domenica 30 ottobre 2011

Le Fotografie della Memoria - racconto di Dorian Isai


(traduzione di Brunilda Ternova)

Andi ripeteva a se stesso, convinto che ormai si ricordava e che aveva un chiaro concetto riguardo le fotografie della memoria: “…le fotografie della memoria sono quei momenti che rimangono a lungo nella mente e che riportano dallo spazio nel tempo momenti unici lasciando ulteriori ombre nella vita della persona che le rivive. Sono la concentrazione dei momenti e delle situazioni vissute irruentemente.” L’illusionista gli aveva spiegato che non era necessario che lui lo ricordasse esattamente nei termini  così esposti. “Io non sono un insegnante rigido” – gli aveva detto, ma per Andi era importante capire questa definizione.
“Devi riportare esempi tratti dalla tua vita, fotografie della memoria di persone che conosci,  preferibilmente di coloro che sono  più vicini a te, i membri della famiglia, coloro che conosci meglio.” Da quel giorno Andi aveva iniziato la sua “ricerca”.
Richiamava alla memoria sua madre, il padre, la sorella, non più come un adolescente lontano da casa per le vacanze ma per ragioni  di “studio”.  Si era dato da fare per tutto il pomeriggio ma sentiva che stava girando intorno ad un cerchio senza via d’uscita vivendo una situazione d’impasse. 
Il primo giorno quando aveva visto l’illusionista e i suoi numeri da giocoliere con il grande fazzoletto – da dove scomparivano e apparivano fiori, piccioni, uova, catene -  non aveva pensato che per diventare come lui avrebbe dovuto superare tante prove di conoscenza  ed essere in grado di scrutare nel profondo della natura umana. Per la prima volta nella sua vita, mentre frequentava lo spettacolo, si convinse finalmente di aver scelto una professione, ma poi, dopo aver preso confidenza con il suo idolo, vide che era difficile. Prima che l’illusionista lo mettesse alla prova e gli insegnasse qualche segreto, Andi dovette dimostrargli che era in grado di riconoscere persone e caratteri, in modo da utilizzare i trucchi per non fallire. “Anche se non è percepibile è una professione basata nel riconoscimento delle debolezze della gente… fino ad un certo punto. Poi quando si parla di alti livelli, a questo punto, adesso neanche io sono in grado di insegnarti nulla.” Andi nuotava in queste acque, finché non trovò la prima immagine nella sua memoria e che aveva a che fare con sua sorella. L’avvenimento era successo un anno prima. Lei aveva appena raggiunto il sedicesimo anno d’età – mentre lui ne aveva tredici – e i loro genitori avevano deciso di separarli in due camere diverse.
Era un tardo pomeriggio quando entrò in casa e vide che la loro camera era tutta sottosopra. Il padre faceva attenzione a non scalfire le pareti nell’atto di spostare il letto, mentre la madre gli disse che in seguito gli avrebbe spiegato ogni cosa. Sua sorella elegantemente scombussolata dalla possibilità, ormai diventata realtà, di avere una stanza tutta sua non riusciva a vederlo. Quando tutto era finito, Andi guardo attentamente nella camera un grande spazio vuoto senza sapere cosa farsene di esso. La sorella entrò e prese l’ultima cosa che le era rimasta, una piccola borsetta di make-up che lui era solito scaraventare a destra e a manca. Lei aveva valicato la soglia per uscire e si voltò lentamente, molto lentamente tanto da rendere impressionate tutto quell’improvviso cambiamento di ritmo
nel portamento. Sembrava che qualcosa la avesse tirata all’indietro con forza. Osservò Andi con uno sconforto e una nostalgia tali da non renderli comprensibili, emozioni insolite che lui riuscì ad individuare nella mimica di lei. Non riusciva a comprendere, sarebbero rimasti sempre nella stessa casa e lei sarebbe stata solo due metri distante da lui. La sua figura che si allontanava di nuovo felice con la borsetta del make-up in mano dimostrava quella continuità. Il suo improvviso sconforto nostalgico gli era rimasto a lungo nella mente incapace di assorbirne il significato. Era questa una fotografia di memoria?! Lo aveva raccontato all’illusionista-maestro, il quale gli aveva anche risposto che era davvero una bella fotografia di memoria. Finalmente ce l’aveva fatta!
Questo significava che un giorno avrebbe potuto conoscere i trucchi e i segreti del mestiere e forse sarebbe diventato lui stesso un vero illusionista?! Comunque doveva ancora continuare a scovare dentro di sé con moderazione, sempre più in profondità per raggiungere un “processo di conoscenza” che gli potesse dare sicurezza nel rapporto con il pubblico. Quindi, di nuovo alla ricerca. I suoi amici si stavano godendo gioiosamente le vacanze ma Andi sfruttava questi momenti per raggiungere il suo obiettivo, quello di realizzare al più presto possibile un gioco di illusionismo. Scavò nei suoi ricordi ripetutamente. Anche se aveva trovato una prima fotografia di memoria, riuscire a scovare una seconda era comunque difficile. Erano momenti unici, vissuti con intensità. Di nuovo un lontano ricordo e di nuovo sua sorella.
Una notte molto tardi, mentre tutti dormivano, si era alzato per andare al bagno e aveva avvertito l’aprirsi della porta di casa. Vide entrare sua sorella con la gonna stropicciata e con i capelli scompigliati. Papà le aveva ordinato di tornare presto a casa, soprattutto adesso che frequentava un ragazzo che era sempre lì, ad aspettarla nell’angolo del palazzo. Si incontravano e si dimenticavano del resto finché qualcun altro si ricordava e la chiamava al cellulare. Quella sera nessuno l’aveva chiamata, erano tutti occupati a guardare la televisione, mentre Andi stesso mezzo addormentato si era trascinato nel suo letto. I genitori si erano assopiti sul divano. Era davvero un orario pessimo per tornare a casa. Lei non aveva spiccicato parola ma con lo sguardo lo aveva pregato di non dire nulla e di mantenere il segreto. Non solo, era truccata come a significare che era nel suo “diritto” fare quello che voleva senza che la sua fiducia venisse tradita dal fratello. Sarebbe rimasto il loro segreto finché lui non l’avesse tradita alla prima occasione quando lei non le avrebbe soddisfatto un capriccio. Non era mica un gioco da bambini.
“Anche questa è una bella fotografia di memoria. Continua dunque così, sei sulla buona strada.” -aveva detto l’insegnante illusionista rivelandogli anche alcune sue ambizioni personali. Il suo sogno era di liberarsi dalle catene, dopo quindici minuti, immerso nelle profondità delle acque. In questo modo avrebbe abbattuto il record precedente dimostrando di essere l’unico al mondo con questa abilità, il migliore. Per Andi era difficile da capire questo sogno. Per lui sarebbe stato sufficiente che tirasse fuori i piccioni dal grande fazzoletto osservando così lo stupore sui volti della gente. “Il desiderio ti verrà in futuro” – gli rispose l’illusionista lasciando cadere il discorso per quel giorno.

“Continua con le foto della memoria. Hai mostrato che hai talento, ma devi lavorarci ancora molto.”
Andi era di nuovo alla ricerca di ricordi tra i suoi pensieri. Si ricordò che un giorno si era fatto male al ginocchio e l’avevano portato in ospedale, ma questa non era una fotografia di memoria poiché non aveva lasciato tracce, c’era solo la cicatrice sul suo ginocchio. Si ricordò del padre che in generale era una persona scettica… pensò a qualche momento che lo potesse personificare nel suo atteggiamento rigido e nella sua mancanza di pazienza, nel suo essere qualche volta anche aspro. Gli veniva in mente quando entrava nel vicolo del palazzo in moto con una velocità bizzarra e scendendo da essa buttava uno sguardo da redentore agli adolescenti lì presenti come se volesse dire: “A me è permesso, sono adulto ma non a voi che non lo potete fare nemmeno quando sarete grandi.”

Un anno prima dovette scegliere dove voleva proseguire gli studi secondari, al liceo oppure in una scuola professionale. Lo sapevano tutti che non gli piaceva studiare molto mentre il padre cercava di convincerlo a proseguire gli stessi studi che aveva conseguito anche lui e nella stessa scuola professionale.
“Avrai un lavoro sicuro e possiamo perfino lavorare insieme”, - gli diceva. Ma ad Andi non andava l’idea di diventare meccanico. Per mesi e mesi il padre gli ricordò che doveva scegliere e che prima o poi doveva decidere, fino a quando un giorno fu molto esplicito. Andi non l’approvò e il padre si voltò verso la madre dicendole che non aveva pazienza di occuparsi del figlio, che stava rischiando di diventare un parassita, che era riluttante a fare qualsiasi cosa, tanto a studiare che ad imparare. Di quel pomeriggio Andi ricordava il modo in cui il padre abbandonò il tavolo dove erano seduti e nello stesso tempo abbandonò anche egli stesso. Più che le parole, lo toccò di più la sua rabbia. Per un attimo si sentì fuori dall’amore paterno e ci rimase malissimo. “Ogni volta che farò qualcosa che a lui non piacerà non mi vorrà bene?!”- pensò chiudendosi in sé stesso per giorni interi.

Per tutto quel tempo era stato accompagnato dallo sguardo attentissimo di sua madre. Sentiva come lei lo accarezzava da lontano. “Anche questa è una bella fotografia di memoria”- gli aveva detto il maestro mentre continuava a raccontargli i suoi progetti di abbattere il record per liberarsi dalla gabbia di ferro nella profondità delle acque. “Quando ne esci fuori dopo venti minuti il mondo intero ti adora. - gli disse - Sei come risorto di nuovo.“ Andi continuava a fare fatica nel comprendere questo suo desiderio. A lui bastavano lo stupore dei bambini della prima fila che toccavano le rose spuntate fuori dal fazzoletto per essere sicuri che fossero vere.
Erano rimasti pochi giorni dalla fine del camping e lui doveva ancora trovare altre fotografie, per assicurarsi di conoscere meglio sé stesso per questa professione. La madre, qualcosa che riguardasse la madre. Dal primo giorno aveva cercato di portare alla memoria qualcosa che la riguardasse ma sembrava impossibile. Le sembrava sempre così piccola e con l’andatura lenta, adesso che l’osservava da ‘fuori’.  Sempre amorevole e predisposta nei confronti di tutti, ma non riusciva a trovare nessuna fotografia in cui lei stessa fosse presente?! Nessuna immagine che rendesse immortale un ricordo e questo lo rendeva perplesso.
Negli ultimi tre giorni, si era occupato solamente delle foto che riguardavano la madre. Sforzandosi magari ne riusciva a trovare qualcuna insieme con la sorella e il padre, ma ne voleva una solo con la madre. Qualcosa che avesse lasciato la sua ombra anche nei giorni successivi? Che peccato che non riusciva a trovare niente. Come era possibile che non ne esistesse nessuna? Si ricordava quando lei dopo pranzo si spingeva vicino al suo letto, piccola e conversa mentre gli accarezzava la testa, lo copriva lentamente con uno sguardo vagante e libero sul suo viso, per concluderlo con un bacio. Le sembrava così sola sua madre lì, conversa su di lui come un cigno bianco e delicato.

Terminarono anche le vacanze. Non vedeva l’ora di tornare a casa. Gli mancavano tutti, ma soprattutto voleva avere sua madre vicino, per guardarla con questo suo nuovo occhio e per capire qualcosa di più di lei. Non gli interessavano le fotografie da presentare al maestro, ma le voleva trovare a prescindere. Il primo giorno stette tutto il tempo vicino a lei per osservare quello che a lui mancava nelle sue immagini di memoria, sperando di trovarle. Ma la mamma era sempre quella di prima, lo accarezzava con lo sguardo e con i baci. Giunse la sera ed andò a dormire prima del solito. Ma mentre era a letto, sentiva che doveva aspettare ancora un po’, lei sarebbe arrivata di lì a poco dicendogli “Buona Notte”. Così lei giunse come nei suoi ricordi accarezzandogli i capelli e la testa, e lui le rispose “Notte!” ma non voleva che se ne andasse. Voleva raccontarle del campeggio, della sua nuova passione – dei giochi di prestigio,  delle fotografie della memoria e della preoccupazione che non ne aveva una con lei, con sua madre, ma era cosi difficile raccontarle di tutto ciò. Con lo sguardo la pregava di rimanere ancora per un po’ e mentre lei si alzava lentamente lui le domandò di soppiatto, protetto dalla penombra della stanza: “Mamma sei felice?”. Lei non rispose ma neanche Andi voleva una risposta. Passarono molti instanti in un silenzio pesante e lei lentamente, molto lentamente si piegò, lo abbraccio e iniziò a piangere appoggiata sul petto del figlio. Rimasero lì  abbracciati per molto tempo, tanto che non si resero conto di come il tempo si fosse sgretolato fino a diventare polvere bianca. Lei aveva sentito che qualcosa dentro le si era mossa, qualcuno - suo figlio - stava cercando di capirla e di consolarla. Si sentiva rinata. Pianse anche Andi, versò paurosamente le prime due lacrime della sua maturità che sentì in quell’instante come la fotografia più vivida della sua vita.


mercoledì 26 ottobre 2011

Come ‘rinacque’ Albert Einstein in Albania.


Come ‘rinacque’ Albert Einstein in Albania.
di  Fahri Xharra
(tradotto in italiano da Brunilda Ternova)

“In realtà, il freddo non esiste!”-  diceva Albert Einstein quando era studente. Secondo gli studi e le  ultime scoperte nel campo della fisica, il freddo è solo la mancanza di calore. Questo lo si può dimostrare avvicinando un oggetto qualsiasi alla fonte di energia osservando il suo riscaldamento. In altre parole, senza riscaldamento gli oggetti sono inerti e non reagiscono, e questo significa che “il freddo” non esiste. E le tenebre? L’oscurità è la completa assenza di luce. Possiamo studiare la luce e la luminosità, ma mai l’oscurità. Con l’oscurità possiamo e siamo in grado di spiegare la mancanza di luce“.
E’ risaputo che lo scienziato Albert Einstein è nato a Ulm, Württemberg  in Germania, il 14 marzo 1879. Nel 1909 diventerà professore straordinario a Zurigo e nel 1911 professore a Praga. Nel 1914 lo troviamo come professore presso l’Università di Berlino e nel 1914 divenne cittadino tedesco vivendo a Berlino fino al 1933 – che lasciò a causa delle sue origini ebraiche. Ma non è altrettanto risaputo che l’Albania divenne la seconda patria di Albert Einstein.

Come è successo che Einstein ‘rinacque’ un’altra volta in Albania
Grazie all’impegno della diaspora albanese in Belgio, il 15 settembre 2011 nel Museo Ebraico di Bruxelles si è tenuta la conferenza “L’Albania e la salvezza degli Ebrei”. L’avvenimento si è svolto in forma di riconoscimento pubblico al Re Zog e alla sua storica assistenza nel trarre in salvo in Albania, durante gli anni 1929-1944, gli ebrei dall’olocausto. Lo storico americano Bernd Fisher dell’Indiana University, afferma che le iniziative e la persistenza di Re Zog permisero il salvataggio di oltre 2640 ebrei in Albania, - tra i quali risulta anche Albert Einstein – equipaggiati con visti di soggiorno, di transito e la cittadinanza albanese. E’ noto che l’amministrazione dello Stato albanese all’epoca - che si occupava dei rilasci di passaporti - per motivi di sicurezza cambiava i nomi degli ebrei trasformandoli in nomi albanesi. Così era normale che Moshe si trasformasse in Musa, Zaccaria in Zafir e così via dicendo. Tali prove sono documentate presso l’Archivio di Stato Albanese.

Chi salvò Albert Einstein
L’uomo nasce una volta, ma rinasce quando qualcuno gli salva la vita dalla morte certa.
In una delle vie caratteristiche della città di Pogradec, nel quartiere Burima, sul lato destro della chiesa più antica della città, è situata una villa a due piani  immersa nel bel mezzo di un parco e di un giardino con mele e uva. Si tratta della casa della famiglia Basho, attualmente proprietà del Professore Associato dott. Jovan Basho, capo del servizio al Centro Ospedaliero Universitario “Madre Teresa” di Tirana.
Durante un viaggio a Vienna – tra il 26 gennaio e il 20 marzo del 1931 - il dott. Jani Basho incontrò i suoi vecchi professori di università e diversi amici, tra i quali anche il celebre attore albanese Aleksander Moisi (ita: Alessandro Moisi). Nel corso di questi incontri e riunioni tra amici intimi e di vecchia data, quest’ultimi lo misero al corrente riguardo la situazione di Einstein. Il suo amico Albert Einsteinamico della famiglia Basho - era in pericolo essendo ebreo e doveva lasciare il Paese prima possibile, ma visto che il suo passaporto tedesco era già stato sequestrato per lui era impossibile muoversi. Essendo che dott. Basho era il medico personale di Re Zog, poteva fare da tramite chiedendo a quest’ultimo di mettere a disposizione di Einstein un passaporto albanese.
Albert Einstein raggiunse l’Albania nell’aprile del 1931, nel momento in cui veniva perseguitato in Germania dai nazisti a causa delle sue origini ebraiche, e venne fornito con un passaporto albanese grazie al quale si avvierà in viaggio verso gli Stati Uniti America. Nel vecchio registro del 1931, con il nr. AK0 31, pagina 53 / 1, si trova questa nota: “Oggi, il 10 aprile 1931, si è presentato nella sede del Comune di Pogradec dott. Jani Basho, nato nel 1892 nel quartiere Burima di Pogradec, figlio di Kosma e Anastasia, professione medico personale presso Sua Altezza Reale Zog I, il quale ci garantisce che Albert Einstein ha i requisiti per diventare cittadino della città di Pogradec. Il comune rilascia ad Albert Einstein il certificato e l’attestato di residenza presso il quartiere Burima di Pogradec. Impiegato del comune - Reis Asllani, Garante - Dott. Jani Basho.
Secondo i dati ufficiali il passaporto tedesco di Einstein era stato sequestrato dalla Gestapo ma lui andò in America ben due voltenel mese di dicembre del 1931 e nel 1932 – grazie all’unico passaporto che disponeva in quel momento, quello albanese.
Nel 1933 dovette fuggire per andare definitivamente negli Stati Uniti a causa della crescita del nazismo in Germania. Un mese dopo, nel maggio 1933, venne informato che il suo nome risultava nella lista di morte e che veniva accordato un premio di 5.000 dollari per la sua testa. Grazie alla Besa (N.d.T. la parola data, la promessa) degli albanesi, molti ebrei tra i quali anche Einstein sono riusciti a sfuggire all’olocausto.

Le testimonianze
Secondo le testimonianze del dott. Basho, Einstein era giunto in Albania agli inizi degli anni ‘30 rimanendovi tre giorni, il tempo necessario per ricevere il passaporto albanese. Il dott. Basho era intervenuto presso il Re Zog in merito a questa questione e aveva accompagnato Einstein durante la sua permanenza in Albania - periodo in cui l’uomo di scienza era stato ricevuto anche dal Re Zog.
Come testimonianza di questi avvenimenti ci sono anche i vari scambi di corrispondenza tra il dott. Basho ed Einstein, dove quest’ultimo ringraziava per la bontà e l’aiuto ricevuto, raccontando nelle lettere anche le varie difficoltà della sua vita. Purtroppo le lettere inviate da Einstein sono state bruciate verso la fine della seconda guerra mondiale nel febbraio del 1945 - insieme con molti libri e documenti - durante la nazionalizzazione della casa e della clinica del dott. Basho nel centro di Tirana. Quelle inviate da dott. Basho e la documentazione realizzata in Albania per Einstein si trovano negli archivi di Einstein a Gerusalemme (Einstein Archives).

Un’altra testimonianza ci arriva dalla Regina Madre Geraldina, la quale prima del suo rientro in Albania nel giugno 2002, concesse un’intervista ad un giornalista britannico che fu pubblicata nella rivista ingleseStile” con sottotitolo “Il ritorno della Regina”. In questa occasione la Regina Madre dichiarò al giornalista che Re Zog aveva incontrato Einstein quando quest’ultimo era giunto in Albania per ricevere un passaporto albanese.

Un’ulteriore testimonianza è quella dell’ex impiegato della Banca Nazionale Albanese al tempo di Re Zog, Ajet Bega, che ha dichiarato al Prof. Dott. Skender Koja, ex Direttore dell’Istituto di Fisica Nucleare durante gli anni 1971 – 1987,  di aver incontrato Einstein a Tirana. Il sig. Ajet Bega aveva riportato a Prof. Dott Skender Koja la seguente testimonianza: “Ho incontrato Einstein a Tirana nei primi anni ‘30, quando si recò in Banca chiedendo di effettuare delle operazioni bancarie con una banca tedesca – operazioni che la nostra banca non aveva mai effettuato a causa della mancanza dei contatti con le banche tedesche in quel momento. Mi sono recato nell’ufficio del direttore della banca che era italiano spiegandoli la situazione. Ho appreso in quell’occasione dal direttore che Einstein era uno tra i scienziati più grandi del mondo...”.  Secondo un documento ufficiale, risulta che Albert Einstein si era recato presso la Banca d’Albania di Tirana, il 9 Aprile 1931.

Einstein conto il governo Jugoslavo nel 1931


Einstein aveva alzato la voce contro il governo della ex-Jugoslavia, quando in un modo barbaro fu ucciso il noto albanologo, professor Milan Suflay a Zagabria nel 18 febbraio 1931. Insieme con lo scrittore Heinrich Mann, fratello di Thomas Mann, inviarono una lettera congiunta alla Lega Internazionale dei Diritti Umani a Parigi, per protestare “contro l’orribile brutalità del governo jugoslavo ...”. Nella lettera inviata da Einstein nel 6 maggio 1931, che è stata pubblicata anche nel giornale americano New York Times , lo scienziato accusava il regime serbo per il terrore esercitato contro il popolo croato, quello bosniaco e quello albanese. Il professor Suflay veniva citato nella lettera per il suo grande lavoro di storico e per i numerosi libri scientifici pubblicati.
Gli albanesi, senza dubbio, devono essere giustamente orgogliosi di aver salvato migliaia di ebrei e tra questi anche il più importante scienziato del XX secolo, Albert Einstein.