lunedì 18 ottobre 2021

Lo spezzatino inglese dell’Italia a Teheran. Belluno con l’intero Triveneto sarebbe passato alla Jugoslavia di Tito

 

La conferenza di Teheran (capitale dell’Iran) identificata con il nome in codice “Eureka”, si tenne dal 28 novembre al 1º dicembre del 1943 tra quelli che saranno poi i vincitori della Seconda guerra mondiale: il presidente degli Stati Uniti Franklin Delano Roosevelt, il capo di Stato sovietico Iosif Stalin e il Primo ministro britannico Winston Churchill. Il vertice dei “Tre Grandi” anticipò le decisioni che saranno prese alla Conferenza di Jalta, dal 4 all’11 febbraio 1945 tenutasi nel Palazzo di Livadija, la vecchia residenza estiva di Nicola II, a 3 km a ovest di Jalta, in Crimea, dove si decise la suddivisione dell’Europa in blocchi e le conseguenti sfere di influenza tra Usa e Unione Sovietica. Parte da qui la cosiddetta guerra fredda tra Usa e Urss, o “cortina di ferro”, come la chiamò Winston Churchill in un famoso discorso tenuto il 5 marzo 1946 a Fulton, nel Missouri (Usa).

Della conferenza di Teheran (e anche da quella di Jalta), che segnarono il destino degli stati europei nel dopoguerra, sappiamo quasi tutto. Ma c’è un particolare nelle trattative a Teheran che rimase nascosto e che probabilmente non è noto a molti lettori. A rivelarlo, sul numero di novembre 2020 di Rivista Marittima, mensile della Marina Militare, è un corposo articolo dal titolo “Buona Guardia! Una storia di Etica a difesa dello Stato” di Enrico Cernuschi *, nel quale descrive l’ipotesi di spartizione dell’Italia che Churchill propose a Stalin e Roosevelt e che i due capi di stato rifiutarono. A Teheran nel 1943, infatti, i progetti di Stalin e Roosevelt concordavano, in parziale contrapposizione con i piani di Churchill.
Facciamo un piccolo passo indietro. Nel settembre del 1943 l’Italia, nell’impossibilità di ottenere assieme alla Germania una pace separata con l’Unione Sovietica per impossibilità di convincere il Führer, e nell’incapacità di opporsi alla forza militare statunitense e alla supremazia navale britannica nel Mediterraneo, ritiene necessario sottoscrivere un armistizio con Washington e Londra. Così, il 3 settembre del 1943 a Cassibile (Siracusa), l’Italia firma la resa incondizionata agli Alleati sganciandosi dall’alleanza con Hitler. L’armistizio, per una clausola del patto rimase segreto per 5 giorni ed entra in vigore con l’annuncio pubblico dato alla radio. Il pomeriggio dell’8 settembre 1943 alle ore 17:30 (18:30 per l’Italia) Radio Algeri trasmette il proclama in inglese del generale statunitense Dwight Eisenhower. E alle le 19:42 italiane l’Eiar diffonde il famoso proclama ambiguo di Badoglio dell’8 settembre 1943 che provocherà la carneficina dei reparti italiani a Cefalonia da parte della reazione delle truppe tedesche. E tuttavia, per quanto pasticciato, con il re che il 9 settembre se la svigna seguito da uno stuolo di generali dal porto di Ortona a Mare diretto a Brindisi, l’armistizio di Cassibile eviterà l’abbattersi dei bombardamenti pesanti sulle popolazioni come invece avvenne in Germania e in Giappone con le due bombe atomiche.
Londra, e l’hanno descritto bene Fasanella e Careghino nei loro libri, per contenere la costante crescita economica dell’Italia nel ‘900 voleva imporre un cambio con la sterlina e punitivo ai danni della lira, ossia la perdita di sovranità monetaria del soccombente. L’operazione riuscirà una cinquantina d’anni dopo con l’euro. Ma quella è un’altra storia.

A Teheran nel novembre del 1943 gli inglesi presentarono un progetto di partizione, nonostante gli impegni presi in seguito all’incontro del 14 settembre 1943 a Brindisi (mappa dell’Italia spartita di Vincent P. O’Hara **). Per attuare lo spezzatino dell’Italia gli inglesi chiesero, come già avevano in animo di ottenere nel settembre di quello stesso anno, l’allontanamento di Re Vittorio Emanuele III, abolendo, con lui, il governo italiano, così da poter assegnare a un’Amgot (L’Allied Military Government of Occupied Territories, Amministrazione militare alleata dei territori occupati, e un organo militare deputato all’amministrazione dei territori occupati dagli Alleati attivo durante la Seconda guerra mondiale) che, auspicavano fosse diretta, per meriti di guerra, alla sola Gran Bretagna. L’Italia occupata, dunque, sarebbe stata sotto il diretto controllo inglese. Il piano prevedeva, inoltre, per il dopoguerra – scrive Enrico Cernuschi su Rivista Marittima – la suddivisione in 5 zone di occupazione: una ellenica estesa subito alle Puglie e, in seguito, al meridione, sulle linee dell’antica Magna Grecia; una jugoslava dall’Istria fino a Milano esclusa; una francese comprendente la Valle d’Aosta, il Piemonte, la Liguria, l’isola d’Elba e la Lombardia fino a Milano inclusa (città definita, non a caso, «il cestino del pane»); una inglese formata dalle isole maggiori più la Calabria e una statunitense col Lazio (più Napoli) da governare assieme al Papa. L’Alto Adige, per contro, doveva essere subito restituito all’Austria, in fin dei conti alleata secolare di Londra sin dalla fine del Seicento, a parte pochi, momentanei screzi nel 1734, all’epoca della Guerra dei sette anni e durante il Primo conflitto mondiale.

Insomma, Belluno con il Triveneto e l’Istria sarebbe passato alla Repubblica socialista federale della Jugoslavia.

Ma l’idea non piacque alle due superpotenze Usa e Urss e il progetto cadde. Anche perché l’Unione sovietica non aveva particolari vantaggi da questa spartizione e gli Stati Uniti rifiutando il protettorato dell’Italia centrale, si garantirono in seguito il controllo dell’intera Penisola.
Una bocciatura che il generale britannico, capo di Stato Maggiore imperiale, Alan Brooke, aveva già intuito il 25 ottobre 1943 quando scrisse nel suo diario: “Se guardo al Mediterraneo, mi rendo conto anche troppo bene di quanto grandemente ho fallito”.

Roberto De Nart

 

*  Enrico Cernuschi
Laureato in giurisprudenza, vive e lavora a Pavia. Studioso di storia navale ha dato alle stampe, nel corso di venticinque anni, al- trettanti volumi e oltre 500 articoli pubblicati in Italia, Gran Bretagna, Stati Uniti e Francia dalle più importanti riviste del settore. Tra i libri più recenti «Gran pavese» (Premio Marincovich 2012), «ULTRA – La fine di un mito», «Black Phoenix» (con Vincent P. O’Hara), «Navi e Quattrini» (2013), «Battaglie sconosciute» (2014), «Malta 1940-1943» (2015), «Quando tuonano i grossi calibri» e «Gli italiani dell’Invincibile Armata» (2016), «L’ultimo sbarco in Inghilterra» (2018) e «Venezia contro l’Inghilterra, 1628-1649» (2020)

**  Vincent O’Hara
è uno studioso indipendente laureato in Storia dall’Università della California, Berkeley. Ha scritto, coautore o modificato dodici libri e contribuito con articoli a pubblicazioni, tra cui Recensione del Naval War College, MHQ, Storia Militare, Nave da guerra, Seaforth World Naval Review, L’America nella seconda guerra mondiale, seconda guerra mondiale, e Storia della seconda guerra mondiale. Era un assistente redattore di ABC Clio’S Enciclopedia della seconda guerra mondiale in mare e ha scritto introduzioni a due volumi delle Operazioni navali statunitensi nella seconda guerra mondiale serie di Samuel E. Morison ripubblicato da Istituto navale degli Stati Uniti. O’Hara è stato premiato come autore dell’anno dal Naval Institute Press 2015 per Torcia: Nord Africa e la via alleata verso la vittoria

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