albania… Io lo so benissimo che quando tutto sarà divenuto di dominio pubblico questa soluzione in molti punti sarà criticata da coloro che conoscono il Paese e giudicano la questione da un punto di vista vicino e locale. È necessario ricordare che, durante gli sforzi per trovare questa soluzione, l'obiettivo principale è stato la salvaguardia dell’accordo delle grandi potenze. E se la decisione che riguardava l’Albania è riuscita ad assicurarlo, ha fatto un’opera importante a favore della pace in Europa.”
Sir Edward Grey sbagliò, la frammentazione dell’Albania non garantì la pace in Europa: dopo un anno iniziò la prima guerra mondiale.

Oggi sulla nazione albanese esercitano il loro potere giuridico diversi accordi internazionali che non sono in nessun modo naturali. Essi sono rimasti artificiali. L’Accordo di Londra 1913, l’Accordo di Versailles 1919, l’Accordo di Yalta 1945, l’Accordo di Rambouillet 1999, l’Accordo di Kumanova 1999, l’Accordo di Koncul 2001, l’Accordo di Ocrida 2001. Sette accordi su una singola nazione!!
La loro essenza è di spezzare e ‘rattoppare’ la questione albanese, e nessuno di questi accordi ha cercato una soluzione globale. Con essi, le grandi potenze hanno elaborato una regione artificiale di nome Balcani. In seguito, l’artificiosità della regione ha prodotto il marchio politico per i Balcani - la Polveriera. Le creature più artificiali di questa regione erano due:
- La formazione del regno serbo-croato-sloveno, chiamato Jugoslavia, fu la prima creatura artificiale.
- La disgregazione della nazione albanese, divisa in cinque parti, è la seconda creatura artificiale di questa regione.

Nel frattempo, la disintegrazione della Jugoslavia era il primo passo per passare dall’artificialità alla naturalità. La fondazione di sei Stati permanenti e di uno Stato provvisorio - Kosova - è la prima fase di trasformazione dei Balcani da una regione artificiale a una regione naturale. Il suo scioglimento violento - che ha raggiunto il suo culmine con la guerra interetnica in Bosnia e con il genocidio serbo contro gli albanesi del Kosova - si spiega con il carattere ultra-nazionalista dello Stato serbo e con la malata sensibilità politica delle grandi potenze, che trovavano difficoltà ad ammettere che la loro creatura di nome Jugoslavia era un disastro.
La seconda fase è l'unificazione naturale della nazione albanese, che ha costituito fino ad ora il secondo grande artificio nella regione. Questa fase si sta avvicinando al termine del suo primo atto importante - lo Stato provvisorio del Kosova. La regione in cui la nazione albanese gioca un ruolo fondamentale ha bisogno di una riformattazione piuttosto che di un ‘rattoppamento’ e l’Albania Naturale ha bisogno di una Conferenza Internazionale. Tuttavia, non dovrebbe seguire il modello di Rambouillet, Koncul, Ohrid e simili; queste ultime hanno semplicemente cercato di ‘rattoppare’ la questione della nazione albanese. Pertanto, solo una Conferenza Internazionale, la quale avrà un approccio più stretto e completo verso la problematica della regione, potrà raggiungere questo obiettivo. In termini di presa decisionale, questo tipo di conferenza dovrebbe essere simile alla Conferenza degli Ambasciatori di Londra nel 1913.

..... continua