di Brunilda Ternova
Le tendenze istituzionali in merito alle divisioni su base etnica, e la politica segregazionista dell’istruzione e della educazione in lingua albanese, hanno segnato l’anno scolastico 2009/2010 nella Repubblica di Macedonia.
L’istruzione in lingua albanese nella FYROM (Macedonia) sta andando verso il caos. All’inizio del secondo semestre scolastico agli studenti albanesi mancano i spazi e la possibilità di istruirsi adeguatamente nella loro lingua, mentre le autorità slavo-macedone si oppongono alle richieste di apertura dei corsi di lingua albanese. Le divisioni create nelle scuole superiori della città di Struga e le inadeguate condizioni di apprendimento nelle scuole albanesi in Kumanov; il divieto di apertura di ulteriori classi paralleli alla scuola superiore di medicina a Skopje, così come la mancanza di spazio per gli studenti albanesi nelle scuole secondarie e primarie, sono problemi che stanno creando gravi ostacoli per l'educazione degli studenti albanesi.
A Skopje, una parte degli studenti albanesi di medicina viene discriminata e segregata non permettendo loro di seguire le lezioni presso la scuola di medicina “Pance Karagjozov”, e spostandoli presso il liceo “Zef Lush Marku” che ovviamente non possiede le strutture adeguate per formare il profilo medico. Questo fa si che in futuro gli studenti albanesi di medicina non saranno in grado di competere alla pari con i loro colleghi che hanno usufruito di strutture e condizioni migliori.
A Struga, gli studenti albanesi vengono discriminati e segregati su un piano pubblico da parte del governo macedone, il quale stabilisce che gli studenti albanesi devono essere istruiti nelle scuole situate in ambienti rurali, mentre gli alunni macedoni di etnia slava educati in scuole situate in ambienti urbani.
A Kumanov, gli studenti albanesi vengono discriminati e segregati: sono tenuti a frequentare le lezioni in ambienti improvvisati (che non sono affatto aule scolastiche) e in condizioni tali da mettere a rischio la loro salute.
Di fronte a questa situazione problematica, le associazioni civiche albanesi hanno chiesto pubblicamente le dimissioni del Ministro dell'Istruzione, Nikola Todorov. "Chiediamo le dimissioni immediate del ministro Todorov, a causa della sua dichiarazione discriminatoria secondo il quale l'insegnamento della terza lingua incominciando dalla prima classe primaria sarebbe un peso per i bambini macedoni di etnia slava, ma non per quei bambini albanesi della stessa età. Inoltre anche per il contributo che ha dato all’aumento delle tensioni etniche sia ora che durante la fase di registrazione degli studenti albanesi nelle scuole secondarie ", - hanno detto i rappresentanti delle associazioni albanesi.
I politici albanesi di FYROM (Macedonia) non hanno ancora reagito riguardo a questa ultima mossa delle associazioni albanesi. Mentre l’esperto albanese sulle questioni educative e didattiche, Xheladin Murad, sostiene che si dovrebbe impostare un’agenda per risolvere i problemi ormai già aperti e che stano creando delle pericolose conseguenze per gli studenti.
“E’ un dato di fatto che riguardo l’istruzione in lingua albanese mancano molte cose. Il Ministero della Pubblica Istruzione non ha la sensibilità per prendere delle solide decisioni relative a questi problemi accumulati e risolverli. Il problema più recente causato dal Ministero della Pubblica Istruzione è la sua imposizione agli studenti albanesi delle scuole albanesi, obbligati ad imparare la lingua slava macedone dal primo grado delle elementari. Questo non fa altro che aggravare i problemi in materia di istruzione", - ha sottolineato professor Murad.
Secondo lui, in questo caso, il governo dovrebbe cercare la piena responsabilità di questa decisione da parte del Ministro della Pubblica Istruzione.
Evidenti problemi in materia di istruzione sono stati registrati anche dalla Lega degli Insegnanti Albanesi (L.A.Sh) a Kumanov e Likov, che si è appellata richiedendo più volte aiuto per l’istruzione albanese a Kumanov.
“Esiste il bisogno urgente di un intervento istituzionale per evitare i problemi e il caos che sta regnando nell’istruzione albanese a Kumanov. Da tanti anni abbiamo problemi con la mancanza dei locali per gli studenti albanesi delle scuole secondarie, abbiamo problemi nell’assegnazione degli spazi per gli studenti delle scuole elementari, mancano le condizioni dell'esercizio educativo e sono carenti molti altri aspetti di cui soffrono i nostri bambini”, - ha sottolineato il presidente della LASH, signor Etem Xheladini.
Le associazioni albanesi richiedono che il ministro e il governo macedone rispettino l’articolo 45 comma 5 della legge in materia di istruzione primaria, secondo il quale si richiede che la lingua slava macedone venga insegnata a partire dalla quarta elementare.
Scandalo con i fondi UE sull’istruzione.
Mentre gli studenti albanesi sono in balia di questa voluta disorganizzazione, i funzionari dell’istruzione del governo macedone vengono travolti da continui scandali, uno dei quali riguarda i fondi dell’Unione Europea.
I funzionari di Bruxelles stano indagando riguardo la frode dei fondi UE di 260 migliaia di euro, che erano stati sanciti per la FYROM e che erano destinati all'istruzione e alla cultura di questa repubblica. Nell’obiettivo dell'indagine c’è l'Agenzia Governativa per i Programmi Educativi e di Mobilità, mentre i sospetti sono caduti sul direttore di questa agenzia - Nelovski Bosko - che ha ritirato i fondi per conto di una associazione non governativa della quale è il fondatore e che viene gestita dai suoi famigliari più stretti.
E’ sospettata di abuso anche la seconda organizzazione "Youth Creative Center" che ha ricevuto i fondi, il cui fondatore è un amico intimo del direttore Nelovski. Quasi tutti i fondi dei 68 progetti sono stati usati ed abusati da organizzazioni affiliate con il direttore dell’Agenzia Governativa per i Programmi Educativi e di Mobilità. Bosko Nelovski è anche membro del comitato esecutivo delle forze giovanili VMRO-DPMNE. Dopo l’esplosione di questo scandalo Bruxelles ha congelato i fondi per la FYROM, mentre l'ufficio UE sta conducendo ulteriori verifiche e i risultati saranno resi pubblici per fare chiarezza su tutti gli abusi effettuati.
http://www.albanianews.it/albania/280110-f-y-r-o-m-reagiscono-gli-albanesi-skopje-ci-impedisce-listruzione
giovedì 28 gennaio 2010
lunedì 25 gennaio 2010
A Bologna, l’inaugurazione della mostra ’Besa un codice d’onore’.
di Brunilda Ternova
Si è inaugurata il 24 gennaio 2010 alle ore 11.00, negli ambienti del Museo Ebraico di Bologna la mostra del fotografo statunitense Norman H. Gershman,"Besa un codice d’onore. Gli Albanesi musulmani che salvarono gli ebrei dalla Shoah".
La mostra contiene una serie di fotografie in bianco e nero, con i ritratti dei discendenti dei 63 albanesi, che hanno aiutato gli ebrei durante la seconda guerra mondiale, e che sono riconosciuti da Yad Vashem come i Giusti tra le Nazioni. Buona la partecipazione della cittadinanza albanese e italiana presenti alla inaugurazione, degli amanti dell’arte e della fotografia e di molti curiosi interessati all’argomento.
L’esposizione, ripercorrendo la storia ebraica a cavallo della seconda guerra mondiale con uno sguardo particolare al ruolo svolto dagli albanesi di religione musulmana, tramite le sue preziose immagini rappresenta l’occasione di mostrare al pubblico degli appassionati dell’arte della fotografia e del tema storico l’esplorazione di un mondo ricco di contrasti e di originalità.
Difatti le immagini hanno una sorta di originalità albanese; le mani sul petto sopra il cuore è un gesto tipicamente albanese e dà ad intendere il segno significativo di Besa. Si osserva un legame forte tra l’immagine e il testo narrante di ognuna delle storie come nel caso delle famiglie di Hasan Kalaja, di Hysen Marika, di Lilo Xhimitiku e Taqi Simsia, di Ali e Ragip Kraja, di Mimi Dema, ecc.
I scatti fotografici penetrano dentro le persone mettendo in evidenza il loro spirito attraverso il contatto visivo ed ricercando l’animo umano attraverso il paesaggio plastico dell’espressività corporea, restituita dal bianco e nero. Le testimonianze si moltiplicano attraverso il gesto indicale oppure attraverso l’ostensione di tracce rilevanti di quel passato. Ogni immagine ha un proprio spirito personale e una propria storia umana che per mezzo della scelta di quei due singoli colori mette in evidenza la risoluzione della contraddizione storica che ha contraddistinto il mondo ebraico e quello islamico.
L’arte di Gershman è la sua capacità di portare l’argomento molto vicino al pubblico, offrendo a quest’ultimo un viaggio emozionante nella memoria del passato.
Hanno salutato l’inaugurazione della mostra il Presidente del Museo Ebraico di Bologna - Emilio Campos, il Presidente della Comunita Ebraica di Bologna - Guido Ottolenghi, il Vice Ministro alla Cultura della Repubblica dell’Albania - Suzana Turku e l’Ambasciatore della Repubblica Albanese in Itaia - Llesh Kola.
Alla cerimonia di inaugurazione sono inoltre intervenuti Claudio Merighi – Vice Sindaco Comune di Bologna, Beatrice Draghetti - Presidente Provincia di Bologna, Maria Giuseppina Muzzarelli - Vicepresidente Regione Emilia Romagna, Paolo Zanca- Vicepresidente Assemblea Legislativa Regione Emilia Romagna, Renzo Gattegna - Presidente Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, Abd Al Adhim Yusuf Pisano -Responsabile Co.Re.Is. Emilia Romagna, Michele Sarfatti – Direttore della Fondazione “Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea” di Milano.
Pubblichiamo in parte l’intervento dell’Ambasciatore dell’Albania.
Nel suo intervento l’ambasciatore Kola dopo aver ringraziato gli organizzatori dell’attività e la comunità ebraica in Italia per il loro sostegno, ha sottolineato l’importanza della promozione dei valori nazionali albanesi come indice di una missione nobile, di un fattore di pace e amicizia tra le nazioni. Proseguendo nel suo discorso ha sottolineato il ruolo storico dell’Albania che fin dai tempi di Scanderbeg ha sempre e comunque portato in occidente i propri distintivi e radicati valori umani.
“La nostra è una nazione antica ed autoctona con qualità comprovate, conosciute e stimate. Noi non siamo mai stati invasori, siamo sempre stati invasi dagli altri. Abbiamo da sempre offerto l’amicizia e la tolleranza invece della discriminazione; abbiamo lavorato per la cooperazione e scelto relazioni senza pregiudizi.
Siamo un paese dove convivono in armonia e in tolleranza secolare esemplare tre religioni differenti. E’ una realtà ed un modello da cui possono prendere esempio altre nazioni, vicine o lontane.
L’Albania è patria di simboli internazionalmente conosciuti, come il nostro eroe nazionale, Scanderbeg, conosciuto già cinque secoli fa, come difensore della civiltà occidentale, e nei nostri tempi la grande missionaria della carità, Madre Teresa.”
L’ambasciatore costatando che il principio guida interno alla tradizione albanese dell’ospitalità è rivolta al prossimo a prescindere dal suo credo religioso ed etnico, ha detto:
“Durante la seconda guerra mondiale l’Albania e gli albanesi hanno accolto e salvato tutti gli ebrei, come in pochi paesi nel mondo e nella loro fase storica piu difficile. Li abbiamo accolti non come stranieri, ma come amici, perché da noi esiste solo il concetto del’”ospite”. Li abbiamo ricevuti e dato alloggio nelle nostre case, insieme alle nostre famiglie, perché per gli albanesi la casa è prima di tutto di dio, poi degli amici e della famiglia. La porta di ogni albanese è sempre aperta per i amici e chiunque bussa riceve il benvenuto.
Noi abbiamo difeso gli ebrei come popolo e anche di fronte alle istituzioni.[…] La maggior parte di loro era registrata con documenti falsi figurando di origine albanese. Le autorità albanesi hanno rifiutato di consegnare ai nazisti le liste degli ebrei. In Albania non sono state approvate leggi antisemite, non sono stati costruiti campi di concentramento.
Questo atteggiamento benevolo l’hanno mantenuto tutti gli albanesi, quelli in Albania, quelli del Kosovo, della Macedonia, del Montenegro, in Grecia, perché ovunque ci troviamo, siamo albanesi; tutti uniti: albanesi musulmani, ortodossi, cattolici perché per gli albanesi la propria religione è l’Albanesità.”
In conclusione l’ambasciatore ha fatto un appello sentito per una riflessione:
“Noi non vogliamo e non chiediamo medaglie e meriti, perché l’abbiamo fatto per gli ebrei, ed altri popoli. Trovandoci in Italia, possiamo ricordare come molti militari italiani, dopo la capitolazione fascista, siano rimasti in Albania e come ha scritto un storico italiano, furono aiutati proprio da quelle popolazioni di cui erano stati occupanti. Loro hanno vissuto e combattuto insieme agli albanesi contro i nazisti, anche formando un battaglione simbolicamente chiamato “Antonio Gramsci”, in onore di un italiano di origini arbëresh. Quello che serve e che oggi ci sta dando quest’evento è il riconoscimento storico e la riconoscenza di un atto di ospitalità e coraggio del popolo albanese.
In conclusione, vorrei porre l’accento sul fatto che con l’atteggiamento dimostrato verso gli ebrei, gli albanesi hano mostrato la forza umanitaria e quello che questa può fare quando raggiunge la sua massima espressione. Ricca di senso umanitario, non a caso la nostra Terra ha generato e cresciuto il modello e il simbolo mondiale dell’umanità, Madre Teresa. Perciò, con la modestia del rappresentante di un piccolo paese amico e di un albanese del suolo di Madre Teresa, vi invito tutti a promuovere l’umanitarismo, i valori e l’amicizia, perché solo grazie ad essi, come amiamo dire noi albanesi, non vi sono roccaforti che non possono essere conquistate.”
La mostra fotografica resterà aperta al pubblico fino al 28 gennaio 2010, da domenica a giovedì dalle ore 10.00 alle 18.00, venerdì dalle ore 10.00 alle 16.00 mentre sabato e durante le festività ebraiche sarà chiusa. Informiamo i nostri lettori che nei prossimi giorni sarà disponibile on line il servizio dell’evento.
http://albanianews.it/arte/250110-bologna-linaugurazione-mostra-codice-onore-albanese-besa
Si è inaugurata il 24 gennaio 2010 alle ore 11.00, negli ambienti del Museo Ebraico di Bologna la mostra del fotografo statunitense Norman H. Gershman,"Besa un codice d’onore. Gli Albanesi musulmani che salvarono gli ebrei dalla Shoah".
La mostra contiene una serie di fotografie in bianco e nero, con i ritratti dei discendenti dei 63 albanesi, che hanno aiutato gli ebrei durante la seconda guerra mondiale, e che sono riconosciuti da Yad Vashem come i Giusti tra le Nazioni. Buona la partecipazione della cittadinanza albanese e italiana presenti alla inaugurazione, degli amanti dell’arte e della fotografia e di molti curiosi interessati all’argomento.
L’esposizione, ripercorrendo la storia ebraica a cavallo della seconda guerra mondiale con uno sguardo particolare al ruolo svolto dagli albanesi di religione musulmana, tramite le sue preziose immagini rappresenta l’occasione di mostrare al pubblico degli appassionati dell’arte della fotografia e del tema storico l’esplorazione di un mondo ricco di contrasti e di originalità.
Difatti le immagini hanno una sorta di originalità albanese; le mani sul petto sopra il cuore è un gesto tipicamente albanese e dà ad intendere il segno significativo di Besa. Si osserva un legame forte tra l’immagine e il testo narrante di ognuna delle storie come nel caso delle famiglie di Hasan Kalaja, di Hysen Marika, di Lilo Xhimitiku e Taqi Simsia, di Ali e Ragip Kraja, di Mimi Dema, ecc.
I scatti fotografici penetrano dentro le persone mettendo in evidenza il loro spirito attraverso il contatto visivo ed ricercando l’animo umano attraverso il paesaggio plastico dell’espressività corporea, restituita dal bianco e nero. Le testimonianze si moltiplicano attraverso il gesto indicale oppure attraverso l’ostensione di tracce rilevanti di quel passato. Ogni immagine ha un proprio spirito personale e una propria storia umana che per mezzo della scelta di quei due singoli colori mette in evidenza la risoluzione della contraddizione storica che ha contraddistinto il mondo ebraico e quello islamico.
L’arte di Gershman è la sua capacità di portare l’argomento molto vicino al pubblico, offrendo a quest’ultimo un viaggio emozionante nella memoria del passato.
Hanno salutato l’inaugurazione della mostra il Presidente del Museo Ebraico di Bologna - Emilio Campos, il Presidente della Comunita Ebraica di Bologna - Guido Ottolenghi, il Vice Ministro alla Cultura della Repubblica dell’Albania - Suzana Turku e l’Ambasciatore della Repubblica Albanese in Itaia - Llesh Kola.
Alla cerimonia di inaugurazione sono inoltre intervenuti Claudio Merighi – Vice Sindaco Comune di Bologna, Beatrice Draghetti - Presidente Provincia di Bologna, Maria Giuseppina Muzzarelli - Vicepresidente Regione Emilia Romagna, Paolo Zanca- Vicepresidente Assemblea Legislativa Regione Emilia Romagna, Renzo Gattegna - Presidente Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, Abd Al Adhim Yusuf Pisano -Responsabile Co.Re.Is. Emilia Romagna, Michele Sarfatti – Direttore della Fondazione “Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea” di Milano.
Pubblichiamo in parte l’intervento dell’Ambasciatore dell’Albania.
Nel suo intervento l’ambasciatore Kola dopo aver ringraziato gli organizzatori dell’attività e la comunità ebraica in Italia per il loro sostegno, ha sottolineato l’importanza della promozione dei valori nazionali albanesi come indice di una missione nobile, di un fattore di pace e amicizia tra le nazioni. Proseguendo nel suo discorso ha sottolineato il ruolo storico dell’Albania che fin dai tempi di Scanderbeg ha sempre e comunque portato in occidente i propri distintivi e radicati valori umani.
“La nostra è una nazione antica ed autoctona con qualità comprovate, conosciute e stimate. Noi non siamo mai stati invasori, siamo sempre stati invasi dagli altri. Abbiamo da sempre offerto l’amicizia e la tolleranza invece della discriminazione; abbiamo lavorato per la cooperazione e scelto relazioni senza pregiudizi.
Siamo un paese dove convivono in armonia e in tolleranza secolare esemplare tre religioni differenti. E’ una realtà ed un modello da cui possono prendere esempio altre nazioni, vicine o lontane.
L’Albania è patria di simboli internazionalmente conosciuti, come il nostro eroe nazionale, Scanderbeg, conosciuto già cinque secoli fa, come difensore della civiltà occidentale, e nei nostri tempi la grande missionaria della carità, Madre Teresa.”
L’ambasciatore costatando che il principio guida interno alla tradizione albanese dell’ospitalità è rivolta al prossimo a prescindere dal suo credo religioso ed etnico, ha detto:
“Durante la seconda guerra mondiale l’Albania e gli albanesi hanno accolto e salvato tutti gli ebrei, come in pochi paesi nel mondo e nella loro fase storica piu difficile. Li abbiamo accolti non come stranieri, ma come amici, perché da noi esiste solo il concetto del’”ospite”. Li abbiamo ricevuti e dato alloggio nelle nostre case, insieme alle nostre famiglie, perché per gli albanesi la casa è prima di tutto di dio, poi degli amici e della famiglia. La porta di ogni albanese è sempre aperta per i amici e chiunque bussa riceve il benvenuto.
Noi abbiamo difeso gli ebrei come popolo e anche di fronte alle istituzioni.[…] La maggior parte di loro era registrata con documenti falsi figurando di origine albanese. Le autorità albanesi hanno rifiutato di consegnare ai nazisti le liste degli ebrei. In Albania non sono state approvate leggi antisemite, non sono stati costruiti campi di concentramento.
Questo atteggiamento benevolo l’hanno mantenuto tutti gli albanesi, quelli in Albania, quelli del Kosovo, della Macedonia, del Montenegro, in Grecia, perché ovunque ci troviamo, siamo albanesi; tutti uniti: albanesi musulmani, ortodossi, cattolici perché per gli albanesi la propria religione è l’Albanesità.”
In conclusione l’ambasciatore ha fatto un appello sentito per una riflessione:
“Noi non vogliamo e non chiediamo medaglie e meriti, perché l’abbiamo fatto per gli ebrei, ed altri popoli. Trovandoci in Italia, possiamo ricordare come molti militari italiani, dopo la capitolazione fascista, siano rimasti in Albania e come ha scritto un storico italiano, furono aiutati proprio da quelle popolazioni di cui erano stati occupanti. Loro hanno vissuto e combattuto insieme agli albanesi contro i nazisti, anche formando un battaglione simbolicamente chiamato “Antonio Gramsci”, in onore di un italiano di origini arbëresh. Quello che serve e che oggi ci sta dando quest’evento è il riconoscimento storico e la riconoscenza di un atto di ospitalità e coraggio del popolo albanese.
In conclusione, vorrei porre l’accento sul fatto che con l’atteggiamento dimostrato verso gli ebrei, gli albanesi hano mostrato la forza umanitaria e quello che questa può fare quando raggiunge la sua massima espressione. Ricca di senso umanitario, non a caso la nostra Terra ha generato e cresciuto il modello e il simbolo mondiale dell’umanità, Madre Teresa. Perciò, con la modestia del rappresentante di un piccolo paese amico e di un albanese del suolo di Madre Teresa, vi invito tutti a promuovere l’umanitarismo, i valori e l’amicizia, perché solo grazie ad essi, come amiamo dire noi albanesi, non vi sono roccaforti che non possono essere conquistate.”
La mostra fotografica resterà aperta al pubblico fino al 28 gennaio 2010, da domenica a giovedì dalle ore 10.00 alle 18.00, venerdì dalle ore 10.00 alle 16.00 mentre sabato e durante le festività ebraiche sarà chiusa. Informiamo i nostri lettori che nei prossimi giorni sarà disponibile on line il servizio dell’evento.
http://albanianews.it/arte/250110-bologna-linaugurazione-mostra-codice-onore-albanese-besa
giovedì 14 gennaio 2010
La "Besa" albanese nel "Giorno della Memoria" ebraica .
La "Besa" albanese nel "Giorno della Memoria" ebraica.
di Brunilda Ternova
L'Albania fu l'unico paese europeo durante gli anni 1930-1944 che diede ospitalità e protezione ai profughi ebraici fuggiti dalla persecuzione nazi- fascista, mentre nel resto dell'Europa si diffondevano e si applicavano le leggi razziali e le pulizie etniche.
La mostra itinerante intitolata “BESA: A Code of Honor - Muslim Albanians Who Rescued Jews During the Holocaust” del fotografo ebreo Norman H. Gershman, venne presentata per la prima volta al pubblico nel novembre del 2007 presso il museo Yad Vashem a Gerusalemme, quale sponsor ufficiale dell’esibizione. La mostra, presentata in anteprima presso le Nazioni Unite nel gennaio 2008, ha fatto il giro del mondo e si trova attualmente a Bologna, dove verrà inaugurata il 24 gennaio 2010 presso il Museo Ebraico. Curatrice di questa esposizione è la Sig.ra Yehudit Shendar, vice direttrice nonché curatrice d'arte della divisione museale “The Holocaust Martyrs’ and Heroes’ Authority” della Yad Vashem (Gerusalemme - Israele).
Lo scopo di questo evento è di presentare al mondo la straordinaria testimonianza del popolo albanese e di rendere omaggio ai suoi valori umani come parte di un esempio etico di tolleranza che è ancora oggi attivo e radicato nelle sue tradizioni e nella sua cultura millenaria. Questo esempio unico nel suo genere, che può essere chiamato leggendario non trovando eguali nel resto dell’Europa, fonda le sue fondamenta in un antico codice di condotta di nome “Besa”, parola intraducibile ma che, per darle un senso, potremmo definire come “giuramento” o “promessa”.
Il Codice d’Onore “Besa”
“Besa” è una nobile promessa morale vincolata da scelte basate su un senso alto dell’onore e della giustizia umana. È un concetto che si stabilisce sull’antico codice albanese della virtù che impegna ogni albanese a prestare aiuto a chiunque si trovi in situazioni di necessità a prescindere dal suo status culturale, religioso, etnico, sociale, di genere, di età, ecc.
Il fotografo Norman H. Gershman, che terminò il suo lavoro dopo più di quattro anni di raccolta di storie e di scatti di foto in bianco e nero, ha voluto trattare la questione dal punto di vista ebraico, e in questo mondo pieno di conflitti religiosi ha voluto sottolineare il fatto che l’amicizia tra gli ebrei e i musulmani può essere possibile.
Dal punto di vista albanese, per onorare la verità storica è obbligatorio sottolineare che gli ebrei che furono salvati in Albania sono stati protetti e messi in salvo non solo dagli albanesi musulmani ma anche dagli albanesi cristiani e da un numero di albanesi scettici verso la religione. Il concetto stesso di “Besa” non ha molto a che fare con la religione in sé poiché le virtù del coraggio, della compassione, dell’onore, della tolleranza e del sacrificio, che caratterizzano il codice d’onore albanese, in realtà sono all’origine dei valori caratteristici della storia di tutti gli albanesi. Basta ricordare uno dei simboli nazionali albanesi, Madre Teresa (Gonxhe Bojaxhi), il cui spirito, sebbene fosse cattolico, ha ben sintetizzato il forte potere della nozione di “Besa”. Ma non solo, “Besa” incorpora dentro sé un iter socio-culturale ancora più complesso e arcaico facendo parte delle leggi non scritte del Kanun albanese (Canone) che è stato rispettato e trasmesso oralmente da generazione in generazione. Il Kanun è un corpus di norme e di consuetudini degli albanesi che risale a tempi antichissimi e, come ci viene dimostrato anche dal studioso giapponese Kazuhiko Yamamoto nei suoi studi “The Ethical Structure of Kanun and Cultural Implications” e “The Ethical Structure of Homeric Society”, sarebbe un sistema etico di valori della società pagana trascendentale che risale alla fase iniziale delle organizzazioni sociali umane quando la mentalità dell’essere umano era ancora nella fase del sincretismo etico ed giuridico.
E’ proprio da questo importante regolatore antico del funzionamento e dell’ordine della società albanese che scaturisce la lunga storia di tolleranza religiosa degli albanesi e la resistenza ad ogni oppressione straniera.
Gli ebrei in Albania
Questa caratteristica tipica della cultura tradizionale albanese è stata certamente un contributo di benvenuto agli ebrei in varie epoche della storia.
Storicamente, la prima apparizione di un gruppo di ebrei che si insediarono in Albania si verificò nel 70 A.D., quando una nave che trasportava ostaggi ebraici per l'imperatore romano Tito naufragò sulla costa ionica nei pressi di Saranda. Di fatto, piccole comunità ebraiche non omogenee sono state accolte in Albania a partire dal 1492, anno in cui le persecuzioni dell’inquisizione cattolica ordinate dalla regina Isabella di Spagna determinarono la loro espulsione dal continente iberico.
Per quanto riguarda la storia recente a cavallo della seconda guerra mondiale, trovarono rifugio in Albania 2000 ebrei, la maggior parte provenienti da paesi come Germania, Austria, Jugoslavia, Croazia, Bulgaria, Polonia, Turchia, Grecia, Ungheria e Romania. Sebbene il paese si presentava in una situazione economica disastrosa per causa della guerra, e gli albanesi fossero loro stessi sotto l’invasione nazi-fascista, hanno avuto la forza d'animo di provvedere agli ebrei vestiti, cibo, protezione e aiuti di ogni vario genere. In effetti, l’Albania durante quegli anni diventò il luogo di accoglienza prediletto dagli ebrei d’Europa, e sfortunatamente questa parte della storia d’Albania non è nota a molti, inclusi gli stessi albanesi.
Facendo riferimento a uno studio del professor Bernd J. Fischer, Presidente del Dipartimento di Storia presso l’Indiana University - Fort Wayne: “[…] solo nel 1938 in Albania sono stati ufficialmente registrati circa 300 ebrei albanesi e forse 100 ebrei stranieri. Gli ebrei stranieri (circa 800 secondo la stima del 1943) provenienti da Austria, Germania, ma anche dalla Polonia, Bulgaria e Jugoslavia, venivano nascosti, spesso spostati da un luogo all’altro e sempre protetti dagli albanesi musulmani, ortodossi e cattolici. Non vi è alcun caso noto di qualche tradimento di questa fiducia, nessun caso conosciuto di qualche ebreo esposto, e nessun caso conosciuto di albanesi padroni di casa che chiesero compensi per il servizio offerto.
Ma gli ebrei della Jugoslavia – continua Bernd J. Fischer – furono meno fortunati. Con la distruzione della Jugoslavia nel 1941, molti ebrei dalla Croazia e dalla Serbia cercarono rifugio in Kosova. Mentre inizialmente furono trattati bene, la maggior parte di essi dovette tornare a Belgrado dove molti furono sommariamente giustiziati. […] I tedeschi poi richiesero alle autorità italiane l’arresto e il trasferimento degli ebrei in Kosova sotto il controllo tedesco. Ma le autorità locali albanesi a Prishtina e altrove spesso si opposero a questi sforzi fornendo agli ebrei documenti falsi. Particolarmente attivo in questo senso è stato Preng Uli, il segretario del Comune di Prishtina, il cui operato è stato registrato nei documenti italiani”.
L’ingegnere Samuel Mandili, scrive nel 20 febbraio 1945: “Tutti gli ebrei che provenivano dall’Albania, sono stati salvati grazie alla generosa bontà d’animo del popolo albanese che ha considerato come un dovere morale di proteggere nelle proprie case tutti gli emigrati perseguitati [...] L’atteggiamento meraviglioso e nobile del popolo albanese ha bisogno di essere conosciuto perché loro meritano tutta la gratitudine del mondo e di ogni uomo colto [...]”
Documenti e testimonianze varie presso il Museo Commemorativo dell’Olocausto a Washington negli Stati Uniti d’America, dove si trovano elencati i nomi di 2264 ebrei salvati dagli albanesi, attestano questi fatti. Così, nella lista ufficiale presente nel Museo dell’Olocausto Yad Vashem a Gerusalemme si trovano elencati i nomi di 63 albanesi che salvarono i profughi ebrei prima e durante la seconda guerra mondiale. In questa lista non sono incluse le testimonianze successive perché non ancora archiviate, compresi i casi di quegli ebrei che furono equipaggiati con passaporti e nomi albanesi falsi e che utilizzavano l’Albania come Paese di transito per salvarsi dalle persecuzioni degli nazi-fascisti e di conseguenza dalla sicura morte. Mentre lo Yad Vashem ha designato una trentina di famiglie albanesi (63 persone) nei Giusti tra le Nazioni, Gershman dopo cinque anni di costante lavoro, ha trovato le prove di oltre 150 famiglie che hanno protetto gli ebrei durante l’occupazione nazista, e molti altri resoconti che hanno bisogno di essere avvalorati.
Uno degli aspetti importanti di questa faccenda che merita di essere sottolineato è il fatto che in Albania non sono mai state approvate leggi antisemite, non sono mai stati costruiti campi di concentramento e non ci sono mai state vittime dell’Olocausto, e questo lodevole modo di comportamento è da attribuirsi al tutto il popolo albanese inclusi gli albanesi del Kosova, F.Y.R.O.M., Montenegro e Grecia che tramite questo grande atto di generosità nei confronti degli ebrei, rischiarono non poco la loro vita e quella dei loro familiari.
Una tra le tante testimonianze dell’assenza di sentimenti antisemiti ci viene offerta direttamente dall’ambasciatore degli Stati Uniti in Albania Herman Bernstein, egli stesso un ebreo, durante gli anni 1930-1933. Bernstein scrisse nel 1934 nelle sue lettere: “Non vi è alcuna traccia di discriminazione contro gli ebrei in Albania, perché l'Albania sembra essere una delle terre rare in Europa dove il pregiudizio e l’odio religioso non esistono, anche se gli albanesi si sono suddivisi in tre credi religiosi…” (The Jewish Daily Bulletin, New York, vol. XI, nr. 2821, Aprile 17, 1934).
Questi dati significativi ci offrono una chiara panoramica del clima creatosi in Albania durante quegli anni dove ogni ebreo che vi fece ingresso, che ci rimase o che usò il paese per transito venne salvato grazie all’ospitalità del popolo albanese e del suo codice d’onore “Besa”.
Chi è Norman H. Gershman
Norman H. Gershman oltre ad essere un fotografo d’arte riconosciuto a livello mondiale, è anche un collezionista e commerciante d’arte che ha pubblicato, esposto e scritto molto sull’arte della fotografia. Il suo lavoro è rappresentato nella collezione permanente del Centro Internazionale di Fotografia, The Brooklyn Museum, The Aspen Art Museum, Rizzoli ecc.
In Israele il suo lavoro “Birobidjan: The Jewish Autonomous Region” è rappresentato nella collezione permanente di Beth Hatefutsoth, al Museo della Diaspora Ebraica, a Tel Aviv. Molti leader internazionali e studiosi hanno lodato il suo lavoro, tra cui l’ex Primo Ministro israeliano Yitzhak Shamir, Presidente Jimmy Carter, Jehen Sadat, il deputato del congresso americano Tom Lantos, Dott. Mordecai Paldiel di Yad Vashem, il premio nobel e superstite dell’Olocausto Elie Wiesel, Dott. Akbar Ahmed dell’American University nonché il Presidente Emerito Cornell Capa fondatore del Centro Internazionale di Fotografia.
[Nella foto: Aishe Kadiu, musulmana albanese, che con il marito Besim ospitò due ebrei greci, i fratelli Jakov e Sandra Batino]
Per maggiori informazioni, è possibile consultare il sito internet del Museo Ebraico di Bologna all’indirizzo web: http://www.museoebraicobo.it/GiornoMemoria10.htm
di Brunilda Ternova
L'Albania fu l'unico paese europeo durante gli anni 1930-1944 che diede ospitalità e protezione ai profughi ebraici fuggiti dalla persecuzione nazi- fascista, mentre nel resto dell'Europa si diffondevano e si applicavano le leggi razziali e le pulizie etniche.
La mostra itinerante intitolata “BESA: A Code of Honor - Muslim Albanians Who Rescued Jews During the Holocaust” del fotografo ebreo Norman H. Gershman, venne presentata per la prima volta al pubblico nel novembre del 2007 presso il museo Yad Vashem a Gerusalemme, quale sponsor ufficiale dell’esibizione. La mostra, presentata in anteprima presso le Nazioni Unite nel gennaio 2008, ha fatto il giro del mondo e si trova attualmente a Bologna, dove verrà inaugurata il 24 gennaio 2010 presso il Museo Ebraico. Curatrice di questa esposizione è la Sig.ra Yehudit Shendar, vice direttrice nonché curatrice d'arte della divisione museale “The Holocaust Martyrs’ and Heroes’ Authority” della Yad Vashem (Gerusalemme - Israele).
Lo scopo di questo evento è di presentare al mondo la straordinaria testimonianza del popolo albanese e di rendere omaggio ai suoi valori umani come parte di un esempio etico di tolleranza che è ancora oggi attivo e radicato nelle sue tradizioni e nella sua cultura millenaria. Questo esempio unico nel suo genere, che può essere chiamato leggendario non trovando eguali nel resto dell’Europa, fonda le sue fondamenta in un antico codice di condotta di nome “Besa”, parola intraducibile ma che, per darle un senso, potremmo definire come “giuramento” o “promessa”.
Il Codice d’Onore “Besa”
“Besa” è una nobile promessa morale vincolata da scelte basate su un senso alto dell’onore e della giustizia umana. È un concetto che si stabilisce sull’antico codice albanese della virtù che impegna ogni albanese a prestare aiuto a chiunque si trovi in situazioni di necessità a prescindere dal suo status culturale, religioso, etnico, sociale, di genere, di età, ecc.
Il fotografo Norman H. Gershman, che terminò il suo lavoro dopo più di quattro anni di raccolta di storie e di scatti di foto in bianco e nero, ha voluto trattare la questione dal punto di vista ebraico, e in questo mondo pieno di conflitti religiosi ha voluto sottolineare il fatto che l’amicizia tra gli ebrei e i musulmani può essere possibile.
Dal punto di vista albanese, per onorare la verità storica è obbligatorio sottolineare che gli ebrei che furono salvati in Albania sono stati protetti e messi in salvo non solo dagli albanesi musulmani ma anche dagli albanesi cristiani e da un numero di albanesi scettici verso la religione. Il concetto stesso di “Besa” non ha molto a che fare con la religione in sé poiché le virtù del coraggio, della compassione, dell’onore, della tolleranza e del sacrificio, che caratterizzano il codice d’onore albanese, in realtà sono all’origine dei valori caratteristici della storia di tutti gli albanesi. Basta ricordare uno dei simboli nazionali albanesi, Madre Teresa (Gonxhe Bojaxhi), il cui spirito, sebbene fosse cattolico, ha ben sintetizzato il forte potere della nozione di “Besa”. Ma non solo, “Besa” incorpora dentro sé un iter socio-culturale ancora più complesso e arcaico facendo parte delle leggi non scritte del Kanun albanese (Canone) che è stato rispettato e trasmesso oralmente da generazione in generazione. Il Kanun è un corpus di norme e di consuetudini degli albanesi che risale a tempi antichissimi e, come ci viene dimostrato anche dal studioso giapponese Kazuhiko Yamamoto nei suoi studi “The Ethical Structure of Kanun and Cultural Implications” e “The Ethical Structure of Homeric Society”, sarebbe un sistema etico di valori della società pagana trascendentale che risale alla fase iniziale delle organizzazioni sociali umane quando la mentalità dell’essere umano era ancora nella fase del sincretismo etico ed giuridico.
E’ proprio da questo importante regolatore antico del funzionamento e dell’ordine della società albanese che scaturisce la lunga storia di tolleranza religiosa degli albanesi e la resistenza ad ogni oppressione straniera.
Gli ebrei in Albania
Questa caratteristica tipica della cultura tradizionale albanese è stata certamente un contributo di benvenuto agli ebrei in varie epoche della storia.
Storicamente, la prima apparizione di un gruppo di ebrei che si insediarono in Albania si verificò nel 70 A.D., quando una nave che trasportava ostaggi ebraici per l'imperatore romano Tito naufragò sulla costa ionica nei pressi di Saranda. Di fatto, piccole comunità ebraiche non omogenee sono state accolte in Albania a partire dal 1492, anno in cui le persecuzioni dell’inquisizione cattolica ordinate dalla regina Isabella di Spagna determinarono la loro espulsione dal continente iberico.
Per quanto riguarda la storia recente a cavallo della seconda guerra mondiale, trovarono rifugio in Albania 2000 ebrei, la maggior parte provenienti da paesi come Germania, Austria, Jugoslavia, Croazia, Bulgaria, Polonia, Turchia, Grecia, Ungheria e Romania. Sebbene il paese si presentava in una situazione economica disastrosa per causa della guerra, e gli albanesi fossero loro stessi sotto l’invasione nazi-fascista, hanno avuto la forza d'animo di provvedere agli ebrei vestiti, cibo, protezione e aiuti di ogni vario genere. In effetti, l’Albania durante quegli anni diventò il luogo di accoglienza prediletto dagli ebrei d’Europa, e sfortunatamente questa parte della storia d’Albania non è nota a molti, inclusi gli stessi albanesi.
Facendo riferimento a uno studio del professor Bernd J. Fischer, Presidente del Dipartimento di Storia presso l’Indiana University - Fort Wayne: “[…] solo nel 1938 in Albania sono stati ufficialmente registrati circa 300 ebrei albanesi e forse 100 ebrei stranieri. Gli ebrei stranieri (circa 800 secondo la stima del 1943) provenienti da Austria, Germania, ma anche dalla Polonia, Bulgaria e Jugoslavia, venivano nascosti, spesso spostati da un luogo all’altro e sempre protetti dagli albanesi musulmani, ortodossi e cattolici. Non vi è alcun caso noto di qualche tradimento di questa fiducia, nessun caso conosciuto di qualche ebreo esposto, e nessun caso conosciuto di albanesi padroni di casa che chiesero compensi per il servizio offerto.
Ma gli ebrei della Jugoslavia – continua Bernd J. Fischer – furono meno fortunati. Con la distruzione della Jugoslavia nel 1941, molti ebrei dalla Croazia e dalla Serbia cercarono rifugio in Kosova. Mentre inizialmente furono trattati bene, la maggior parte di essi dovette tornare a Belgrado dove molti furono sommariamente giustiziati. […] I tedeschi poi richiesero alle autorità italiane l’arresto e il trasferimento degli ebrei in Kosova sotto il controllo tedesco. Ma le autorità locali albanesi a Prishtina e altrove spesso si opposero a questi sforzi fornendo agli ebrei documenti falsi. Particolarmente attivo in questo senso è stato Preng Uli, il segretario del Comune di Prishtina, il cui operato è stato registrato nei documenti italiani”.
L’ingegnere Samuel Mandili, scrive nel 20 febbraio 1945: “Tutti gli ebrei che provenivano dall’Albania, sono stati salvati grazie alla generosa bontà d’animo del popolo albanese che ha considerato come un dovere morale di proteggere nelle proprie case tutti gli emigrati perseguitati [...] L’atteggiamento meraviglioso e nobile del popolo albanese ha bisogno di essere conosciuto perché loro meritano tutta la gratitudine del mondo e di ogni uomo colto [...]”
Documenti e testimonianze varie presso il Museo Commemorativo dell’Olocausto a Washington negli Stati Uniti d’America, dove si trovano elencati i nomi di 2264 ebrei salvati dagli albanesi, attestano questi fatti. Così, nella lista ufficiale presente nel Museo dell’Olocausto Yad Vashem a Gerusalemme si trovano elencati i nomi di 63 albanesi che salvarono i profughi ebrei prima e durante la seconda guerra mondiale. In questa lista non sono incluse le testimonianze successive perché non ancora archiviate, compresi i casi di quegli ebrei che furono equipaggiati con passaporti e nomi albanesi falsi e che utilizzavano l’Albania come Paese di transito per salvarsi dalle persecuzioni degli nazi-fascisti e di conseguenza dalla sicura morte. Mentre lo Yad Vashem ha designato una trentina di famiglie albanesi (63 persone) nei Giusti tra le Nazioni, Gershman dopo cinque anni di costante lavoro, ha trovato le prove di oltre 150 famiglie che hanno protetto gli ebrei durante l’occupazione nazista, e molti altri resoconti che hanno bisogno di essere avvalorati.
Uno degli aspetti importanti di questa faccenda che merita di essere sottolineato è il fatto che in Albania non sono mai state approvate leggi antisemite, non sono mai stati costruiti campi di concentramento e non ci sono mai state vittime dell’Olocausto, e questo lodevole modo di comportamento è da attribuirsi al tutto il popolo albanese inclusi gli albanesi del Kosova, F.Y.R.O.M., Montenegro e Grecia che tramite questo grande atto di generosità nei confronti degli ebrei, rischiarono non poco la loro vita e quella dei loro familiari.
Una tra le tante testimonianze dell’assenza di sentimenti antisemiti ci viene offerta direttamente dall’ambasciatore degli Stati Uniti in Albania Herman Bernstein, egli stesso un ebreo, durante gli anni 1930-1933. Bernstein scrisse nel 1934 nelle sue lettere: “Non vi è alcuna traccia di discriminazione contro gli ebrei in Albania, perché l'Albania sembra essere una delle terre rare in Europa dove il pregiudizio e l’odio religioso non esistono, anche se gli albanesi si sono suddivisi in tre credi religiosi…” (The Jewish Daily Bulletin, New York, vol. XI, nr. 2821, Aprile 17, 1934).
Questi dati significativi ci offrono una chiara panoramica del clima creatosi in Albania durante quegli anni dove ogni ebreo che vi fece ingresso, che ci rimase o che usò il paese per transito venne salvato grazie all’ospitalità del popolo albanese e del suo codice d’onore “Besa”.
Chi è Norman H. Gershman
Norman H. Gershman oltre ad essere un fotografo d’arte riconosciuto a livello mondiale, è anche un collezionista e commerciante d’arte che ha pubblicato, esposto e scritto molto sull’arte della fotografia. Il suo lavoro è rappresentato nella collezione permanente del Centro Internazionale di Fotografia, The Brooklyn Museum, The Aspen Art Museum, Rizzoli ecc.
In Israele il suo lavoro “Birobidjan: The Jewish Autonomous Region” è rappresentato nella collezione permanente di Beth Hatefutsoth, al Museo della Diaspora Ebraica, a Tel Aviv. Molti leader internazionali e studiosi hanno lodato il suo lavoro, tra cui l’ex Primo Ministro israeliano Yitzhak Shamir, Presidente Jimmy Carter, Jehen Sadat, il deputato del congresso americano Tom Lantos, Dott. Mordecai Paldiel di Yad Vashem, il premio nobel e superstite dell’Olocausto Elie Wiesel, Dott. Akbar Ahmed dell’American University nonché il Presidente Emerito Cornell Capa fondatore del Centro Internazionale di Fotografia.
[Nella foto: Aishe Kadiu, musulmana albanese, che con il marito Besim ospitò due ebrei greci, i fratelli Jakov e Sandra Batino]
Per maggiori informazioni, è possibile consultare il sito internet del Museo Ebraico di Bologna all’indirizzo web: http://www.museoebraicobo.it/GiornoMemoria10.htm
Iscriviti a:
Post (Atom)