L’immagine della semina dà un senso preciso all’antica raffigurazione di Osiride dal cui corpo sorgono le spighe di grano. Il grano è il simbolo della luce e la raffigurazione offerta dall’iconografia dell’antico Egitto è, a tale proposito, chiara. Dal corpo di Osiride sorgono spighe di grano, ossia “corpi di luce”. Che il processo di osirificazione sia il passaggio dal corpo terreno mortale a quello energetico celeste è attestato dalla presenza nel piedistallo che regge il corpo del Neter del bastone Uas e dell’Ankh e dell’assenza del Djed. Il bastone Uas è il simbolo del rapporto tra cielo e terra e l’Ankh lo è della vita. Il Djed è simbolo di stabilità ed è relativo all’essere incarnato e, non a caso, è associato alla colonna vertebrale.
Nell’immagine egizia è proposto simbolicamente il grande mistero dei Riti eleusini, derivati da quelli isiaci e osiriaci, come sostiene Paul Foucart.
Diodoro a tal proposito sostiene: “Poiché l’iniziazione di Osiride è la stessa di quella di Dioniso e l’iniziazione di Iside è a tutti gli effetti simile a quella di Demetra, solo i nomi sono cambiati”.
Nelle testimonianze cristiane relative ai Riti Eleusini la spiga, definita da Foucart, “emblèm osirien” e “symbole de la mort d’Osiris”, è, non a caso, il cuore dell’iniziazione.
Diodoro, in proposito scrive: “Al momento della mietitura, innalzando le prime spighe tagliate e tenendone un mazzo, si battevano il petto, invocando Iside”. I mietitori si addoloravano per la morte di Osiride ma si appellavano a Iside.
Hippolito parla di “spiga di frumento mietuta in silenzio”.
Iside è il Neter che, ritrovato Osiride sepolto in un tronco d’acacia, ne rimane magicamente incinta e dà vita a Horus, ossia ad un corpo di luce. Si ripropone il rapporto che troveremo in quello Arché-Lógos. I riferimenti astronomici vogliono che Iside sia associata a Sirio, Osiride a Orione e Horus all’occhio del Toro, Aldebaran. Horus èun corpo di luce, una stella.
Angelo Tonelli ricostruisce così la parte rituale relativa alla spiga: “Una spiga viene spiccata in silenzio dallo ierofante. E’ un gesto di grande potenza evocativa: un frutto, che è anche un seme, viene mietuto dallo stelo, e dunque la pianta viene uccisa come unità, ma da questa morte scaturirà una pluralità di piante-vite; l’Uno diventa Molti e i Molti sono forme dell’uno. La pianta tagliata è Dioniso che, come Osiride, muore nel fiore della vita, ma che rinascerà. E dunque il dio segreto dell’epoteía è Dioniso: morte e vita unite insieme in un solo gesto. Dioniso è l’Uno che si fa Molti, e vive-muore in ognuno dei Molti che da esso scaturiscono: ritroviamo tutto questo nel Dioniso orfico che guarda nello specchio e vede il mondo”.
Come appare in vari miti (ad esempio il mito di Ceridwen), il grano è simbolo del sole, cosicché il ciclo dionisiaco è anche il ciclo della morte e rinascita, esattamente come il ciclo eleusino.
Nei Grandi Misteri Carolina Lanzani ipotizza che con la Muesis i Miystes fossero consacrati a Demetra e che con l’Epopteia, gli Epopti fossero consacrati a Dioniso.
La spiga mietuta in silenzio, viene mostrata agli Epopti come il grande, il mirabile, il più perfetto mistero. La spiga è emblema di Osiride, dal cui corpo germinano le spighe e, mietuta e separate dallo stelo, è simbolo del principio vitale, così come la psŷchè olcsos, associata alla testa.
La spiga, che contiene il grano, come corrispondente vegetale della testa-psŷchè olcsos, è anche Demetra, madre del grano, la quale era infatti adorata come testa.
Il culto della testa assume pertanto un connotato iniziatico importante, essendo la testa come la spiga, ossia come Demetra, il ricettacolo del seme, l’essenza dell’uomo, che è destinata a rinascere.
Secondo Hippolito (cristiano): “La divina Brimo ha partorito Brimos, l’infante divino”.
La spiga in greco è Στάχυ amento (inflorescenza a grappolo), orecchio, pannocchia, spiga, mentre Στάχυς è Spica, nella costellazione della Vergine. Il pane è σῖτος .
La spiga mietuta è il simbolo del corpo di luce, la sede del seme, che rimesso nella terra porterà alla nascita di un nuovo corpo terrestre, il quale conterrà l’essenza luminosa dalla quale è generato.
“Abbiamo stabilito – scrive Paul Foucart – che Dioniso è il maestro dell’epopteia. E’ pertanto naturale che le sofferenze del dio e la sua resurrezione siano il tema fondamentale delle scene alle quali assistevano gli iniziati di secondo grado”.
Acquista, in questo contesto, un senso preciso l’affermazione che il corpo del divino (per i cristiani il corpo di Cristo), rappresentato dalla farina del grano impastata con l’acqua, sia il pane degli uomini, ossia il nutrimento che ricorda il loro fondamento luminoso.
Anche la bevanda sacra dei Riti Eleusini ci porta allo stesso significato: “Ho digiunato, ho bevuto il ciceone, ho preso dalla cesta, dopo aver compiuto le azioni rituali ho riposto nel canestro, e dal canestro nella cesta” (Clemente Alessandrino, Protr. XXI 2). Il ciceone è farina finissima di frumento mescolata in acqua e aggiunta di foglie di menta.
La spiga è sicuramente un emblema osiriaco. “Tra le religioni antiche che conosciamo, quella di Osiride è la sola dove la spiga di frumento pare avere un valore religioso”.
Nella 12^ ora la barca di Osiride, di scorta a quella di Ra, è condotta dagli dèi pacifici che tengono una spiga in mano e hanno la testa ornata da due belle spighe. I loro nomi sono significativi: il Germe, Basti; il Grano, Uapri; la Primizia della mietitura poi “ gli dèi dalle braccia che brillano, poiché tengono la loro spiga”; l’Oblatore; Nipan. “Tutti questi esseri divini, per salutare Osiride, inalberano la spiga di grano come l’insegna del loro sovrano”. “Osiride essendo arrivato a personificare la resurrezione, lo si compara a tutto ciò che nella natura sembra morire per rinascere e, al contrario, tutto ciò che rinasce dopo una morte apparente, fu tenuto per una delle forme o dei valori mistici di Osiride”.
Lo smembramento della spiga e la frantumazione del grano, al fine di impastarlo con l’acqua e con il lievito, per dare forma al pane, che sarà cotto nel forno è connesso con la dispersione del seme maschile (la spiga come pene) nell’utero, dove con il liquido amniotico e con il calore del corpo materno, lievita il feto che si trasformerà nell’uomo-pane.
“Di conseguenza – scrive Ananda Coomaraswamy – lo scopo finale del Sacrificio non è solo di continuare l’operazione creatrice iniziata «una volta» dalla decapitazione, ma anche di «capo volgerla» con la ricostituzione totale della divinità divisa e con ciò del sacrificante stesso, identificato con la divinità e con il Sacrificio. Abbiamo già visto che con il Sacrificio Prajâpati ritrova la sua integrità, ma soprattutto che non è unilaterale, poiché la divinità dev’essere guarita da coloro stessi che l’avevano divisa”.
Nei Riti Eleusini ha inoltre enorme importanza la cesta, in quanto è in essa che sono presi e deposti i simboli sacri dell’iniziazione.
La cista, calathos è un cesto di vimini intrecciati, di forma cilindrica con un coperchio piatto o bombato, è una delle acconciature (il copricapo) di Demetra ed è considerato il granaio.
Nell’inno a lei dedicato, Demetra è definita la “bionda” dalle “belle chiome” e “dalle magnifiche messi”, il ché fa pensare ad una chioma di spighe di grano.
Cesto, cesta in egizio antico è mndjm.
Nella cesta troviamo i simboli della vita corporale (a sinistra) e animica (a destra).
Con questi simboli torniamo al significato profondo e ormai chiaro della figura che vede, sotto il corpo di Osiride, solo gli Uas e gli Ankh.
L’osirificazione è la ricostruzione, la ricomposizione, la ricostituzione del corpo di luce conseguente alla morte del corpo terreno.
Le iera anactora (gli oggetti sacri del rito) erano custodite nell’Anocroton detto anche Magaron, la cui apertura produceva una grande luce più splendente della luce del sole.
La questione del corpo di luce e del suo rapporto con il corpo mortale è simbolicamente presente nell’intreccio tra la nascita di Gesù e la sua morte.
La data del 25 dicembre è la simbolica data della nascita di Gesù, il Cristo, ossia l’unto.
Cristo, dal greco Χριστός, Christós, è la traduzione greca del termine ebraico mašíakh (מָשִׁיחַ, «unto»), dal quale proviene l’italiano messia. Il significato di questo titolo onorifico deriva dal fatto che nell’antico Medio oriente re, sacerdoti e profeti venivano solitamente scelti e consacrati tramite l’unzione con oli aromatici.
Nel Vangelo gnostico di Filippo è scritto: “Ma l’albero della vita è in mezzo al giardino. Tuttavia è dall’ulivo che si estrae il crisma, per mezzo del quale si ha la resurrezione”. Crisma deriva dal greco chrio, ungo, ed è pertanto l’olio dell’unzione.
“L’unzione – afferma il Vangelo di Filippo – è superiore al battesimo. E’ dall’unzione, infatti, che noi siamo stati chiamati «cristiani», e non dal battesimo. Anche il Cristo fu chiamato (così) a motivo dell’unzione: il Padre unse il Figlio, il Figlio unse gli apostoli, e gli apostoli unsero noi. Colui che è stato unto possiede il tutto: possiede la resurrezione, la luce, la croce, lo Spirito Santo. Il Padre gli ha dato questo nella camera nuziale”.
Non è solo un fatto narrativo di cronaca l’arresto di Gesù il Cristo nell’orto degli ulivi , l’uliveto di Getzemani, nome il cui significato in aramaico è frantoio.
Se guardiamo non alla cronaca, ma ai simboli, l’albero della vita, ossia il Lógos, è piantato in mezzo ad un uliveto, ossia è un ulivo dal quale si estrae il crisma, e non a caso l’uliveto si chiama “frantoio”. E, come afferma il Vangelo di Filippo:“Colui che è stato unto possiede il tutto: possiede la resurrezione, la luce, la croce, lo Spirito Santo”, ossia, chi è stato unto dal crisma del Lógos, simbolizzato dall’olio dell’ulivo, è luce, ossia corpo di luce; è croce, ossia è crocifisso nello spazio tempo (incarnazione) ed è spiritus, ossia azione del Principio, che il vangelo chiama Padre.
Il gallo che canta tre volte è il simbolo della luce che annuncia la resurrezione, perché la fonte del crisma è anche la fonte della resurrezione.
Nel Prologo del Vangelo di Giovanni, che contiene la chiave di comprensione della manifestazione e della Sapienza divina, è scritto:
“In Arché era il Lógos,
e il Lógos era presso il Dio [theón]
e il Dio [theós] era il Lógos.
Egli [il Lógos] era in Arché presso il Dio [theón]:
tutto è stato fatto per mezzo di lui [il Lógos],
e senza di lui [il Lógos] neppure una delle cose create è stata fatta.
In lui [il Lógos] era la vita [zoè, vita naturale universale]
e la vita [zoé] era la luce degli uomini;
la luce splende fra le tenebre,
ma le tenebre non l’hanno ricevuta”.
Theós deriva, secondo alcuni autori, dai verbi theeîn, correre e theâsthai, vedere, da cui deriva il sostantivo theós, malamente tradotto con Dio e meglio con “colui che corre verso l’evidenza”: il Demiurgo, ossia l’azione dell’Arché.
La mezza notte è l’ora del sole corego, di quel Cristo che è sole e sta in mezzo agli astri e li dirige, ossia è la Luce nel grande Oceano primordiale, quel mare in amore, quel nero luminoso che è simbolicamente rappresentato dal firmamento; è l’ora di Osiride, colui che dimora in Occidente e risorge in Oriente; è il corpo mortale dal quale rinasce il corpo terreno che dà vita al corpo di luce, rappresentato dalla spiga che contiene il grano d’oro (oro, aur, luce); è l’ora di Demetra, la bionda spiga di grano, il granaio, che donerà nei Riti Eleusini, all’epopta, la luce dell’oro del grano e la bevanda di farina impastata con l’acqua, ossia la bevanda di luce che si incarna. La mezza notte è l’ora del mistero, non è un’ora, e proprio perché è un simbolo non può essere spostata per decreto ministeriale.
L’ultima cena di Leonardo è, simbolicamente, significativa, con linee che evocano il simbolo di Maria Vergine che ci riporta all’Archè che contiene il Lógos, come è detto nel Vangelo di Giovanni, secondo la tradizione giovannea. Il simbolo ci riporta anche alla Vesica piscis e alla geometria sacra che ci narra, in forma geometrica, il mistero della vita.
La notte del 25 dicembre è strettamente legata alla notte della Pasqua di resurrezione, che ha un doppio significato simbolico: è la data della resurrezione, ossia del ritorno alla luce, con un corpo di luce, ed è la data del concepimento, ossia dell’incarnazione della luce in un corpo mortale. Concepimento e crocifissione si sovrappongono come simboli dell’entrata nello spazio tempo della luce divina. Non solo. Le due date si intrecciano con quelle del concepimento e della nascita di Giovanni Battista, l’alter ego del Cristo, colui che battezza con l’acqua, ossia con la parte terrena e che annuncia colui che battezza con il fuoco, il Cristo, l’unto, così che è l’unzione, anche l’estrema unzione, il battesimo del fuoco, ossia il tocco della luce che risveglia la scintilla divina che è in ogni mortale e il corpo di luce: il lapis exilis della tradizione.
Apocalisse: un percorso iniziatico per riconoscerci come esseri di luce.
Nell’Apocalisse di Giovanni, in un linguaggio criptico, si nasconde un percorso iniziatico osiriaco, la cui decodificazione ci può orientare nella interpretazione della concezione cristiana relativa al corpo di luce.
In questo possibile ambito interpretativo i passaggi nelle sette chiese si presentano come sette tappe del percorso del defunto (o dell’iniziato) nella Duat.
Ad ogni chiesa, o tappa, c’è un premio per il vincitore.
Prima tappa: “Al vincitore darò da mangiare dell’albero della vita”.
L’albero della vita è collegato al Djed, la colonna vertebrale di Osiride, e alla cerimonia del raddrizzamento, che equivale alla resurrezione. Il Djed esprime il concetto di stabilità. L’albero corrispondente è la palma, o meglio, l’albero Ima, il dattero maschio, Albero Sacro, il cui femminile Imait era il soprannome della dea Athor. Nel Libro dei Morti le allusioni all’Albero sono frequenti e riguardano il sicomoro, la palma da dattero e il ficus religiosa. 4
Seconda tappa: “Il vincitore non sarà colpito da seconda morte”. La incapacità a ricostruire il corpo di luce crea le condizioni per la seconda morte, ossia la morte del corpo di luce, dopo la morte del corpo fisico. Con il corpo di luce il defunto non subirà la seconda morte.
Terza tappa: “Al vincitore darò la manna nascosta e la pietruzza bianca sulla quale sta scritto un nome nuovo, che nessuno conosce all’infuori di chi la riceve”. E’ qui evidente il riferimento all’egizio Akh Akhu, il corpo di luce, primo involucro dello spirito divino che si incarna; elemento trasfigurante: nella ritualità è l’essere santificato e rinato nella sfera del sacro. Il sogno ad occhi aperti del defunto o dell’iniziato è divenuto realtà; è divenuto una stella, un essere risplendente. Il corpo di luce è il corpo che ha raggiunto un alto grado di conoscenza, potere e gloria per cui diviene eterno. Il nome nuovo è il Ren: la definizione completa dell’essere umano, comprensiva del nome segreto Ren Sheta: il nome occulto che mantiene in vita e conferma la vita. Nel nome occulto nell’antico Egitto si riteneva fosse racchiusa l’essenza della cosa nominata.
Quarta tappa: “Darò al lui la stella del mattino. Chi ha orecchi, ascolti ciò che lo Spirito dice alle Chiese”. Il defunto o l’iniziato riceve la stella a cinque punte, simbolo di Venere, Sirio, la Grande Dea Madre Cosmica Iside.
Quinta tappa: “Il vincitore sarà dunque vestito di bianche vesti, non cancellerò il suo nome dal libro della vita….”. Il defunto, o iniziato, è riconosciuto, vestito con la veste di bianco lino, come avveniva nei riti Isiaci e Osiriaci ed entra a far parte del nucleo degli iniziati. Il vestito bianco è il simbolo del corpo di luce.
Sesta tappa: “Il vincitore lo porrò come una colonna nel tempio…”. Il defunto o l’iniziato è riconosciuto come sacerdote, colonna del tempio, essere sacralizzato.
Settima tappa: “Il vincitore lo farò sedere presso di me, sul mio trono…”. Il defunto o l’iniziato è ora un Osiride giustificato.
Inizia a questo punto, nella narrazione di Giovanni, la parte relativa ai sette sigilli che chiudono un libro. I primi quattro sigilli, che l’iniziato può rompere, in quanto Agnus Dei, che tradotto in egizio si potrebbe dire Agnello dell’Ariete, ossia di Amon, consentono di rivelare la funzione di quattro cavalieri che sono su quattro cavalli i cui colori sono quelli della Dea (bianco, rosso, nero e verde/blu). Il quinto sigillo rivela la funzione della testimonianza. Il sesto sigillo rivela che nessun potente della terra è potente come il Divino e mantiene la sua fragilità se non ha seguito la via iniziatica.
Chi invece ha seguito fino in fondo la via dell’iniziazione o quella del defunto nella Duat non deve più temere.
Siamo angeli in un corpo terrestre
Dopo la parte riguardante i sette sigilli, Giovanni riprendela narrazione criptata, parla di una prima resurrezione (20, 5) e scrive che coloro che prendono parte alla prima resurrezione saranno beati e santi, in quanto su di loro non ha potere la seconda morte. E’ il concetto che è già stato esposto relativo alla costruzione del corpo di luce Akhu.
Ed è a questo punto che Giovanni introduce la descrizione della Gerusalemme celeste: un cubo luminoso, con pietre preziose, oro e perle che abbiamo descritto supra.
A questo punto nasce una questione assai interessante. L’angelo che guida Giovanni non misura solamente con la sua canna d’oro la dimensione della città, ma anche quella dell’altezza del muro che la cinge.
Il testo greco recita:
Le traduzioni presentano due scenari completamente diversi.
Nella Bibbia della Cei-Ueci si legge: “Ne misurò anche le mura: sono alte centoquarataquattro braccia, secondo la misura in uso tra gli uomini adoperata dall’angelo”
Altre traduzioni affermano: “Ne misurò anche il muro, ed era di centoquarantaquattro cubiti, a misura d’uomo, cioè d’angelo”.
Nella Bibbia di Re Giacomo si legge: “And he measured the wall thereof, an hundred [and] forty [and] four cubits, [according to] the measure of a man, that is, of the angel”. (“Ed egli misurò la parete di lui, cento e quaranta e quattro cubiti, secondo la misura di un uomo, cioè dell’angelo”).
Nella versione della Cei, l’angelo semplicemente utilizza le misure dell’uomo.
Nella altre versioni le due misure sembrerebbero coincidere, così come l’angelo e l’uomo.
L’uomo, pertanto, è un angelo racchiuso in un corpo materiale, ossia nel cubo della bestia, il cubo della corporeità, quello che è 6x6x6, mentre l’uomo angelo misura con una canna d’oro (ossia di luce) il cubo celeste, che è 12x12x12.
La possibile coincidenza dell’essere umano con l’essere angelico è avvalorata anche quando Giovanni vuole inchinarsi ad adorare l’angelo e questi gli dice di essere come lui, servo di Dio.
La coincidenza di essere umano e di angelo è proclamata in tutta la narrazione riguardante le sette chiese (i candelabri), a capo delle quali ci sono sette angeli (stelle). Qui la mente corre alle laminette orfiche: “Sono figlio della terra e del cielo stellato”.
Gli angeli umani che sono a capo delle sette chiese, ossia che sono custodi delle loro fiamme (i candelabri) sono sottoposti a prove e ricevono consigli.
1 – Ricordati da dove sei venuto, ossia ricordati della tua origine divina, che è la tua vera essenza. Ri-conosciti. Ri-accordati. Qui la concordanza dell’iniziatico invito a conoscere e stessi è evidente e fondamentale per ogni approccio alla via iniziatica.
2 – Sii fedele fino alla morte. Quando ti sei conosciuto e hai ri-conosciuto la tua essenza divina sii fedele a te stesso fino alla morte, in quanto ormai sai che la morte corporale non è la fine.
3 – Non concedere spazio ai vizi intorno a te. Una volta che sai chi sei procedi diritto per la tua strada, non lasciarti indurre a deviare e non concedere ad altri di deviarti.
4 – Non dare spazio ai falsi profeti. Una volta che hai compreso di essere un angelo in un corpo umano e che la via da seguire è quella del riaccordo con la tua essenza divina, non lasciarti deviare da false teorie e dal falsi profeti, che, come tali, vanno falsificati.
5 – Ti credi vivo e invece sei morto. Svegliati e rinvigorisci ciò che rimane. Qui il consiglio è esplicito e rivolto all’indugiare nel considerare la vita corporea come l’unica e nel non credere fino in fondo alla propria essenza divina. L’imperativo è svegliarsi e guardare in faccia alla realtà della propria essenza divina.
6 – Sei debole, ma hai osservato la mia parola. Questa è forse la parte più interessante dal punto di vista del rapporto tra la dimensione umana e la dimensione angelica. Per quanto l’essere umano abbia aperto la porta verso la propria dimensione angelica, ossia verso il Divino, la sua debolezza può richiudere il passaggio, ma a questo punto interviene quello che potremmo definire il daimon concertum, lo scambio, l’unione di intenti, l’accordo tra la mente umana e lo Spiritus, ossia l’ispirazione, (l’awen dei Druidi e i mercuri di Giordano Bruno). Quando la mente vacilla, l’ascolto diventa essenziale per ricevere l’input che ravviva la comunicazione.
7 – Sei tiepido, né caldo, né freddo. Dici che sei ricco e non hai bisogno di nulla, ma sei infelice e cieco. “Ti consiglio di comperare da me oro purificato dal fuoco per diventare ricco, vesti bianche per coprirti e nascondere la vergognosa tua nudità e collirio per ungerti gli occhi e recuperare la vista”. Il consiglio è di animarsi d’ardore (Eros, il daimon dell’amore), perché l’accontentarsi dei beni terreni, della pace terrena, anche delle buone azioni terrene non è sufficiente. E’ necessario l’ardore, lo slancio vitale, il fuoco dello Spirito. Solo così ci si veste del corpo di luce e si recupera la vista. La serena medietas, l’aurea mediocritas, non appartengono all’iniziato, che deve bruciare d’ardore, sentire il fuoco interiore dello Spirito. E’ questo ardore che alimenta il bianco vestito, il corpo di luce, l’Akhu; che lo consolida e lo stabilizza. Solo così l’iniziato potrà diventare un Osiride giustificato o, come scrive Giovanni, in termini giudaico cristiani, potrà sedersi sul trono accanto a Dio.
La coincidenza dell’essere umano e dell’essere angelico (stati molteplici dell’essere), sia pure operanti su due piani diversi della realtà, avvalora quanto affermato in relazione alla seconda morte. Chi conosce la propria dimensione angelica vede perire il proprio corpo materiale, ma non il proprio corpo di luce. Ha costruito la propria eternità.
E’ la conoscenza che salva. E la via iniziatica massonica è (deve essere) via di conoscenza. Non altro. Perché “l’altro” è inganno contro iniziatico, indotto dalla hýbris.
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