domenica 25 settembre 2011

La tradizione serba non possiede canti epici - di Veis Sejko


Estratto dal libro “Sugli elementi in comune nell’epica albanese - arbëreshë e quella serbo-croata”
(traduzione di Brunilda Ternova)

La tradizione serba non possiede canti popolari di eroi propriamente detti. Lo strumento musicale Liuto (alb. Lahuta) è noto in Serbia grazie ai cantori erranti stranieri ciechi e non, che vagavano su e giù per guadagnarsi da vivere, e i serbi consapevoli di non avere esattamente una propria Epica, ronzarono intorno ad essi. Le canzoni epiche dei cantori ciechi non erano apprezzate dalla gente e nemmeno dagli autori serbo-croati che nei loro confronti si esprimevano con parole di disprezzo. Questi cantori ciechi non erano realmente dei veri rapsodi di professione, ma si sono occupati di questo lavoro solo per necessità. Tra di essi avevano una certa abilità Filip Visnjić e un uomo cieco di nome Qorr Hysa, il primo proveniva dall’Erzegovina e il secondo dalla Bosnia. (N.d.T. ‘Qorr’ in lingua albanese vuol dire ‘cieco’) 

Tuttavia, il distretto della città serba di Uzhice e in parte la regione di Jadri nella Serbia occidentale sono popolati da emigrati della Erzegovina, Bosnia e Montenegro, i quali hanno canti epici con il Liuto, il che dimostra ancora meglio che la Serbia propriamente detta non è una zona di cultura Epica.
L’aspetto strano è che, nonostante la Serbia non possieda il folk epico con il Liuto, nessuno degli autori serbo-croati riesce ad ammettere che non ne sono i possessori. Anche Vuk Karadzic, a questo punto balbetta e non riesce a pronunciare la parola “non abbiamo un folk epico”, ma gira intorno alla questione senza nemmeno affermare come stanno le cose. In una conversazione con A. Dozen nel 1857,  Vuk gli conferma questo: “Oggi solo in Bosnia-Erzegovina, in Montenegro e nelle regioni montane della Serbia meridionale esiste una specie di preferenza per il canto eroico ...” [August Dozen: La poesie populaire serbe, Paris, 1859, p. 3.]. Quindi, come si vede, la Serbia viene “inclusa” nella dichiarazione di Karadzic tanto per dire che le regioni montuose del sud - Kosovo odierno - hanno tendenze epiche. Vale a dire che la Serbia propriamente detta non l’adopera e questo aspetto non viene dichiarato in modo esplicito.
Osservando i tre volumi dei canti di Vuk Karadzic non esiste nemmeno un singolo canto che provenga dai villaggi e dai contadini serbi, il che significa che la Serbia non è mai stata l’area del Liuto e quindi nemmeno l’area dei canti eroici. Abbiamo poi due asserzioni chiare: quella di M. Ibrovaci che dice “Questa poesia così ricca e così diversificata è comparsa improvvisamente nel 1814”, e quella di Vuk Karadzic che afferma “le canzoni epiche ci sono oggi solo in Bosnia, Erzegovina e Montenegro”. Considerando ad literam le affermazioni di questi due autori, si evince che questa poesia apparve nel 1814 in quei stessi luoghi dove rimasero anche nel 1857, ma dove la Serbia stessa non risultava. Dal 1814 fino al 1857 sono solo 43 anni, un periodo troppo breve per la nascita, lo sviluppo e la morte di una poesia popolare. Tanta fretta non dimostrarono nemmeno i bugarstice (influenza musicale bulgara sulla musica popolare serba), che malgrado tutto lasciarono alcune canzoni, mentre i deseterci non lasciarono nessuna influenza in Serbia. Vuk Karadzic, avendo dei problemi fisici camminava con le stampelle e difficilmente poteva viaggiare recandosi personalmente nei luoghi serbo croati per raccogliere le canzoni popolari, ad eccezione di Karlovac, Serm e la Croazia - ovviamente sempre seduto su un trono a chiamare davanti a sé quei rapsodi che gli segnalavano. Questo difetto fisico costrinse Vuk Karadzic a creare una rete di corrispondenti in tutta la Croazia, Bosnia, Montenegro, ecc, per raccogliere e gestire i canti che gli venivano recapitati a Vienna, dove aveva stabilito la sua famiglia. La rete di corrispondenti era composta da capi dei villaggi, vescovi, sacerdoti, commercianti, insegnanti, generali, ecc, persone per così dire ‘istruite’ per quell’epoca.
Nella Serbia del 1822, Vuk raccolse quattro canti da un vecchio errante di Kolashin,  e altri quattro da un certo Angelico Vukovici dal Kosova, il quale cantò a Vuk tre canzoni piccole con contenuti della provincia croata e una canzone autobiografica; vale a dire nessun canto autentico serbo. Milivoje V. Knezevic nella sua relazione che riguardava il Liuto d’Acero, tenutasi nel VII congresso del folclore a Ohrid del 1960, ex- Jugoslavia, disse: “La Serbia nel senso stretto della parola, fuoriuscì dalla zona epica insieme con altre regioni del territorio serbo-croato, e con il declino della cultura patriarcale, l’estensione geografica del liuto vene concentrata in Montenegro, in Bosnia-Erzegovina e nella Zagora della Dalmazia”. [Mil. V. Knezevic: "Gusle javorove" VII Congresso di folklore Jugoslavo a Ohrid 1960, p. 348 .]
Quindi, nemmeno questo autore ci dice se in Serbia sia mai esistita oppure no una cultura del canto Epico con il Liuto. L’Autore si aggrappa al filo dell’ambiguità per lasciar recepire che un tempo in Serbia esisteva il canto epico degli eroi, ma ora non c’è più poiché lo ha fatto sparire la scomparsa della vita patriarcale. (?) Ma una tale pretesa sarebbe stata appropriata nel caso in cui nel passato in Serbia ci fossero state effettuate raccolti di canti epici. Dichiarare che si è persa la cultura epica dal momento che è scomparsa la vita patriarcale non è una giustificazione valida, poiché se osservassimo la Croazia e la Bosnia vedremmo che i canti epici hanno avuto una loro continuità.
Gli sforzi di questi autori per convincerci che in Serbia siano esistiti un tempo i canti epici e che adesso non esistano più non si presentano come un lavoro serio e responsabile. Vogliono forzatamente far apparire la Serbia come una zona epica, come fosse una montagna che nel passato ha avuto una foresta mentre adesso non ce l’ha più perché è stata disboscata. Senza darci esempi di canti serbi raccolti nei villaggi serbi e da cantori propriamente serbi in una certa data e anno, con quale coraggio si dice che la Serbia fu una zona epica mentre adesso non lo sarebbe più? 

In allegato riportiamo un elenco di opere e di cantori rapsodi di Vuk Karadzic, per  dare la possibilità al nostro lettore di capire che nella Serbia propriamente detta non ci sono e non ci sono mai stati cantori  serbi di canti accompagnati dal Liuto.
L’Ordine dei cantanti e delle canzoni di Vuk Karadzic.

Nome e Cognome / Di dove è  / Dove si incontrò con Vuk Karadzic / Quanti canzoni ha dato /
Teshan Podrugoviq / Erzegovina / Karlovac / Errante / 22
Filip Visnjić / Bosnia / Serm / Mendicante cieco / 13
Starac Milija / Erzegovina / Serbia / Errante / 4
Starac Rashko / Erzegovina / Serbia / Errante / 10
Stojai (ladro) / Erzegovina / Serbia / Prigioniero/ 3
Gjuro Cernagorac / Montenegro / Belgrado / Mendicante anziana / 6
Gaj Balaqi / Lika / Serbia / Soldato / 7
L’anziana Zhivana /? / Zemun / Mendicante cieca / 6
Angelico Vukovici / Kosova / Serbia / Emigrante / 4
Commerciante anonimo / Bosnia / Karlovac / Emigrante/ 3
donna Mehanxhiq / Croazia / Zemun / Guardia / 3
 Due montenegrini / Montenegro/ Serbia /Viaggiatori di passaggio/ 2

Anonimi
Un contadino anonimo / Serbia / Serbia / Agricoltore / 3
Stefania Plaka /? / Serbia / Mendicante cieca / 4
Un certo Rov / Serbia / Serbia / Proprietario / 3
Pavlo Iriq / Uzhica / Serbia / Proprietario / 6
Vaso Popovic /Croazia / tramite corrispondenza / Proprietario / 16
Commerciante anonimo / Bosnia / Serbia / Commerciante / 8
Anziana anonima/? / Serbia /? / 1
Ivan Beriq /? / materiale inviato tramite corrispondenza /? / 1

Urosh Voliq /? /? /?
Montenegrino anonimo / Montenegro / Serbia /? / 1 *

Primo – Come si può vedere nell’area serba non ci risulta nessun cantore rapsodo, ma ci sono solo degli individui erranti.
Secondo – I canti sono stati raccolti da persone eterogenee: 29 canzoni da mendicanti ciechi; 36 da erranti senza un indirizzo; 6 canzoni da pellegrini diversi; 9 canzoni da servi che non si sa di dove siano; 4 canzoni che provengono da un kosovaro e che non hanno alcun collegamento né con il Kosova e nemmeno con la Serbia. Lo stesso vale anche per i canti bosniaci di Kosta Hermani, che sono stati raccolti lontano dal luogo di origine, - come l’acqua che viene raccolta lontano dalla fonte del ruscello, direttamente dal fango.
In questo lavoro scientifico ci basiamo su un principio fondamentale: là dove suona il liuto è presente anche il decasillabo (ma là dove è presente il decasillabo non deve essere presente anche il liuto). L’etnografico russo P. Rovinski che è stato in Serbia, in Montenegro e Kosovo nel 1860, scrive nella sua opera ”Cernagorije” II  pagina 23: “da su gusle u Serbiji malo ponzate” che in italiano vorrebbe dire  “Il liuto in Serbia è poco conosciuto” [Murko: Gjurmët, 19].
Gli autori serbo-croati dichiarano che il Sandzak di Novi Pazar costituisce un ‘insieme epico’, (ibidem) e questo onore lo fanno a loro stessi e non agli altri - visto che il Novi Pazar è stato l’epicentro dello stato prima del 1280, cioè prima che l’epicentro monarchico, religioso e politico serbo convogliasse da Rascia in Kosova; e per non catalogare questo centro antico  dicono che oggi esso forma un ‘insieme epico’. Anche se di questo “insieme epico” non si conosce nessun canto, tanto nella raccolta di Vuk quanto in quelle di M. Parry e di A. B. Lord. Facciamo riferimento agli ortodossi serbi o ai musulmani del Novi Pazar - vale a dire alla popolazione che parla slavo come lingua madre -, poiché anche gli albanesi parlano il serbo come seconda lingua, cantano molti canti  con liuto dando vita così ad un “insieme epico”, e questo viene dimostrato in particolare nei due volumi del canto epico dei due autori americani.
Se fosse vero che i serbi avevano nella loro tradizione i canti epici, allora gli emigranti serbi dell’ Ungheria lo avrebbero dimostrato prendendo queste canzoni con sé in terra straniera, così come fece la popolazione albanese che emigrò in Italia - in Calabria, in Sicilia e altrove. In questo modo, anche se avessero perso queste canzoni in Serbia, le avrebbero mantenute in vita in emigrazione in Ungheria.
Sia per quanto riguarda gli altri slavi del sud che per i serbi, si impone una domanda fondamentale: come mai queste popolazioni non formarono un epica popolare durante le guerre sanguinose combattute contro i Franchi, i Bizantini e gli altri nemici? Comprendiamo i croati che furono quasi sempre sotto il giogo ungherese, ma non i serbi che riuscirono a vincere nelle loro guerre raggiungendo una certa indipendenza da Bisanzio dal 1196 fino al 1398, - anno in cui dopo la guerra del Kosova la persero nuovamente a causa dell’Impero Ottomano. Come è possibile che i serbi abbiano fatto una lunga lotta contro Bisanzio per molti secoli, senza aver creato nessun canto epico per ricordare le loro gesta? Noi pensiamo che ci siano, ma non sussistono in nessun caso. I serbi, tuttavia, sono un caso atipico.
Il primo ostacolo è stato il clero ortodosso che era sia serbo che Bizantino. In pratica Bisanzio non fu solo una scelta politica per i serbi, ma fu anche la loro metropoli religiosa. Per il rapsodo serbo sarebbe stato difficile cantare contro Bisanzio, poiché i sacerdoti lo avrebbero ucciso subito.
Il secondo ostacolo fu la mancanza di una linea epica, perché gli slavi in generale non furono capaci di assimilarla. Addirittura quando non potevano essere costituiti in liberi versi, i canti non furono registrati e conseguentemente persi. L’esistenza di canti in liberi versi nella popolazione ceca è una casualità, poiché qualcuno si impegnò a registrarle, ma questo succede raramente e non si verificò con i serbi. Supponendo che fosse stata presente nei serbi ma che la collezione fu persa e mai trovata, ciò dimostrerebbe solo l’esistenza della prosa ritmica. Ma l’Epica popolare non rimane in piedi solamente con la prosa ritmica, essa necessita di una metrica regolare. Il cantore serbo ha avuto la possibilità di prendere in prestito questa metrica dal popolo albanese, con il quale viveva in simbiosi e/o come vicino di frontiera, ma con una grande differenza: il popolo albanese cantava contro i re e i nemici serbi, dunque la sua canzone era, per i serbi, da evitare a tutti i costi. Anzi doveva essere maledetta due volte: la prima volta, perché la chiesa ortodossa serba non l’avrebbe mai accettata data la lesa maestatis contro i re serbi; la seconda perché gli albanesi erano oppressi e venivano disprezzati per la loro arcaica eredità culturale.
Sono molte le ragioni oggettive che non diedero agli albanesi la possibilità di formare il loro Stato durante i secoli VIII, IX, X, XI mentre gli slavi, in particolar modo i serbi, diligentemente tramite guerre sanguinose riuscirono a creare il loro. Le cause principali sono state esattamente la doppia oppressione e la penetrazione nelle fila degli albanesi dell’elemento serbo. In merito alla situazione degli  albanesi, i quali si trovavano tra l’'incudine e il martello, tra l’oppressione bizantina e quella serba, sono state spese parole anche dagli stessi autori slavi. L’autore croato Milan Shuflai dice: “Oppressi dai greci a sud, e moltissimo dai serbi a nord, gli aristocratici albanesi si sono rivolti agli Angiò a Durazzo e Napoli” [Dr.Milan Shuflai: Serbi e Albanesi (prospetto medievale), con l’introduzione di St.Stanojeviq, professore presso Università di Belgrado. Tradotto da Zef Fekeçi e Karl Gurakuqi, Tirana 1926, p.59.]
Questi due occupanti, che erano in conflitto tra di loro ma solidali contro gli albanesi, non davano a quest’ultimi tempo e spazio neanche per respirare. Questa ostilità diventava ancora più aggressiva vedendo che gli albanesi si coalizzavano con l’occidente, sorreggendo le loro speranze principali nelle rivolte. Forse alla fine di una di esse arrivavano a creare un nucleo militare stabile all’origine dello Stato. Ma le insurrezioni albanesi, come dalla narrazione di Ataliati (1043) o come accennato dai fratelli Dhimitër e Bogoje Suma (1331) contro Stefan Dusan, causavano grandi stragi senza creare un nucleo statale, rimandando più in là le speranze in uno Stato. Un popolo che ha uno Stato è un popolo che ha una capitale, una amministrazione nazionale e locale, un capo, un esercito, l’organizzazione della propria cultura, delle leggi e tribunali, ecc. Condizioni necessarie per vivere collettivamente con diritti e doveri equi e dignitosi. Un popolo senza uno Stato è come una carrozzeria senza motore buttata per terra che chiunque può squartare e saccheggiare. In una nazione senza Stato regnano gli interessi, vincono i più forti, la violenza, la vendetta, ecc. aspetti questi che diventando principi fanno sì che il nemico esterno penetri facilmente. In aggiunta, una nazione senza Stato è disprezzata ed è calpestata dagli altri, sentendosi essa stessa debole e umile.
Il popolo albanese seppe creare una comunità militare sotto la guida di Scanderbeg, tale da sfidare un intero impero potente, come quello ottomano, resistendo molto meglio e più a lungo rispetto ai vicini balcanici  - che fruivano di una organizzazione statale. Questa nazione, la popolazione albanese, non si e incamminata durante la storia come una folla sparpagliata, ma ha esercitato una efficiente organizzazione tribale interna, con in testa i suoi nobili e le casate - che non era altro che uno stato in miniatura che aveva le sue leggi, i suoi tribunali, il suo mondo culturale, i suoi confini politici, i suoi alleati e l’esercito per affrontare il comune nemico esterno per il bene di tutta la nazione.
Anche nei suoi momenti più critici la popolazione albanese non è mai stata una massa amorfa, si presentava piuttosto come una unità pronta a raccogliere un esercito come quello del re illirico Bato, Skanderbeg o della Lega Albanese di Prizren, ecc. Per le loro qualità virili e pagane gli albanesi sono stati temuti dai loro nemici, così come ci spiega anche Vincenzo Dorsa: “Dice Byron: Non vi  è un Popolo più odiato e temuto dai suoi vicini come gli Albanesi … i greci a malapena li considerano cristiani, e lo stesso i turchi a malapena li considerano musulmani. Per quanto io ho potuto constatare altro non devo loro che degli elogi…” [Vincenzo Dorsa: Su gli Albanesi, ricerche e pensieri, Napoli, 1847, fq. 138-139.]
Durante lo Stato medievale serbo, il Liuto - essendo uno strumento senza rilevanza, primitivo e appartenente ad un popolo snobbato che lo utilizzava contro gli stessi re serbi – non fu trasmesso ai serbi e non fu adottato da quest’ultimi. Inoltre i serbi stessi in quel momento particolare della storia non avevano di cosa cantare con questo strumento musicale - visto che loro stessi erano degli aggressori e antagonisti. Durante il dominio turco il Liuto ai serbi non serviva poiché essendo dei raja (schiavi liberi) a loro servivano piuttosto strumenti lavorativi come il piccone e le pale per lavorare la terra. I serbi presero già pronto il Liuto da terzi, dai cantori presi a prestito, in ugual modo di come i bosniaci oggi si trovano ad avere al loro interno il bilinguismo del Novipazar. I cantori prestati non sono proprio stranieri, ma sono popolazioni bosniache, montenegrine e hercegovine.
Se gli autori serbi dicono che “Il valore morale del Liuto si osserva quando si dice che il Liuto liberò la Serbia dai turchi, …” [MURKO, Tragom, pagina 196 ], si deve tener presente il cantore cieco Filippo Vishnjiq; Quest’ultimo si incamminò dalla Bosnia verso la Serbia nel 1809 e cantò il primo canto della liberazione serba “L’inizio della rivolta contro i dahis” (N.d.T, i dahis erano leader dei giannizzeri), così come molte altre canzoni che furono le prime conosciute dai serbi sul loro suolo. Come è ben noto le rivolte serbe iniziarono nel 1804 con l’aiuto della Russia, raggiungendo l’autonomia nel 1817. L’aiuto del Liuto in questo caso è a dir poco eccessivo.

Ringraziamo la signora Esmeralda Tyli – nipote dell’autore – per aver autorizzato la traduzione e la pubblicazione di questo materiale.

sabato 24 settembre 2011

A d a m - Tregim nga Brunilda Ternova

 (Tregimi është publikuar në nr. e dytë të revistës letrare "Jeta e Re" - Kosovë, 2010)

Adam është një djalë me prejardhje të paqartë etnike i cili jeton në një Qytezë të vogël në veri-lindje të vendit. Nëna e tij, hebree por italiane me nënshtetësi, shpesh pyeste veten se me cilin oficer nazist gjerman e kishte ngjizur atë ditë pranvere të 1945, kur ajo ishte veçse një 14 vjeçare. Ishte muaji Prill dhe ushtria naziste po tërhiqej e humbur nga territoret e pushtuara. Ajo i vuri djalit emrin e burrit të saj hebre italian, Adam, i cili pasi u martua me të - edhe pse ajo ishte shtatëzëne me një tjetër - vdiq nga infrakti pas shtatë vjetësh martesë. Adam emri e Levi mbiemri.  


Adam e kishte zakon të lexonte libra historie në kohën e tij të lirë dhe nuk i përkushtohej shumë gjërave të tjera, përveç shkollës. Një ditë djali, që sapo kishte mbushur 12 vjeç, po shihte veten në pasqyrën e madhe të korridorit të shtëpisë, korniza e të cilës ishte punuar me dru të praruar dhe me një shije të hollë të stilit hebre. Pa ata sytë e tij blu, flokët e tij bjond, duart e tij të mëdha e të forta dhe shtatin e tij, tashmë gati burrëror. “Hej dreq” tha me vete “dukem si njëri prej atyre gjermanëve ...” dhe mori nga albumi që kish krijuar një fotografi të prerë nga një gazetë, ashtu si zakonisht ruheshin figurinat e lojtarëve të futbollit. Pa në fotografi një ekzemplar të bukur të një oficeri me uniformë dhe armë në dorë. Një pamje familjare ajo të cilën ai e kishte parë gjithmonë në pasqyrë.

Lutjet që i kishte bërë të jëmës për ti blerë një pushkë lodër, një granatë dhe një uniform nuk ranë plotësisht në vesh të shurdhër: pushkën dhe granatën ia dhuruan ditën e onomastikës së tij, ndërsa për uniformën iu desh ta siguronte vet në pazarin e rrobave të përdorura duke i bëre aty-këtu ndonjë modifikim. Kështuqë atë vit në ditën e karnevaleve, Adami - i vetëkënaqur nga zgjedhja e tij gjeniale - bëri paraqitjen e tij në qytezën e vogël i veshur si oficier nazist e i mbuluar gjithandej me dekorata dhe svastika. Të gjith ngelën të habitur e të tronditur e me shpejtësi krijuan përreth tij një lloj zbrazëtie të tipit “Largohuni, po mbërrin oficeri nazist!”. Adam, gjithmon edhe më krenar dhe me gjoksin përpara, parakalonte i lirshëm përmes turrmës duke ngritur herë pas here krahun e djathtë drejt qiellit e duke bërtitur me kujë “Aiii Ittleer”. Kishte besuar gjithmonë se ajo nuk ishte një përshëndetje, por ishte më tepër një reagim i ushtarëve ndaj dhimbjeve të shkopinjëve të marra nga kapot e tyre, ashtu si reagonte edhe nëna e tij nën fshikullimat e thuprës së të jatit të tij adoptiv, përpara se ky i fundit të vdiste.
Turrma kishte ngrirë dhe ishte zhytur në një heshtje të çuditëshme e të panatyrshme që po trasformohej në një heshtje ankthi. Ishte ditë karnavalesh, por të gjithë e kishin harruar tashmë. Ishte një ditë e ngrohtë dhe e bukur me diell, gjë e rrallë për atë qytet verior gjithmon i mbuluar nga retë gri, por askush nga ata që ishin prezent aty në ato momente nuk donte t’ja dinte për atë mrekulli. Fëmija nuk e vuri re këtë gjëndje të nderë por vazhdoi të ecte drejt derisa mbaroi paradën e tij ushtarake, madje i kërkoi grupit muzikor të qytetit që ti binte “Himnit të Gëzimit” të Beethoven-it. Grupi i muzikantëve, edhe pse të shastisur nga pamja e tij, për të thyer heshtjen e sikletëshme të krijuar nga ajo situatë interpertuan Himnin e Beethoven-it në mënyrë sa mekanike aq edhe madhështore.
Fëmija mbërriti në sheshin e vogël të qytetit dhe pa se edhe kryetari i bashkisë ndërpreu fjalimin e tij të cilin po e mbante para një grushti njerzish të budadallepsur ca nga fjalimi e ca nga ai. Atëherë fëmija, duke menduar se kishte qëlluar në shenjë me veshjen e tij karnevaleske, i dedikoi edhe kryetarit të bashkisë një “Aiii Ittleer” kumbuese e të forte duke shtrirë krahun përpara e duke e parë me krenari. Bashkiaku duke zgurdulluar sytë e duke parë herë fëmijën e herë grupin e budadallepsur përpara tij, përsëriti dobët dhe në mënyrë retorike “Aiii Ittleer??”.
Eksponentët lokalë dhe figurat fetare që ndodheshin në podium filluan të gumëzhijnë si mizat me njëri-tjetrin. “Ç’po ndodh? Ç’është kjo? Ndonjë sabotim? Kush është ky spurdhiak xhanëm? Kush e solli këtu? Kush e ka paguar, pse e ka paguar…... bëzzzz”. Ndërkohë që prifti i kishës së Shën Mërisë po bënte shenjën e kryqit e hoxha musluman po i lutej zotit të tij, rabini hebre zbriti nga podiumi e duke i urdhëruar bandës muzikore të heshte, mbërtheu krahun e djathtë të femijës duke e tërhequr zvarrë e me force drejt famullisë; fëmija i ndodhur papritmas në një darë të forte e të dhunëshme nuk kuptonte përsenë e asaj që po ndodhte dhe nisi edhe ai të ndihej pak në ankth.

Rabini hyri në sinagogë, hoqi veshjen e tij priftërore - poshtë të cilave kishte të veshur ato të zakonshmet që vishte çdo qytetar laik - hoqi rripin e pantallonave dhe nisi ta qëllonte fëmijën pa mëshirë. Fëmija gjatë goditjeve ulërinte “Aiii Ittleer” dhe nuk kuptonte pse ajo torture fizike po zgjaste kaq shumë e kaq gjatë e po bëhej gjithmon e më e dhunëshme se në fillim. Pas tridhjet e ca fshikullimash mbi kurrizin e përgjakur të fëmijës, rabini duke gulçuar nga lodhja, i djersitur e i kuq nga zemërimi u ndal për të marrë frymë duke u ulur në shkallën e katedrës së mermertë të sinagogës.
Disa hapa të çrregullt e të zhurmëshëm lajmëruan ardhjen e dikujt: ishte nëna.
E shqetësuar dhe e tronditur filloi të qante me dëshpërim kur pa shpinën e fëmijës së saj të masakruar që kullonte gjak. Ndërkohë që merrte në krahë djalin e saj pa ndienja, rabini i ulur në shkallët e altarit filloi ti bërtas kundër se do ta denonconte atë dhe këlyshin e saj bastard që e kish detyruar të fyente zotin duke ushtruar dhunë në shtëpinë e tij.

Të nesërmen të gjitha gazetat lokale dhe kombëtare shkruanin me gërma të mëdha për skandalin: “Fëmijë nazist, skandal në Qytezë”, “Paradë shokuese, Qyteza ngihet në protesta”, “Fëmija i veshur si Hitleri në Qytezë”, “Eksponentë fetarë e politikanë deklarojnë: "Prindërit duhen dënuar!", etj, etj, etj. E kështu ndodhi që e jëma, ajo grua delikate dhe e ndjeshme, jo vetëm që u gjobit rëndë por në gjyq u dënua me dy vjet brug. Kujdestaria e fëmjës i’u besua një instituti psikiatrik për femijët problematik dhe me sëmundje mendore. Nga ai institut Adam doli pas 8 vjetësh, i veshur kësaj radhe kokë e këmbë me uniformën e bardhë të pacientit të sëmurë mendorë. Nëna e tij, e sëmurë fizikisht dhe e shkatërruar shpirtërisht, kishte ardhur për ta marrë me taksi e për ta çuar në shtëpi.
Adam nuk u martua kurrë dhe nuk u fejua kurrë me asnjë vajzë. Nuk e njohu kurrë dashurinë. Nuk punoi kurrë e nuk lexoi kurrë më libra as historie e as të ndonjë lloji tjetër. Nuk dilte shpesh nga shtëpia dhe nuk kishte miq. Thjesht pikturonte muret e brendëshme e të jashtëme të shtëpisë me paizazhe kopshtesh të harlisur e pemësh të begatëshme. Në disa nga këto afreske pikturoi edhe vet-veten, lakuriq, ndërkohë që mundohej të këpuste nga pema një mollë të kuqe. Pranë vetes pikturoi edhe nënën e tij, edhe ajo e potretizuar lakuriq me duart në kokë duke shkulur flokët e duke ulërirë.

domenica 18 settembre 2011

Il design grafico, un medium importante anche in Kosova.


Il design grafico, un medium importante anche in Kosova.
di Shahbaze Vishaj
(tradotto dall’albanese all’italiano da Brunilda Ternova)

Rrezeart Galica - Giqi nasce il 25 settembre del 1981 a Pristina. Durante gli anni 2000-2005 conclude i suoi studi presso la Facoltà di Belle Arti dell’Università di Prishtina in Disegno Grafico. Sempre presso la stessa Università, nel Dipartimento Multimediale, conclude anche il Master in Graphic Design nel 2008.
Rrezeart ha partecipato a sei mostre collettive, sia nazionali che internazionali, esponendo le proprie opere a Pristina, Skopje, Tirana, Tetova, ecc. A coronamento di tutta questa attività produttiva, espone ultimamente le sue opere anche a Scutari, dove esibisce chiaramente il suo impegno di artista e creatore nel campo del design grafico. Abbiamo sfruttato questa occasione per svolgere con lui una breve intervista.


Sh. Vishaj: Il campo del design grafico è abbastanza complicato rispetto ad alcuni altri rami dell’arte. Che cosa offre in realtà la progettazione grafica, a differenza delle altre espressioni artistiche?

Rrezeart Galica: Per me il disegno grafico offre le opportunità migliori nell’esprimere quello che sento e che mi stimola. Al fine di esprimere in arte l’ispirazione, un grande contributo proviene anche dalla tecnologia moderna, che impone un approccio ancora più preciso e contemporaneo nell’articolazione artistica. Il disegno grafico, essendo un importante mezzo artistico, racchiude in sé alcune discipline, come il logotipo, la tipografia, i poster, la preparazione del libro, la fotografia, ecc. Con questa varietà di discipline, credo che ogni artista trovi con facilità se stesso e riesca ad esprimersi.

Sh. Vishaj: Nel catalogo della Pinacoteca di Tetova, dove hai esposto quest’anno, l’illustre professor Kujtim Buza riporta con riconoscenza il tuo talento paragonandoti ai grandi nomi della nostra arte nazionale, come Muslim Mulliqi, Tahir Emra, Rexhep Ferri, Agim Çavdërbasha, Shyqri Nimani - tutti membri dell'Accademia delle Arti e delle Scienze del Kosovo. Indubbiamente è un peso” bello grande per un trentenne come te. Tutto ciò ti dà delle motivazioni in più nel tuo lavoro quotidiano?

Rrezeart Galica: Mi sento onorato e privilegiato quando un illustre professore del calibro di Kujtim Buza, riporta nei miei confronti tali valutazioni. Ovviamente mi fa sentire obbligato a dare il massimo, dedicandomi e impegnandomi ad essere sempre al meglio della mia creatività artistica. I nomi citati sono il fiore all’occhiello dell’arte del Kosovo, hanno onorato gli albanesi e il nostro Paese in tutto il mondo. La società kosovara sta facendo molto poco per loro. Di essi dovremmo celebrare i compleanni ed onorare gli anniversari di morte, incominciando dalle più alte gerarchie dello stato del Kosovo e fino alle associazioni degli artisti. La negligenza in tal senso e la mancanza di rispetto nei confronti di chi ci ha onorato, è una infamia per l'intera società, soprattutto per gli artisti del Kosovo.

Sh. Vishaj: Dove si riscontra la tua comunicazione interattiva con gli appassionati d’arte del tuo genere?

Rrezeart
Galica: Questo ponte di comunicazione è costruito attraverso le idee e i temi affrontati nel mio lavoro. Penso che la maggior parte delle mie opere va a toccare quello che i cittadini e gli appassionati d’arte vivono e vogliono trasmettere alle varie potenze collocate in Kosovo. L’artista deve essere un idealista e un antagonista contro ogni Potere, soprattutto in Kosovo, dove abbiamo più Potere che Stato e dove le autorità si disinteressano sia dello Stato che dei suoi cittadini. Forse in questo senso l’opinione pubblica si è identificata con il mio lavoro, creando una empatia che ha reso più facile la comunicazione tra me e loro.

Sh. Vishaj: Quale è la tua opinione riguardo la situazione attuale del linguaggio figurativo delle arti – in questo caso del disegno grafico - oggi in Kosovo e in Albania, in confronto con altre forme artistiche? Quindi, cos’è che caratterizza il linguaggio del design rispetto le altre forme delle arti visive?

Rrezeart Galica: In Kosova, il disegno grafico ha una certa tradizione dato che esisteva già da tempo un dipartimento presso la Facoltà delle Arti di Pristina. Durante il passato regime, nella ex-Jugoslavia, a differenza del sistema monista in Albania, noi non siamo stati assoggettati al principio del realismo socialista artisticamente inteso. A quel tempo, a Belgrado, esisteva un dipartimento delle arti applicate (il termine ‘design’ è stato utilizzato in seguito), dove si recavano a studiare artisti che provenivano da tutta la federazione della ex-Jugoslavia, e anche dal Kosovo.
Dopo la laurea, tanti di questi artisti frequentavano nei vari Paesi occidentali la specialistica in aree specifiche del design. Io ho avuto l’occasione di analizzare attentamente il design di quell’epoca, i loghi, i manifesti, i libri, i giornali, gli opuscoli, ecc., e sono impressionato da quanto è stato fatto al tempo in Kosovo. Nel passato gli artisti venivano incoraggiati molto di più e il loro valore veniva riconosciuto sulla base di criteri di merito.
Oggi ci sono molti grafici diplomati, ma non c’è una vera arte del ‘design’ perché in molti pensano di conoscere quest’arte con o senza un diploma. Alcuni, che in un tempo non troppo lontano si distinguevano per la loro creatività, oggi si sono trasformati in uomini d’affari che vedono l’arte allo stesso modo di come i politici vedono il Potere e la politica - calpestando egocentricamente  chiunque rappresenti una minaccia concorrenziale.
Prendiamo ad esempio il concorso che si è svolto per la bandiera e l’emblema della Repubblica del Kosovo. Le autorità hanno giocato sporco con gli artisti kosovari, facendo credere che si sarebbe svolta una equa selezione ma, nel contempo, la bandiera veniva ricamata in Turchia. Questo gioco, questo degrado, sta incominciando dall’alto e si sta diffondendo in tutta la società.

Sh. Vishaj: Un capitolo a parte nell’arte della grafica, lo ricopre anche il design del libro in generale. A che livelli si trova la preparazione del design del libro in Kosovo e in Albania?

Rrezeart Galica: In accademia, si studia la “Preparazione del libro”, ma se si va a vedere il quadro selezionato per l’insegnamento di questa materia, si capisce che la sua importanza è stata svalutata già in partenza.
In Kosovo saltuariamente ci imbattiamo in pubblicazioni che hanno l’adeguata cura artistica, perché ogni persona che possiede un computer pensa che il design sia una cosa facile da realizzare, basta cliccare il mouse. Se i progettisti creassero un’associazione, le cose andrebbero diversamente, poiché verrebbero sanzionati gli studi e le tipografie che non lavorano con progettisti formati professionalmente. Successivamente, per evitare questo soffocamento, si potrebbe concedere la licenza ad ogni artista. Penso che qualsiasi libro che merita di vedere la luce della pubblicazione, dovrebbe essere filtrato meglio anche dall’aspetto artistico. In questo caso, l’autore del libro dovrebbe essere più rigoroso nella selezione di un professionista, per finalizzare il lavoro artistico dell’immagine della sua opera.

Sh. Vishaj: Il pubblicista Gëzim Krasniqi, si esprime nei tuoi confronti dicendo che attraverso le tue opere artistiche neghi una realtà politica e giuridica che ha svantaggiato e continua a mettere in una posizione sfavorita il cittadino comune del Kosovo. Puoi offrire ai lettori un tuo parere in merito?

Rrezeart Galica: C’è da considerare che la frase menzionata si riferiva alla situazione quando l'UNMIK era il sovrano assoluto in Kosovo.
Noi, come giovani, ci siamo sentiti soffocati in una realtà di tale gestione internazionale dove trovavi delle situazioni assurde; per esempio il caso del poliziotto ricercato per crimini in Ruanda che era diventato il responsabile dell’ordine e della legge in Kosovo, oppure il caso del responsabile delle ferrovie – una persona che aveva lavorato nei porti marittimi - che proveniva da uno stato in cui le ferrovie non erano funzionanti da 40 anni. Esempi di tali anomalie c’è ne sono a decine e a centinaia. Noi siamo un popolo europeo, gli abitanti del continente della democrazia, ma anche vittime dei sistemi totalitari. Quindi, eravamo desiderosi del diritto e dell’ordine occidentale. E invece, dopo la guerra, siamo stati trasformati in una popolazione sperimentale. Quel che è peggio, anche l’EULEX  sta sperimentando e in particolare lo sta facendo l’attuale governo del Kosovo. Io temo e non voglio credere che solo il collasso totale dello Stato del Kosovo porterà la fine degli esperimenti con il popolo kosovaro. Forse solo allora andrà tutto per il meglio? La mitologia greca ci dice che dall’ordine nasce il caos. Forse!

Sh. Vishaj: Sei rinomato per il coraggio che trasmetti attraverso il tuo lavoro artistico, per l’opposizione e la resistenza contro le missioni internazionali in Kosovo (l'ONU, EULEX ecc.). Il pubblicista Shkelzen Gashi si è pronunciato dicendo che non aveva mai visto un altro artista esprimersi artisticamente come hai fatto tu. Cosa dovrebbe avere un artista come te per affrontare le pressioni che si verificano sulla popolazione del Kosovo?

Rrezeart Galica: Come cittadino Albanese del Kosovo e come artista, non posso rimanere indifferente a situazioni che vanno sempre contro gli interessi del mio Paese. Allo Stato del Kosovo è stato imposto il protettorato delle Nazioni Unite, l’Unmik, che ancora oggi continua a sussistere con un ruolo periferico, ma che è indifferente verso il benessere e le ambizioni del mio popolo. Sono indignato da una amministrazione internazionale che pensa di più al suo staff che non ad una nazione e Paese. La mia rabbia accumulata in questi anni è causata da un sistema forestiero che non ha visione e che continua a soffocare senza pietà, spingendomi a realizzare nel 2004 il poster “tUNg” (ita: “ciao” nel gergo della lingua albanese), ma che è anche eufemismo per “lamtumirë” (ita: “addio”), “ik e the qafën” (ita: “vattene e che ti si spezzi il collo”), esprimendo così le mie convinzioni e i miei sentimenti. Più tardi ho realizzato: “EUSEX” che ironizza sulla missione EULEX, nota più come spettacolo televisivo che per il lavoro concreto; il Governo Ladro (alb: H-Qeverisja) che sta terrorizzando i cittadini; L’Invasione dei Media (alb: Pushtimi i mediave) che sta soffocando l’opinione libera, ecc. Purtroppo, parlando dal punto di vista del cittadino del Kosovo, queste opere non hanno perso la loro attualità. Fortunatamente, parlando come artista, molte di queste opere sono analizzate e sono prese come oggetto di specializzazione da studenti dell’Accademia di Belle Arti di Perugia, in Italia.

Sh. Vishaj: Rrezeart, per concludere vorrei chiederti come valuti le tue ultime due mostre, quella di Scutari e quella di Tetova? Cosa si riflette nelle esposizioni per gli appassionati d’arte in queste due città in parte dal gusto diverso?

Rrezeart Galica: Ho avuto una precedente esperienza con gli albanesi di Macedonia, grazie all’esposizione a Skopje, ma l’accoglienza a Tetova è stata più specifica e abbracciava sia i semplici cittadini che gli artisti e i media – quest’ultimi hanno sensibilizzato l’opinione pubblica riguardo l’apertura della mostra e dei suoi contenuti.
La comunità dell’arte a Razma di Scutari e l’esposizione sono state un’esperienza diversa, non solo per aver goduto di una natura poco conosciuta per me del nord-est dell’Albania, ma anche per le emozioni che ricevevo e riflettevo di conseguenza nelle opere artistiche. Quella parte di Scutari, a me sconosciuta fino ad allora, è meravigliosa. Questa è stata una buona occasione non solo di cercare ma anche di realizzare nuovi contatti con artisti provenienti dall’Albania e da Macedonia.