Il Piccolo-Pensiero
dell’Uomo Produttivo
(racconto)
(racconto)
Gli attori sono dentro ognuno di
noi. Uno si chiama “Ideale” (d’ora in poi “I”), ed è la parte idealista e
spirituale che elabora gli impulsi emotivi che risuonano al nostro interno
sotto determinati stimoli sociali. L’altro si chiama Cattivo Senso Pratico –
spesso Comune Senso Pratico – (d’ora in poi “CSP”), ed è la parte opportunista che
pensa ad acquisire le posizioni più facilmente difendibili nei vari ambiti dell’agire
sociale.
Discutono sempre – sempre con
rispetto, quasi a distanza – dentro ciascuno di noi su temi quali famiglia,
studi e formazione, informazione, lavoro, diritti civili, società ed economia,
politica, senso delle istituzioni. In realtà, sarebbe bene che I e CSP si
guardassero bene in faccia e che arrivassero ad ammettere ciascuno i propri
limiti. Il premio è qui e là contemporaneamente: quella soluzione per la
propria vita che per ora sfugge (“visti i tempi…”, direbbe I).
I: Ecco. Torno a casa stanco e
putrefatto. Un’altra giornata di lavoro. Ho fatto questo, ho detto quello.
Sinceramente ho in odio molti dei miei colleghi, e li ritengo ignoranti. Sarò
anche una come tutti, ma è una questione di mesi, forse anni… Insomma, merito
di più, non sono poi una qualunque e ignorante e che diamine… Tutti viscidi
dietro i loro superiori. E che cosa sprigionano mai i loro neuroni tutto il
giorno, tutti i giorni?… Modi diversi di fregare l’altro.
CSP: Statti buono. Hai uno
stipendio? Hai i contributi pagati? Puoi addirittura scherzare con i capi. Di
che ti lamenti. E poi essere un impiegato non è poi così male di questi tempi.
Se guardi a come se la passano molti altri. Tu ti puoi permettere molti
prodotti in comode rate, persino un monolocale. E non prendertela se sono “solo”
60 mq. Pensa a questo: “E gli altri? Quelli che stanno peggio di me?”.
I: Faccio un lavoro molto al di
sotto delle mie possibilità. Sono molto più creativo, ma il sistema non è fatto
perché io mi inserisca nelle dinamiche di una azienda in termini creativi. Per
questo nutro dai tempi della laurea un sottile senso di alienazione, dapprima
strisciante e poi sempre più parte della mia spina dorsale, sempre più un
rumore di fondo delle mie giornate.
CSP: Forse sei tu che non reggi
bene il gioco. Forse non vuoi integrarti e preferisci l’autocommiserazione.
Preferisci dare 70 e poi lamentarti se le persone non riconoscono in te una
persona che dà 100. Preferisci essere vittima, piuttosto che esporti veramente.
Il sistema c’è e ci sei dentro. Tu sei solo meno consapevole e degli altri e
preferisci un alibi alla dura fatica della competizione. Tu non desideri
emergere come risorsa preziosa all’azienda, ti lamenti come se fosse colpa
degli altri.
I: Sto cercando di reggere. Di
fare di necessità virtù. Di convincermi che in fondo le persone che mi
circondano ogni giorno hanno aspetti interiori interessanti che varrebbe la
pena di indagare. Insomma, ci ho provato. Ma l’essere umano non è nato per
strisciare sotto altri esseri umani. Cosa mi interessa di più? Il mio compagno,
i miei figli, i rapporti con le persone a cui voglio bene. Una vita sana e
regolare, una vita dove non ho bisogno di stordirmi per non pensare a quanto mi
hanno fatto lavorare oggi. Mi hanno fatto fare cose inutili. Sono un essere che
trascura un sano rapporto con sé, con gli altri, con la natura, con lo sport,
per fare cose inutili. Intendo dire “socialmente” inutili, al di là del fatto
che possano piacere o meno. Come si può definire il “marketing” dei beni di
consumo un’attività socialmente utile?
Per non parlare dei retroscena in merito alla “produzione”. Viene
massicciamente sfruttato il lavoro in aree “delicate” dal punto di vista dei
diritti dei minori e dei lavoratori (quali Vietnam, Cambogia, Cina). E qui, in
questa società, nessuno si è mai chiesto a voce alta nulla di nulla. Producono,
dicono. Che cosa dire della sostenibilità ecologica delle loro scelte
industriali o di quelle dei loro partners? Qui non si dice nulla di nulla,
nessuno sa. Nessuno vuole dire. Di sicuro i prodotti semilavorati devono
percorrere mezzo globo prima di terminare il loro ciclo produttivo ed entrare
negli scaffali dell’altra metà del globo. Idem, la stessa cosa si può dire per
il traffico degli esseri umani: “bestiame” di compra-vendita per arricchire le
transnazionali e le pseudo ONG!
CSP: Tu scherzi e fai anche un
po’ il furbo. Buona questa retorica. Conosco persone che hanno lavorato
seriamente in contesti come il tuo. Hanno praticato con costanza una attività
motoria e coltivato altri interessi. Ad esempio: la lettura. Tu con la scusa
che sei stanca ed alienata hai persino smesso di leggere i libri, interi
scaffali in casa tua di romanzi che sai bene quanto ti hanno segnato. E ora,
così d’un tratto, hai smesso di andare in libreria. Hai smesso di frequentare
sale da concerto. Hai smesso di vivere la vita intensa di quando eri giovane e studentessa.
Che ti succede? Non starai invecchiando? Cosa dici al tuo prossimo quando lo
trascuri: colpa dell’alienazione dell’uomo moderno?
I: Occorre fare qualcosa. So che
occorre reagire. So che non potrei ottenere alcun cambiamento se continuassi
con questa routine. Occorre che esca un po’ fuori dal mio Io. Che mi guardi
dall’alto e mi riconosca per quello che sono ora.
CSP: Seeh. Certo. Esci un po’ da
te stessa, ma poi rientra mi raccomando. Perché fuori fa freddo. E poi senza
busta-paga non si va proprio da nessuna parte. La vedi quella fiat che sta qui
sotto, quella “bella” punto di una volta? Ce l’hai ancora per gentile
concessione della tua azienda. Sai no, il bollo auto, l’rc auto, le revisioni?
I: È necessario che come me la
pensino un mucchio di altre persone. Ho un certo slancio verso il prossimo. Mi
piacerebbe… Anzi forse è l’unica strada…
CSP: Con i “mi piacerebbe” e i
“forse magari” non si va da nessuna parte. Ma non l’hai ancora capito? Sono
cose che ti insegnano da piccoli. Ci sono altre priorità nella tua vita, e
rassegnati serenamente al fatto che non tutto quello che fai, che dici, che
vuoi, può derivare unicamente da te stesso. Nel tuo stato attuale. Devi prima
crescere molto. E poi, non vedi, le persone intorno a te pensano di meno e
producono di più A quest’ora avresti già maturato un’altra mezz’ora buona di
straordinario…!
I: Sì. Occorre essere una rete. Ora
sai che faccio? Mollo questo lavoro. Lo mollo sì. Devo agire, ho pensato
abbastanza. E poi, posso farcela. Sono anni che fatico dietro i computer e voglio
seguire certe mie idee che hanno certi risvolti pratici. Mi potrò mantenere. Ecco, sono già più viva.
CSP: Non sottovalutare quello a
cui andrai incontro.
I: Passata questa mia prima fase,
che so di non potere condividere con nessuno, mi rivolgerò a loro. A questi
giovani confusi. Senza più contatto con la propria vera natura. Senza più dubbi
e senza più idee. Senza più ideali, forse. E dirò loro: “licenziatevi, facciamo
tutti quanti qualcosa insieme”.
CSP: Seeh. Certo. E loro cosa ti
aspetti che ti dicano. Tu come ti mantieni?
Loro, come ti aspetti che si dovrebbero mantenere?
I: Se scomponiamo la questione in
tanti piccoli passi. Insomma, io ho delle idee fattibili. Poi, certo, se anche
qualcun altro si unisse a questo sentire e ne facesse un progetto e un processo
più organico… Titolo: nuova imprenditoria giovanile. Che significa? Primo:
trovare i finanziatori. Possono essere i fondi comunitari, le iniziative
regionali, possono essere le iniziative private. Il primo passo è quello di
fondare una fabbrica che costruisce dei progetti approvabili e finanziabili da
almeno una di queste due forze. A questo lavorerebbero commercialisti e
avvocati, oltre ad insiders della pubblica amministrazione, che sposano
volontaristicamente le ragioni di questa iniziativa. Una rete di giovani a livello
nazionale, organizzata in sotto-unità territoriali fino al livello comunale. Con
una discreta massa critica sarebbe possibile unire insieme le persone che
sposano uno stesso progetto. Dotarle degli strumenti necessari al fund raising.
Metterne in pista le idee in modo che possano creare impresa. Con una discreta massa
critica, si farebbero vivi anche i capitalisti di ventura. Quelli che decenni
fa negli usa finanziavano giovani promesse dell’informatica e delle tecnologie
applicate. Da quell’onda crebbe la silicon valley e si confermò reale il cosiddetto
“sogno americano”. Con una discreta massa critica, il processo raggiungerebbe
presto una visibilità e una capacità di attrarre tali da divenire il nuovo
efficiente modello imprenditoriale. Gli effetti benefici si vedrebbero anche
nella ricerca, a cui questa nuova imprenditoria attingerebbe slegando parte di
questo potenziale di progresso dalle attuali mani delle corporations. Le idee
potrebbero essere incentivate a prescindere dall’immediato ritorno economico,
risponderebbero ai reali bisogni tecnici e tecnologici della società e molte
sarebbero focalizzate sulle ecotecniche e sulle ecotecnologie. Auspicabile
davvero sarebbe anche un ritorno alla produzione agraria in un’ottica antica e consorziale,
di rispetto dei tempi e delle risorse, di trasparenza assoluta e di filiera più
che corta, direi “diretta”. In questa società ideale c’è posto per tutti,
immigrati certamente compresi. Il primo passo, però, lo dobbiamo fare tutti
insieme.
CSP: Ah, dunque! Ricapitolando tu
vorresti fondare un nuovo sistema economico, così. Dal basso. Certo, certo. E
puoi contare solo sul tuo tempo libero. E poi, certo, fai affidamento sulla
rete, la rete delle reti: internet. Perché, giustamente, sai che la rete è
l’organismo cognitivo più adattabile e più efficiente, in tutti i campi. Ma
pensare di applicare questo modello ovunque è un bel sogno. E quanto tempo
varrebbe la pena di spenderci sopra? Ci hai pensato? Quante idee, molto meno
bizzarre della tua, vengono abbandonate per presa definitiva di coscienza sulla
loro reale impossibilità?
I: Posso contare anche su un bel
mucchio di movimenti di giovani come me, movimenti di cui non mi va di fare il
nome qui, che iniziano ad essere presenti in contesti politici territoriali in
maniera molto attiva. Occorre farsi conoscere da tutte queste forze che
condividono almeno il 50% dei nostri ideali sociali.
CSP: Per ora in quanti siete a
pensarla così?
I: Per ora… solo io. Ma è chiaro,
le cose hanno un inizio, oltre che uno svolgimento e una fine!
CSP: Hai pensato da dove partire?
Del resto pensare, solo quello, è il tuo forte, no?
I: Per ora so che occorre uscire
da questo guscio informatico. Occorre fondare dei gruppi d’incontro (non so
chiamarli diversamente, con essi intendo banalmente dei punti fisici in cui
riunirsi). Occorre ancora vagliare tutte le possibilità organicamente,
legandole allo specifico territorio (comunale, provinciale, regionale,
nazionale…). Occorre trovare soci specialisti in ambito commerciale e legale, assimilare
gli infiltrati, rubare i burocrati insomma dalle mani del sistema per farne collaboratori
disinteressati. Con essi occorre fondare piani d’azione sostenibili alla luce
di quello che si può creare il prima possibile e nei modi più semplici
possibili. È chiaro che all’inizio lo sforzo sarà maggiore e i finanziamenti
saranno davvero troppo difficili e dosati…
CSP: Beh, ora che fai, ti limiti
in un bieco realismo? Guarda che il realista qui sono io?
I: Infatti, Comune Senso Pratico!
Di te ne ho abbastanza!