venerdì 28 gennaio 2022

Il mistero dell'uomo incappucciato e l'iscrizione criptica - di BRUNILDA TERNOVA

 
Uno dei mosaici più affascinanti dell'Albania è il Mosaico di Mesaplik del sesto secolo dopo cristo situato nel Museo Storico Nazionale, che solleva molteplici interrogativi sul ritratto di una persona non identificata e su un'iscrizione misteriosa.
Il mosaico fu scoperto nel 1979 tra le rovine di una chiesa paleocristiana abbandonata nel villaggio di Mesaplik nella regione di Valona, in un luogo noto come la Spiaggia della Chiesa (Bregu i Kishës). L'etimologia del nome Mesaplik viene associato dai linguisti ai Messapie iliri dell'antica Puglia, così come il nome etnico Laberia (nome della regione), con la Calabria sulla costa di fronte alla penisola appenninica.
L’opera d’arte è stata realizzata su uno strato di cemento, quest'ultimo realizzato con una tecnica romana che combinava calcare e polvere di mattoni. Le pietre cubiche di spettri multicolori, ciascuna delle quali misura 1-1,5 cm, raffigurano figure di uccelli, pesci, fiori e frutti, creando un meraviglioso mosaico completo con un'altezza di 230 cm e una larghezza di 249 cm.  Il santuario era lungo 13,8 m e largo 11 m. La navata, o lo  spazio centrale, era più alta e più larga delle altre due navate, che misuravano 2,5 m ciascuna.

La chiesa era costituita dal Naos (sala), dall'altare la cui abside era a tre lati, e dall'iconostasi, il cui piedistallo era di pietra. L'intero edificio era coperto da tetti in legno e tegole, i cui chiodi sono stati trovati all'interno delle rovine.
Il pavimento era un tempo pavimentato a mosaico, dove nella navata centrale fu  ritrovato il frammento. Gli archeologi hanno anche rinvenuto una tomba sull'altare del santuario, fatto che conferma la tesi secondo cui la maggior parte delle Basiliche del primo cristianesimo servivano anche come mausolei di personaggi di spicco dell'epoca, sia laici che religiosi.
Tracce di bruciature rinvenute dall'archeologo D. Komata fanno pensare che la Basilica sia stata probabilmente distrutta durante le invasioni slave, ovvero durante i secoli VIII-IX, quando a Bisanzio la guerra delle icone non risparmiò le migliori opere d'arte, perché sul pavimento sono stati trovati oltre a chiodi, pezzi di vetro, piatti e piastrelle rotte anche uno spesso strato di cenere.
Nel VI secolo, quando la Basilica di Mesaplik fu costruita e fungeva da tempio della chiesa, Amantia e Valona erano due diocesi sottostante a quella di Durazzo, così come Skampa, Bylis, Linhidi e Listra. Il vescovado di Amantia, che dipendeva da questa Basilica, è poco menzionato nei documenti storici. L'unico riferimento ad esso dato risale al IV secolo, quando il vescovo Eulalis partecipò a un consiglio ecclesiastico organizzato a Philipopolis, che si trova nell'attuale Bulgaria (Acta Albaniae l).

Il mistero di un ritratto
Al centro del mosaico si trova la figura di un uomo con il cappuccio, il pileus bianco appuntito (ancora oggi in uso in Albania come parte del corredo del vestiario tradizionale) e due nastri di color rosso che scorrono intorno alla testa  dell'uomo. L'iscrizione APARKEAS è alla sua destra. Tutte le lettere dell'incisione, tranne una, appartengono all'alfabeto latino con la lettera “P” scritta in greco. Nel corso degli anni, molti studiosi hanno cercato di rispondere a domande sull'identità dell'uomo e sul significato dietro l'iscrizione. Sebbene rimangano ancora poco chiari, le informazioni di seguito fanno luce su questo misterioso mosaico.

Il Simbolismo del Vento del Nord
La prima risposta viene dall'edizione del 1985 del Dizionario enciclopedico albanese, in cui si afferma che la parola "aparkeas" indichi "vento del nord". A sostegno di questa teoria, è la ricercatrice Dhorka Dhamo che conferma che il volto dell’uomo del mosaico è posizionata verso nord con i nastri mossi dal vento dietro di lui. Tuttavia, studiosi successivi hanno sostenuto che, nel greco antico, la parola per vento del nord era compitata aparktias o aparkias, ma non “aparkeas”, come appare sul mosaico.
Setta dei Basiliti
L'ex direttore del Museo Storico Nazionale di Tirana e uno dei più rinomati studiosi albanesi, Moikom Zeqo, offre un'altra spiegazione per l'iscrizione. Nel libro “Archeologia, La grammatica dei fatti” lo studioso  Zeqo afferma che il termine  “aparkeas” deriva dal nome della divinità “Abraxas”, la figura più alta della Setta dei Basiliti. L'influenza esercitata allora dalla comunità ebraica a Valona spiega la presenza della setta nel paese. Nelle stesse parole di Zeqo, pubblicate nel 2018 sulla rivista online Dita: “Un sincretismo del Dio ebraico Abraxas e del Geova cristiano si è verificato durante il 2 e 4 secolo alla periferia di Valona... Il Mosaico di Mesaplik, con questo particolare soggetto iconografico, è l'unico al mondo dell’epoca tardoantica
”.
Il Costruttore della Basilica
Secondo un'altra teoria di Neritan Ceka, la figura non identificata e l'iscrizione puntano verso l'effettivo costruttore della basilica. Ecco la spiegazione di Ceka dal suo libro "The Illyrians".: "L' iscrizione aparkea , posta davanti al volto dell’uomo, sembra esplicitare il nome di questo personaggio, che sarebbe il costruttore della chiesa".
Proverbio albanese: “Mangia poco e ne avrai abbastanza” ("H a pak, ke të hash")
Un'altra teoria, offerta dallo studioso Niko Stillo, afferma che l'incisione è scritta in albanese e dice “A PAK KE T'AÇ,” (Mangia poco e ne avrai abbastanza).  
Secondo Stillo, la figura ritratta nel mosaico è quella di un monaco pagano, che predica un modo di vivere semplice. Questa teoria è stata accettata anche da molti altri studiosi che affermano che il cappuccio sulla testa della figura indica il suo status di monaco.
La figura di Giustiniano
L'ultima teoria su questa criptica figura e iscrizione viene dallo studioso Etnor Canaj, secondo il quale il ritratto iconico sarebbe quello dell'imperatore Giustiniano.
Le teorie di cui sopra sono solo alcune delle tante su questo enigmatico mosaico, la cui figura centrale e la cui iscrizione lo rendono uno dei mosaici più misteriosi e ricercati a livello nazionale e internazionale e il suo valore  è un vero e proprio simbolo dell'Arte Ecclesiastica albanese, continuazione dell'antica tradizione illirica.


 


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